Summorum Pontificum.
Perché fallì
l’Operazione fregatura della Tradizione?

di Daniele Casi


Pubblicato sul sito Radio Spada



Nelle stesse ore in cui Francisco preparava l’ormai mitica borsa nera (in eco pelle?) per la photo hopportunity sulla scaletta dell’aereo che lo avrebbe portato a masticare coca in Sud America, nella regale cornice del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, l’Emerito Card. Joseph Ratzinger riceveva, con tutta la pompa di un regnante pontefice, due lauree honoris causa, assegnategli da sconosciuti atenei polacchi e teneva, sotto lo sguardo amorevole di quel sant’uomo di Stanislaw Dziwisz, un discorso di ringraziamento nel quale tornava a toccare tutti i temi a lui cari: l’ermeneutica del Concilio, la riforma liturgica, la musica sacra come prova di verità del cristianesimo. Nulla di nuovo. Ribadiva cose dette e scritte negli ultimi trent’anni ma, in tempi di ‘magistero liquido’, le sue parole sono giunte come una salutare boccata d’ossigeno, specie a tanti miei amici ‘benedettiani’ che, da sincere vedove inconsolabili, hanno immediatamente rilanciato sui loro siti, blog e social network, fotografie e stralci del discorso con corollario di lacrimevoli “Grazie Santità”, “Benedetto, Papa per sempre”, “Ci manchi” et similia.
So di deluderli tutti con questa breve riflessione ma, veramente, non se ne può più!
La propongo, non a caso, in questo giorno che, alla maggioranza dell’orbe cattolico non ricorderà assolutamente nulla, ma che proprio per loro è quasi un secondo compleanno. Otto anni fa, alle ore 12.00 del 7 luglio 2007, la Sala Stampa della Santa Sede pubblicava il testo del già annunciato Motu Proprio ‘Summorum Pontificum’ sulla liberalizzazione del mai abrogato Missale Romanum in vigore fino al 1965.



Perché collego questi due eventi così diversi e distanti tra loro? Perché ho ritrovato nelle sue parole di sabato scorso la stessa mens che concepì quell’‘atto di misericordia’ come un’operazione teologica furba e sottile. Un atto che, dietro la cortina fumogena di motivazioni ufficiali ed ufficiose, celava il vero e mai dichiarato obiettivo: “fregare” i tradizionalisti; riportarli ‘formalmente’ a casa per poi “normalizzarli” inserendoli nell’imprescindibile dinamica (evolutiva) dell’ermeneutica della riforma nella continuità del soggetto Chiesa.
Un’operazione che solo lui, il geniale perito conciliare che, per sua stessa ammissione, è rimasto sempre lo stesso [1] (modernista [2]), poteva elaborare. Un’operazione di così alto livello intellettuale che, neppure gli “ermeneuti di rottura” hanno capito, sempre dominati, come sono, dalla cupio dissolvi di tutto ciò che ricorda il “prima”; perciò non l’hanno lasciato lavorare, lo hanno ostacolato con tutti i mezzi, non rendendosi conto, almeno i più, che il ‘professor Ratzinger’ aveva messo a punto il “giochino” per vincere la partita combattuta per cinquant’anni contro gli odiati reazionari, integralisti, integristi, conservatori, ecc. ecc.

I miei amici “benedettiani” staranno, già, schiumando davanti allo schermo ma la verità, almeno per me, è questa. Di quale “riforma della riforma” parlate ancora? di quale “restaurazione liturgica”? Ed infine, di quale “pacificazione in seno alla chiesa”? Cari amici, ricordate cosa disse Benedetto, sull’aereo che, nel settembre 2008, lo portava in visita pastorale in Francia [3]?
Gli chiesero di rassicurare coloro che temevano che il Summorum Pontificum rappresentasse un ritorno indietro rispetto “alle grandi intuizioni del Concilio Vaticano II” e lui fu prontissimo a replicare che il Motu Proprio era stato “semplicemente un atto di tolleranza, a fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia. È un gruppo ridotto poiché presuppone una formazione in latino, una formazione in una cultura certa”. Insomma, indietro non si tornava. Punto.

Un’ultima conferma venne, poi, il 14 febbraio 2013, quando, incontrando per  l’ultima volta da Papa, i Parroci di Roma [4], nell’Aula Paolo VI, dopo aver dichiarato di voler restare da lì in poi, come si è visto, chiuso in preghiera e nascosto al mondo, descrisse  – con la delicatezza che forse solo Enzo Bianchi saprebbe usare – la liturgia antica come una ricchezza preclusa ai fedeli perché chiusa nel messale; un’esclusiva del prete e del chierichetto che rimaneva lontana dal cuore del popolo. Bisognava, perciò, lodare all’infinito l’azione di quel Movimento Liturgico che aveva rimosso questi ostacoli e ci aveva poi donato, grazie al Concilio (cioè a Bugnini) una “rinnovata liturgia”.
Contraddizioni? Malafede? Io non credo.
Anzi, sono convinto al contrario che nella mente del Papa tutto si sia sviluppato in modo razionale, logico e coerente con il suo pensiero di brillante professore di teologia, d’intellettuale moderno, amante del bello, dell’arte e, come si sa, della musica. Un uomo, un teologo veramente convinto che quella teologia di rottura per la quale aveva parteggiato negli anni giovanili potesse davvero svilupparsi, non in radicale opposizione ma in organico sviluppo alla Tradizione bimillenaria, approfondendola e mettendo in luce gli aspetti più consoni ai tempi.
Qui, è caduto.

Un docente universitario come lui è abituato, infatti, a formulare tesi; ad esporle in voluminosi trattati in cui tutto, seguendo i fili di un ragionamento che sulla carta non può trovare ostacoli, si sviluppa giungendo felicemente alle desiderate conclusioni. Un professore è abituato a parlare ad un’aula che lo ascolta e che anche quando le permette il dibattito, ne tira le conclusioni.
Il pensiero teologico di Ratzinger, altri lo hanno studiato ed illustrato a dovere, non s’impernia sul concetto di “Tradizione Viva [5]”, ma di “Tradizione vivente [6]”. Non accetta, dunque, l’immutabilità: ecco perché, anche nelle parole pronunciate a Castel Gandolfo, ritroviamo quella inesausta volontà di riuscire a conciliare gli opposti, a cercare di congiungere ciò che è diviso, pur nella consapevolezza della “drammatica tensione” [7] che vi è presente.
Una tensione che nelle pagine del Motu Proprio egli ha creduto di poter risolvere con la trovata delle “due forme dell’unico Rito” e di quella scampata calamità che sarebbe stato l’auspicato dialogo fra i due riti per un arricchimento vicendevole. Il presagio, forse, di un Novissimus Ordo.

“È rimasto sempre un professore”, ho sentito dire molte volte prima e dopo le dimissioni e credo che sia stato da qui, da un’errata fiducia nella possibilità di trasferire un parto intellettuale in un atto di governo, che sia scaturito il fallimento di quella che, ironicamente, si potrebbe definire “Operazione fregatura della Tradizione”. Quanta sia stata effimera è, ormai, cronaca quotidiana.

p.s. Nel discorso di Castel Gandolfo, citando i nomi di Palestrina, Bach, Händel, Mozart, Beethoven e Bruckner, il cardinale Ratzinger ha affermato: “La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture (…) Non conosciamo il futuro della nostra cultura e della musica sacra. Ma una cosa è chiara: dove realmente avviene l’incontro con il Dio vivente che in Cristo viene verso di noi (il Santo Sacrificio della Messa, n.d.r.), lì nasce e cresce nuovamente anche la risposta, la cui bellezza proviene dalla verità stessa”.
Ratzinger, Papa, ha reso onore a questa musica affidando la gloriosa Cappella Sistina a Palombella….



NOTE

1 - «Non sono cambiato io, sono cambiati loro» rispose a Vittorio Messori che gli riportava le critiche spesso virulente rivoltegli contro dai suoi ex colleghi teologi. Kung in testa. (vedi articolo su il Corriere della Sera).
2 - Sulla ‘continuità’ del modernismo ratzingeriano, rimando all’interessante studio di mons. Bernard Tissier de Mallerais, “La strana teologia di Benedetto XVI. Ermeneutica di continuità o rottura?” Ed. Ichthys, 2012
3 - È una paura infondata perché questo Motu Proprio è semplicemente un atto di tolleranza, ai fini pastorali, per persone che sono state formate in quella liturgia, la amano, la conoscono, e vogliono vivere con quella liturgia. È un gruppo ridotto poiché presuppone una formazione in latino, una formazione in una cultura certa. Ma per queste persone avere l’amore e la tolleranza di permettere di vivere con questa liturgia, sembra un’esigenza normale della fede e della pastorale di un vescovo della nostra Chiesa. Non c’è alcuna opposizione tra la liturgia rinnovata del Concilio Vaticano II e questa liturgia. Ogni giorno (del Concilio, n.d.r.) i padri conciliari hanno celebrato la messa secondo l’antico rito e, al contempo, hanno concepito uno sviluppo naturale per la liturgia in tutto questo secolo, poiché la liturgia è una realtà viva che si sviluppa e conserva nel suo sviluppo, nella sua identità. Ci sono dunque sicuramente accenti diversi, ma comunque un’identità fondamentale che esclude una contraddizione, un’opposizione tra la liturgia rinnovata e la liturgia precedente. Credo in ogni caso che vi sia una possibilità di arricchimento da ambedue le parti. Da un lato gli amici dell’antica liturgia possono e devono conoscere i nuovi santi, le nuove prefazioni della liturgia, ecc…. dall’altra, la liturgia nuova sottolinea maggiormente la partecipazione comune ma sempre… non è semplicemente un’assemblea di una certa comunità, ma sempre un atto della Chiesa universale, in comunione con tutti i credenti di tutti i tempi, e un atto di adorazione. In tal senso mi sembra che vi sia un mutuo arricchimento, ed è chiaro che la liturgia rinnovata è la liturgia ordinaria del nostro tempo. (Intervista in volo ai giornalisti, 12 settembre 2008).
4 - Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia. (Discorso ai parroci di Roma, 14 febbraio 2013)
5 - Don Pier Paolo Petrucci, Fede e Tradizione, in La Tradizione Cattolica, 2, 2009
6 - Brunero Gherardini, “Quod et tradidi vobis. La tradizione vita e giovinezza della Chiesa”, Casa Mariana, Frigento 2010
7 - Dottorato Honoris causa a Benedetto XVI






luglio 2015

Ritorna al Sommario articoli diversi