13 uomini sulla cassa del morto

e il demonio ha pensato al resto!
 
di Belvecchio






Non ce ne vogliano i tredici cardinali che hanno cercato di scuotere l’acquiescenza dei Padri sinodali inviando la ormai nota lettera al Papa.
La verità è che sono rimasti in pochi i cattolici – interessati – che pensano che questo ormai arcinoto Sinodo potesse partorire più che un topolino dalla montagna di chiacchiere – a proposito, ma più a sproposito – prodotte in questi due anni da vescovi ormai votati a servire il mondo invece che Dio.

Disgrazia vuole che il topo, al pari di quello partorito dal Sinodo, è ancora un antico simbolo delle forze sotterranee che da sempre hanno cercato di impestare il mondo dell’uomo. Ma questo i vescovi non lo sanno e se mai lo abbiano saputo, ormai l’hanno dimenticato, come hanno dimenticato gli imperativi morali che scaturiscono dall’applicazione delle leggi Dio nella vita ordinaria dei cattolici.

Quando Paolo VI si inventò, tra le tante cose strane offerte alla vita della nuova Chiesa conciliare, il Sinodo dei vescovi, credeva di aver realizzato una cosa furba: un’altra scimmiottatura dell’assetto democratico dei moderni Stati illuministi, laici e atei, applicata alla struttura monarchica voluta da Dio per la Sua Chiesa. Già così era una sorta di blasfemia, ma, oggi, a cinquant’anni dalla “bella pensata”, inevitabilmente il germe democratico ha talmente moltiplicato i suoi agenti patogeni che sembra ci sia più solo qualche vescovo con gli anticorpi cattolici ancora in funzione.
La conseguenza è che al Sinodo – dei “vescovi cattolici” – non s’è parlato di ribadire l’insegnamento cattolico vecchio di duemila anni, bensì di aggiornarlo, e cioè, in termini aggiornati appunto, di ammorbarlo e cioè di far sì che anche l’insegnamento della Chiesa fosse soggetto ai germi della corruzione.

Nel leggere la lettera si comprende facilmente che anche i 13 cardinali sono assillati dal fatto che in questo Sinodo non ci sarebbe la necessaria trasparenza e collegialità, cioè non ci sarebbe – operante – quello spirito democratico che dovrebbe caratterizzare, secondo loro, un consesso di vescovi cattolici alla ricerca del modo migliore per applicare le leggi di Dio.
Si paventa l’imperare di uno spirito autoritario che avrebbe predisposto il Sinodo a risolversi per  una pastorale precostituita.
Ciò che colpisce è l’ipotetica ingenuità di questi “principi della Chiesa”, come se il Sinodo, di per sé, per il suo essere una scimmiottatura della democrazia mondana, potrebbe essere qualcosa di diverso dalla falsa democrazia laica,  specializzata nell’esercizio dittatoriale della diffusione della confusione e della corruzione.

Pari scimmiottatura ha caratterizzato le notizie e i resoconti intorno a questa lettera: ogni informatore ha raccontato le cose a modo suo e in vista del raggiungimento di uno scopo predeterminato e di parte. C’è chi è partito presentando i 13 come dei cospiratori, e chi li ha osannati come se stessero affrontando il martirio. Nessuno si è soffermato a considerare che l’ingenuità dei 13 ha impedito loro di cogliere l’elemento di fondo: la necessità sentita dai nuovi Vescovi perché il Sinodo decidesse in maniera tale da compiacere quanto più è possibile il mondo laico. Nessuno ha valutato che in quella lettera mancava un elemento chiave per comprendere i lavori del Sinodo: la denuncia di una soggiacenza alle esigenze – perfino gridate – di tutti i circoli e le congreghe in servizio permanente effettivo con Dio e contro la Sua Chiesa.
È questo il punto dolens di questo Sinodo, come lo è stato peraltro di tutti i Sinodi e i consessi che si sono succeduti a partire dalla voragine nella fede aperta dal Vaticano II.

Peraltro, quando è da due anni che si constata che i vertici della nuova Chiesa conciliare dibattono i punti salienti della morale e della dottrina cattoliche, Comandamenti compresi, fino ad arrivare al colmo di ritenere cattolico e sensato sottoporre questi stessi punti salienti a “referendum popolare”, con la risibile, demenziale e democratica distribuzione di appositi questionarii, si resta allibiti per come sia scesa in basso la funzione “docente” dei Pastori della nuova Chiesa, ormai trasformatisi in custodi dei lupi a scapito delle pecore.

La lettera contiene poi un passo controverso, tale comunque da permettere di cogliere la forma mentis dei moderni uomini di Chiesa: “I suoi membri [della commissione di redazione] sono stati nominati, non eletti, senza consultazione. Allo stesso modo, chiunque farà parte della redazione di qualsiasi testo a livello dei circoli minori dovrebbe essere eletto, non nominato.”
Questo passo è chiaramente un rimprovero a Papa Francesco, che è il destinatario della lettera e che logicamente ha rigettato tutti i punti toccati in essa, un rimprovero che implica inevitabilmente l’accusa che è il Papa stesso che ha voluto dei “risultati predeterminati su importanti questioni controverse”.
Si tratta allora di una presa di distanza dal Papa?
E se è così, perché la lettera e non un’aperta denuncia in Sinodo e un aperto rigetto della portata e del valore del Sinodo stesso?
Si dirà che il Papa è il Papa. Ma se fosse così, perché la lettera?



Dopo di che, ecco arrivata la relatio finale del Sinodo che, come un topolino, mette fuori il muso e subito lo ritira, per meglio nascondersi e dissimularsi.
Saranno stati contenti i 13 cardinali?
Se si pensava che la conduzione autoritaria del Sinodo potesse condurre alla negazione della Resurrezione, allora la soddisfazione sarà stata grande… non una parola sulla demolizione dei dogmi… infatti!
Eppure, a saper leggere questa relatio, una cosa è certa: i cardinali galleggiano sulla cassa del morto, mentre il diavolo la muove sui flutti per condurla inevitabilmente all’unico approdo che conosce, gli scogli… angiporto che conduce alle malebolge.

Non staremo qui a ripetere le cose che sono state scritte sulle conclusioni di questo Sinodo, esse sono state riportate su questo sito e ad esse rimandiamo, ci soffermeremo a considerare che dopo quanto è successo, con la dottrina divenuta oggetto di “dibattito”, i veri discendenti degli Apostoli dovrebbero dare vita ad un fronte anticlericale a cui chiamare chierici e laici ancora cattolici per resistere alla deriva anticattolica guidata dal “capo in testa”, che intende trasformare la barca di Pietro in una zattera mondialista dove caricare tutte le specie religiose e laiche per offrirle al Principe di questo mondo e farne il supporto dell’Anticristo.
Una sorta di “arca della perdizione”, scimmiottatura dell’Arca della salvezza, in grado di rappresentare simbolicamente l’esatto rovescio della realtà voluta da Dio.

Non è la grossa falla aperta sul sacramento del matrimonio che ci scandalizza, in fondo si tratta di una realtà propria di questo mondo degenerato, vissuta bellamente da tanti cattolici che non capiscono perché non possano viverla nella Chiesa con tanto di benedizione papale… no… quello che ci indigna è la remissività di tanti successori degli Apostoli che non capiscono che siamo giunti ad un bivio: o con Cristo o con Beliar.
Quando la cassa del morto non va più alla deriva, ma si dirige compiaciuta verso gli scogli, è inevitabile concludere, per un cattolico, che bisogna abbandonarla.
Già bisognava abbandonarla quando da barca della salvezza si è trasformata in cassa del morto, col Vaticano II, ma forse qualcuno pensava ancora di poterla comunque salvare e vi si aggrappava remando al contrario.
Ma oggi, di fronte all’evidenza e all’impudenza, altro che lettere bisogna scrivere, è necessario agire, gridare forte al mondo che la Chiesa non perirà fino a quando ci saranno ancora veri credenti in Cristo disposti a sacrificare ogni cosa per rimanere saldi nella fede, nonostante i preti, i vescovi, i cardinali e i papi.

E se per questo non si trovano prelati disponibili, perché ormai soverchiati da una miserevole codardia, è questo il tempo che chiama alla resistenza i semplici fedeli, non perché si sostituiscano ai prelati, ma perché assolvano semplicemente il loro dovere di veri seguaci  di Cristo.






ottobre 2015

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