La famiglia

di Alessandro Gnocchi



Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  2 marzo 2017

Titolo, impaginazione, immagini dopo la prima e neretti sono nostri


Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


giovedì 2 marzo 2017

E’ pervenuta in redazione:

Caro Alessandro Gnocchi,

sono un nonno con due nipoti che hanno passato da un po’ di tempo i trent’anni e non sono ancora sposati, anche se sono fidanzati da parecchi anni. Dicono che fino a quando non avranno una sicurezza economica non ci pensano proprio. Lavorano, ma non hanno un posto fisso e io non me la sento proprio di biasimarli. Come si fa a mettere su famiglia senza una certezza economica? I loro genitori sono meno indulgenti di me e questo provoca qualche discussione in famiglia, perché naturalmente, siccome siamo cattolici, di convivenza non se ne parla neppure. Mi dica un po’ senza giri di parole se sono io a sbagliare.

Cordiali saluti

Daniele Palazzolo




 


Caro Daniele,

senza giri di parole, è proprio lei a sbagliare. Io non la conosco, ma fatti un po’ di conti, mi pare di capire che lei appartenga alla generazione dei miei genitori. Mi permetta di dirlo: al di là di tante lodevoli eccezioni, la generazione peggiore. Quella generazione che, generalmente per bigottismo, ha negato a se stessa e ai suoi figli qualsiasi tentazione mondana e ora le concede tutte, ma proprio tutte, ai suoi nipoti. Per toccare con mano il disastro in cui viviamo, caro Daniele, non bisogna guardare come vivono e pensano i giovani, ma come sono ridotti i vecchi.
Non a caso è la generazione che si è fatta portare via la Messa senza battere ciglio, come se tutto fosse normale, direi quasi atteso come una liberazione da catene che non si riuscivano più a sopportare. Per un po’, sull’inerzia dell’abitudine, si sono mantenuti ancora certi canoni di comportamento, che non esito a definire borghesi nel senso peggiore del termine, e poi, quando l’ondata rivoluzionaria ha travolto definitivamente princìpi e costumi millenari, si sono mollati i freni.
Senza Messa, senza Sacrificio, non c’è più resistenza al male, caro Daniele: per chi ci crede e alla Messa ci va, ma anche per chi non ci crede e alla Messa non ci va.





Ora risponda lei alla mia domanda, senza giri di parole. Siamo veramente sicuri che i giovani di oggi non mettano su famiglia a causa dell’incertezza economica?
Anche lei pensa veramente che basterebbe un tesoretto da mille o duemila euro l’anno per convincere gli italiani a fare più figli, a essere più famiglia?
Perché pare questo il succo del dibattito di questi anni. Secondo gli esperti, la famiglia se la vedrebbe male, nell’ordine, a causa della crisi degli alloggi, dei tassi sui mutui, dei contratti di lavoro a termine, della tassazione elevata, del costo degli asili nido, del costo dei libri scolastici, del costo dei pannolini, dell’esosità delle badanti e via discorrendo. Ormai lo si dice nei comizi e durante le omelie, nei programmi degli enti governativi e nei piani quinquennali delle diocesi, dal Colle Quirinale e dal Colle Vaticano.

Mi piacerebbe sapere quanti giovani, potendo contare su un tesoretto che mettesse rimedio a questa debacle economica, deciderebbero di sposarsi, di mettere al mondo dei figli e di rimanere insieme per tutta la vita. Purtroppo, l’idea che basti un poco di soldi perché la voglia di famiglia riprenda quota è diventata merce comune anche tra molti cattolici secondo i quali deve pensare a tutto lo stato.
Ben vengano gli aiuti alle famiglie, specialmente quelle giovani, ben vengano le politiche sociali che sostengono il legittimo matrimonio tra un uomo e una donna che intendono avere figli. Ma io le chiedo: la famiglia ha veramente bisogno innanzitutto di soldi dello stato?
Quando lei aveva vent’anni, pensava all’aiuto dello stato per decidere di fare quello che ogni uomo ha sempre fatto in ogni tempo, e cioè mettere al mondo dei figli, avere dei nipoti ed educarli a fare altrettanto?
Forse che gli uomini e le donne di mille anni fa, che perdevano denti, capelli e forze a trent’anni, che morivano di parto a quindici, che avevano un'”aspettativa di vita” di trenta o quarant’anni, aspettavano l’Inps, la mutua, la cassa integrazione e le ferie pagate per continuare a fare il proprio lavoro e mantenere viva la loro civiltà? 

Non sarà che in questa società opulenta non ci si sposa più, non si fanno più figli e non si sta più insieme per sempre perché non si crede più in niente?
Non sarà che la famiglia ha bisogno di princìpi in cui credere e da incarnare per riuscire a guardare avanti con generosità?
Non sarà che si è troppo concentrati sul proprio ombelico per guardare negli occhi il prossimo e per ricordarsi di Dio?





I miei nonni e miei bisnonni, caro Daniele, le generazioni prima della sua, avevano magari dieci o quindici figli, ma non li avevano messi al mondo con il miraggio del tesoretto procuratogli dallo stato. Li avevano messi al mondo per la certezza della loro fede e, se non credevano, lo facevano per la certezza della fede altrui. E se qualcuno moriva, come capitava con una certa frequenza, erano convinti di avere un angioletto in più in Paradiso. Erano dei buoni cattolici e, quindi, dei buoni cittadini che si prendevano sulle spalle la loro quota di responsabilità sociale.
Altro che sicurezza sul tasso di sconto e sul mutuo agevolato.

Nessuno vuole buttare alle ortiche i possibili aiuti economici, soprattutto a beneficio di quelle molte famiglie che ogni giorno che Dio manda in terra lavorano per il bene comune, e quindi per lo stato. Ma come si può pensare che i soldi siano la soluzione di ogni problema?
Guardiamo nelle nostre case e osserviamo con attenzione i nostri figli, che a quarant’anni suonati si chiamano ancora ragazzi. Siamo sinceri: quanti di loro, pur avendo il minimo indispensabile per mettere su famiglia, preferiscono restare nella cuccia calda con mami e papi? Tanti, troppi. Essere dei buoni cittadini, e magari dei buoni cattolici, significa anche rischiare, scommettere la vita su un impegno che non deve essere necessariamente grande.
Oggi, se non c’è l’appartamento arredato, se non avanzano soldi per la vacanza esotica, due ragazzi di quarant’anni mica si possono sposare. Sono costretti, poverini, a convivere o, se sono bravi cattolici, a rimanere ognuno a casa sua.

Sacrificio, impegno, generosità, altruismo, fede, caro Daniele, oggi è tutta roba sorpassata. Eppure funzionava, e non solo per i cattolici. Anche fior di anticlericali incarnavano quei valori per il semplice fatto che li respiravano anche senza volerlo ed erano gli unici a soddisfare la loro esigenza di essere uomini veri.
Ci fosse ancora la grandezza, la statura umana e morale di certi mangiapreti in questa repubblica fondata sull’happy hour. Ma non ci sono più grandi mangiapreti perché si sono fatti merce ancora più rara i grandi preti. Quel clero che formava cittadini seri formando cattolici seri è quasi finito.

Ma, dove ci sia ancora un sacerdote capace di rimettere con i piedi per terra e la testa in cielo un uomo capovolto da decenni di religione prima bigotta e poi inevitabilmente per contrappeso protomarxista, troverà la chiesa piena di genitori con tanti bambini. Ci sarà un motivo.




E, invece, un sacco di cattolici si riduce a fare i conti sulle briciole del tesoretto buttato sotto il tavolo dal governo di turno. Chiedono più intervento dello stato e non sanno che se c’è una realtà dalla quale lo stato deve rimanere fuori è proprio la famiglia. In Svezia, proprio applicando questa teoria, in quarant’anni è stata distrutta la famiglia. L’85% delle donne ha potuto andare a lavorare invece che fare la casalinga. Peccato che ora l’83% delle donne vorrebbe stare casa con i propri figli, ma non può più farlo. E, oltretutto, troverebbe la casa vuota.

Caro Daniele, lei ha torto, torto marcio, perché sta dicendo ai suoi nipoti che fanno bene ad arrendersi a un mondo che li vuole perdere, anche se dolcemente e con tanta comprensione. Lei sta istigando i suoi nipoti alla perdizione dell’anima per inedia. Li inciti invece a rischiare la vita: non la perderanno.


Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo



marzo 2017
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