ALCUNE ELEMENTARI CONSIDERAZIONI

SULL’EUTANASIA




di
Don Curzio Nitoglia


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ERRORE PER DIFETTO: L’UOMO AMMALATO È UNA COSA

La persona umana è un “soggetto che sussiste in una natura razionale” (S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 29, aa. 1-2). Essa è quindi diversa dal sasso, che è un soggetto sussistente in una natura minerale, senza alcuna vita; da un albero, che sussiste in una natura vegetale, provvista di vita vegetativa: mangiare, crescere e riprodursi per impollinazione o seminazione asessuale; da un cane, che sussiste in una natura animale/bruto, il quale oltre mangiare, crescere e riprodursi (in maniera sessuale), ha anche una conoscenza sensibile esterna (vista, tatto, gusto, olfatto, udito) e interna (memoria); inoltre è provvisto di appetito o desiderio sensibile (ama la bistecca, odia il gatto).
L’uomo è come tutti questi enti un soggetto o una sostanza completa, ma ciò che lo differenzia da tutti loro è la natura razionale in cui sussiste, ossia l’uomo ha in più di tutti questi altri enti la conoscenza non solo sensibile (comune anche agli animali bruti), ma pure la conoscenza e l’appetito razionale (intelletto e volontà), che hanno per oggetto la verità e il bene universale o razionale, astratto, spirituale, il quale per essere raggiunto (conosciuto o voluto) presuppone delle facoltà conoscitive e volitive spirituali, razionali, astrattive e universali: l’intelligenza e la volontà razionale.
Queste due facoltà sono accidenti (qualità) i quali sussistono in una sostanza, che è l’anima razionale (ARISTOTELE, De Anima, II, 2, 414a; Etica Nicomachea, VI, II), la quale facendo da supporto a una facoltà spirituale deve essere a sua volta spirituale (S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, qq. 75-77; De Anima, 1, ad 6; 1, ad 7; 1, ad 9; 1, ad 12; 1, ad 14; 14, ad 18; In I De Anima Aristotelis, lect., II, n. 19). Ora ciò che è spirituale non è materiale, quindi non è esteso, perciò non è corruttibile e dunque è immortale. Ecco la questione capitale che riguarda la persona umana: la sua natura, che essendo razionale, è spirituale, immortale ed eterna.

Ogni uomo è, dunque, composto di corpo e di anima spirituale e immortale. La sua anima non muore mai, è immortale, quando muore il corpo umano, l’anima si separa da esso: sin qui ci arriviamo con la ragione umana come ha insegnato Aristotele nel De Anima; tuttavia l’anima umana attende di riunirsi con il corpo, col quale formava l’uomo (il solo corpo sarebbe un cadavere, la sola anima un fantasma o uno spirito). Qui, però, deve intervenire la Rivelazione divina e la Virtù soprannaturale di Fede, le quali ci dicono che l’anima si riunirà al proprio corpo il giorno del Giudizio universale, dopo la fine del mondo, quando i corpi saranno risuscitati dall’Onnipotenza divina e si riuniranno all’anima che li aveva informati durante la vita terrena (S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., Suppl., q. 88; S. c. Gent., lib. IV, cap. 91). 

Da ciò ne segue che la malattia non distrugge la natura umana, l’anima umana, la razionalità e spiritualità della natura umana, la quale è incorruttibile ed eterna, anche se il corpo si guasta, si corrompe e può compromettere, così, l’uso delle facoltà razionali (intelletto e volontà); l’uomo resta sempre un soggetto sussistente in una natura razionale, spirituale e immortale. Pure la malattia neurovegetativa o mentale, che impedisce all’anima di porre in atto la capacità o potenzialità di conoscere e volere razionalmente, non distrugge l’uomo, il quale resta sempre un soggetto razionale almeno in potenza, anche se non è più capace di conoscere e volere in atto. Proprio come quando l’uomo dorme, non conosce in atto, ma è ancora uomo e come tale ha diritto alla vita, che non gli può essere tolta.

Ora i fautori dell’eutanasia (dal greco “éu / buono” e “tànathos / morte”, ossia morte buona, dolce, indolore, tranquilla, rapida (1)  ...) pretendono che la malattia grave distruggerebbe l’uomo sino al punto dal renderlo non più soggetto sussistente in una natura razionale, ma lo ridurrebbe allo stato animale/bruto o vegetale. Quindi sarebbe lecito togliere la vita a un ammalato grave come lo è sopprimere un cane o tagliare un albero che sono ammalati. Per questo motivo la soppressione di un ammalato grave o di un feto non ancora partorito, non sarebbero omicidio (eutanasico o abortivo).

Questo primo errore riguardo alla vita della persona umana pecca per difetto, rendendola un semplice animale o vegetale. Vi è tuttavia un secondo errore per eccesso, che fa dell’uomo una Divinità con potere assoluto sopra ogni cosa.

ERRORE PER ECCESSO: L’UOMO È IL PADRONE ASSOLUTO DELLA SUA VITA

Ecco spiegata la seconda obiezione che viene mossa dai fautori dell’aborto e dell’eutanasia contro il diritto alla vita anche per gli ammalati o in non ancora nati, esso è il seguente: l’uomo è il padrone assoluto del suo corpo (difficilmente si parla di anima, quando si sostiene l’assolutezza dell’uomo, innalzandolo al livello di Dio) come ha un diritto di proprietà sulle cose, le piante e gli animali, delle quali può disporre a suo totale piacimento. Quindi può usarne e abusarne come vuole, ne ha diritto di vita e di morte come se il suo corpo fosse una cosa, su cui si può disporre totalmente e finanche arrivare alla sua consumazione completa o distruzione.      

La risposta è semplice, l’uomo è una creatura, non è il Creatore, il quale solo è il Padrone assoluto della vita umana. L’uomo è l’amministratore di se stesso e dei suoi beni e deve rendere conto del suo operato al Padrone assoluto del cielo e della terra, che è soltanto Iddio onnipotente. Nella procreazione se i genitori (non solo la madre, come vorrebbero le femministe, secondo le quali: “l’utero è mio e me lo gestisco io”) generano il corpo del figliolo, Dio infonde l’anima razionale nel feto non appena formato (Gen., II, 7). Quindi non è vero che il nascituro sia tutto e solo dei genitori, i quali non possono sopprimerlo come se fossero i suoi Padroni assoluti.

Conclusione

 «L’uccisione di persone vecchie e decrepite, di bambini deformi o deboli, in uso presso popoli più o meno barbari, era una forma di eutanasia. Il Cristianesimo ha fatto sparire anche questa usanza inumana. Nella morale e nel diritto, durante l’era cristiana, l’eutanasia fu universalmente trattata come omicidio o suicidio. Oggi dobbiamo costatare un triste ritorno ai barbari costumi che si manifestano in proposte di leggi, le quali autorizzano i medici a uccidere placidamente gli ammalati che vogliono la morte o che dispongano l’uccisione di persone inutili a causa di malattie o vecchiaia avanzata. […]. L’eutanasia è un atto intrinsecamente cattivo. È suicidio o omicidio a seconda del caso. […]. L’eutanasia è direttamente contraria al fine proprio della medicina e del medico, che deve mederi, ossia guarire e quindi salvare la vita degli uomini, usando tutte le risorse a sua disposizione. L’eutanasia è uccidere. […]. Le leggi che premettono o impongono un tale atto sono leggi cattive. Obbedire a tali leggi è commettere peccato di omicidio» (F. ROBERTI – P. PALAZZINI, Dizionario di Teologia morale, Roma, Studium, 1955, p. 506, voce “Eutanasia”, ristampa, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019 (2)).


NOTE

1
- Si noti la equivocità diabolica del termine “morte / buona”. Infatti una volta la “buona morte” era la “grazia delle grazie”, ossia la “perseveranza finale” (cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 137; I-II, q. 109, aa. 9-10; I-II, q. 114, a. 9) e consisteva nel morire in grazia di Dio, anche tra dolori atroci (v. il Martirio o la morte di Gesù sulla Croce) per poter andare così in Paradiso; mentre la “morte cattiva” o “mala morte” era quella “improvvisa” o “imprevista”, in disgrazia di Dio, magari senza accorgersene, ma foriera della dannazione eterna. Ora l’eutanasia o suicidio assistito è esattamente la “mala morte” in disgrazia di Dio, poiché fatta violando il V Comandamento: “Non uccidere”, che è un peccato mortale e spalanca le porte dell’Inferno eterno. Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 95.
2 - Cfr. A. ODDONE, L’uccisione pietosa, in “La Civiltà Cattolica”, 1950, I, pp. 245-257; L. BENDER, Eutanasia, in “Medicina e morale”, n. 18, 1943, articolo V.




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