IL FALSO E IL VERO DANTE.

CHIARIMENTI

Parte sesta




Dante, in ginocchio, e Beatrice davanti alla Croce con Cristo
Paradiso, canto quattordicesimo
Illustrazione di Gustave Doré


Dante in Islanda (1)

Il lettore ci scuserà se, per l’argomento in titolo, ci attarderemo un po’ a lungo sicuri, tuttavìa, di non tediarlo.
Tutto, infatti, dipende dal groviglio labirintico in cui siamo incappati quando ci accingemmo, nel dicembre del 2006, a leggere le 273 pagine di un tomo dal ghiotto titolo: “I custodi del Messaggio – dalla Commedia al Cenacolo, la mappa segreta del viaggio di Dante in Islanda sulle tracce del santo Graal – (Ed. Sperling&Kupfer 2006)” da cui ci affrettammo di uscire il prima possibile onde evitare un travaso di bile o soccombere a una colossale risata.
  
Di Dante e su Dante s’è scritto e detto più di quanto si possa immaginare: ghibellino, alchimista, cataro, massone, sufi islamico, socialista, extraterrestre, kabbalista, rosacroce, tossicodipendente, fedele d’amore ma che fosse ardito viaggiatore ed esploratore di terre boreali, artiche – erede del vichingo Erik il Rosso e predecessore di Roald Amundsen e di Umberto Nobile – recatosi addirittura in Islanda per una ricognizione geografica, utile a conferire veridicità alla topografìa del Paradiso terrestre purgatoriale, e della candida rosa paradisiale con annessa una sbirciatina sul Santo Graal, ci è parsa – come si annuncia già nel titolo – una bufala così grossa e bischera, da pensare per un attimo di fermarci qui e chiudere il discorso.

La curiosità e il nostro professionale interesse – una vera passione – per ciò che riguarda la nostra Maggior Musa, ci han sospinto ad andare al fondo della frottola.


Gli autori, tali Giancarlo Gianazza – ingegnere – e Gian Franco Freguglia – letterato/dantista (?) – hanno costruito, e presentato, un Dante che il 14 marzo del 1319 parte per l’Islanda dove studia la morfologìa del luogo che gli sarà modello per il Paradiso Terrestre e per i fiumi Lete ed Eunoè, così come saran descritti, più tardi, nella cantica del Purgatorio (XXVIII-XXXIII). E con quali mirabolanti argomenti dimostrano siffatta impensata scoperta? Strologando di angoli, parallassi, poligonali, azimut e zenit, latitudini e longitudini, triangolazioni, sezioni auree, equinozî e solstizî quali appaiono – ma solo agli intelletti sottili! – nel Cenacolo leonardiano (Milano – Santa Maria delle Grazie), nella Primavera botticelliana (Firenze – Gallerìa degli Uffizî), in Monna Lisa, alias la Gioconda (Parigi – Louvre), nella raffaelliana Stanza della Segnatura  (Roma – Musei Vaticani), nelle oscure vicende dei Catari, Montségur, Templari, nelle tele di Poussin, la Maddalena, il Santo Graal.
Una serqua, un carosello, un coacervo, uno straripare di calcoli, algoritmi, carte astronomiche da frullare il cerebro, ipotesi che spuntano come funghi in una pagina e che, nella successiva, diventano verità, quasi il cadenzare d’una reazione a catena. Una brodaglia di frescacce, la quasi totalità carpite da quei calderoni in cui autori, contigui alla fratellanza tre puntini (2), preparano minestroni da offrire alle gole affamate dei tanti vagabondi del mistero.


Parte per l’Islanda il 14 marzo del 1319 (da solo?), per un viaggio di A.R. che, data la distanza e tenuto conto dei mezzi di locomozione dell’epoca, del corredo di viaggio – carri, muli, navi, strumenti, vettovaglie, biancherìa – e della stessa mèta del tutto conosciuta – la mitica Thule (?) – non sembra proprio una gita fuori porta, specialmente se si considera che Dante veleggia verso i 54 anni, età che, in quell’epoca, designa l‘uomo già in fase declinante e, per giunta, proprio lui che non dovrebbe passarsela bene, malazzato com’è, nutrito a pane altrui che ‘sa di sale’ (Par. XVII, 58), ramingo e stremato da ‘lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale’ (Par. XVII, 6), fatto macilento, ‘macro’ per la fatica sopportata nella composizione del suo poema sacro per il quale ha sofferto ’fami, freddi e vigilie’ (Pg. XXIX, 37-39).

Carta geografica alla mano, si possono calcolare, della tratta Verona-Islanda, due distanze: una, in linea retta di più o meno 2.900 km, naturalmente da scartare per chi ‘non è spirto che l’aere vada’ (Inf. XII, 96), e l’altra, che tiene conto delle necessarie, ovvie deviazioni di terra e di mare, di più o meno 3.900 km, distanza questa che, considerato essere un tragitto di A. R., si raddoppia in 7.800 km. Un viaggetto dai tempi lunghi, epperò svolto in tempo brevissimo se già, il 20 gennaio del 1320, Dante si trova a Verona dove, nella chiesa di Sant’Elena tiene la ‘lectio magistralis’ sulla ‘Quaestio de aqua et terra’.

Non tutto quadra anche perché, a sentire Leonardo Bruni, Dante, dopo la morte dell’imperatore Arrigo VII (24 agosto 1313), “trapassò il resto della sua vita dimorando in varî luoghi per Lombardìa, per Toscana e per Romagna sotto il sussidio di varî signori”, senza dubbio presso Cangrande di Verona e, nei primi del 1320, a Ravenna presso Guido Novello. Nessun cenno a un viaggio sulla rotta polare quando, invece, di simile impresa – viaggio ‘di studio’ nell’isola Islanda – qualcuno della spedizione ne avrebbe diffuso notizia datane l’eccezionalità. Ma per quale scopo? si domandano gli autori.

Si rispondono: per deporre in un tempio sotterraneo, segnalato da un cubo roccioso, posto in una conca ad anfiteatro, il suo segreto di templare. Un cubo che uno degli autori afferma di averlo trovato, fotografato e reso documento. Povero Dante, pensiamo: gli sarebbe stato sufficiente farsi un giretto per le cave apuane dove, di cubici blocchi marmorei c’era, e c’è, da scegliere. Invece no! Se ne va in Islanda – dietro casa! - dove trova gli elementi topografici quali modelli per descrivere la divina foresta del Paradiso Terrestre, il percorso fluviale di Lete e di Eunoè e financo l’anfiteatro roccioso, col cubo di cui sopra al centro, a fare da planimetrìa alla ‘candida Rosa’ dell’Empireo.

Esagerato di un Dante! Andarsene in Islanda quando, per la foresta paradisiale, aveva a disposizione i faggeti, i castagneti, i querceti, i lecceti della sua Toscana non tacendo delle pinete pisane; quando per Lete ed Eunoè, c’era da scegliere fra i tanti ‘canali freddi e molli’ del Casentino (Inf. XXX, 65); quando per l’anfiteatro della candida Rosa empirea c’era l’imbarazzo della scelta fra le numerose arene romane, ai suoi tempi ancora in ottime condizioni.

Ma, rilanciano i due dantenauti: non avete notato quante volte il Poeta cita il fuoco, il fumo, il vapore acqueo, segni e indizî della diretta osservazione dei geyser islandesi?
Controreplica: ma non gli era più comodo, al poeta, sostare al ‘Bulicame’ di Viterbo (Inf. XIV, 80), bagnarsi alle calde sorgenti di Montecatini, di Chianciano, di Saturnia, o scarpinare per le Colline Metallifere del pisano, ed assistere ai getti dei soffioni che, molto più tardi, saranno indicati come i ‘soffioni di Larderello’ dal nome di Francesco Giacomo de Larderel, imprenditore livornese di origine francese, il quale, nel 1827, vi impiantò l’industria del boro?

Se non credete a noi, incalzano, irriducibili, gli autori sfilando - e te pareva! - dalla manica l’asso dell’esoterismo, studiatevi Raffaello, Botticelli e Leonardo. Nei loro capolavori è nascosta la cifra di questo viaggio straordinario, cifra possibile a vedersi solo a chi, come afferma Platone, ama la geometrìa e le realtà ‘sottili’. Insomma, la Divina Commedia la si comprende solo con esercizî di enigmistica sostenuti da appositi algoritmi, partendo poi in pellegrinaggio verso l’Islanda. Una bufala bombastica!

Ma tant’è: il libro fa bella mostra di sé negli scaffali della rete, fascinando i sommozzatori dei fondali dell’occulto, intenti ad esplorare la trita e ritrita terzina: “O voi ch’avete l’intelletti sani / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ‘l velame de li versi strani” (Inf. IX, 60-63), il classico ‘ponte degli asini’ di tutti i tirocinanti esoteristi che almanaccano sui pretesi oscuri anfratti misterici della Divina Commedia ma non vi scorgono la luminosa sfera della sua ‘essoterica’ poesìa e dell’altissima e pura dottrina cattolica.

Postilla: gli autori affermano che il sopralluogo, che il poeta compie in Islanda, è funzionale modello alla topografìa del ‘Paradiso Terrestre’ (Pg. XXVIII- XXXIII). Messa da parte la burbanza di simile congettura, c’è una evidente falla nella tempistica stabilita dagli autori perché, stando alla Storia – categorìa più seria della storiella – se Dante completa la seconda cantica nel biennio 1314-1315, ci spieghino a che pro’ effettuare la spedizione polare nel 1319?



NOTE

1
– Il presente articolo è apparso nel nostro libro: “Luoghi comuni, falsi e bufale” Ed. Centro Incontri Culturali, Civitavecchia, 2018, pag. 141-144.
2 – M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln: Il Santo Graal, Ed. Mondadori 1982;
      Dan Brown: Il Codice da Vinci, Ed. Mondadori, 2003









gennaio 2021
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