Alla ricerca del culto perduto  / 3



di Elia



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Tu benedices iusto (Tu benedirai il giusto; Sal 5, 13).

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Mentre si recita attentamente l’Ufficio Divino, può capitare che un versetto pronunciato centinaia di volte sprigioni inaspettatamente una luce originale in rapporto all’attualità ecclesiale. Poiché la Sacra Scrittura è ispirata da Dio, non c’è in essa nulla di incoerente; alla lettura spirituale, anzi, tutto rivela un ordine e una coesione mirabili.
Il Signore – afferma il Salmista – non benedice se non i giusti, gli unici che siano suscettibili di esser benedetti; il Sommo Bene, infatti, non può comunicarsi a chi si è volontariamente posto in una disposizione contraria. La proposizione messa in risalto conclude una riflessione sulla situazione dei malvagi di fronte a Colui che ne aborrisce le scelte: «Al mattino starò alla tua presenza e vedrò che tu non sei un Dio che voglia l’iniquità, così che il maligno non abiterà presso di te, né persisteranno gli ingiusti davanti ai tuoi occhi. Odi quanti operano l’iniquità; rovinerai quanti proferiscono menzogna. Il Signore detesta l’uomo sanguinario e ingannatore» (Sal 5, 5-7).


Impossibili benedizioni

Questa evidente certezza non fa altro che confermarsi e precisarsi laddove si consideri la natura della fede. Essa consiste nell’adesione dell’intelletto, mosso dalla volontà sotto l’influsso della grazia, alla Rivelazione divina, la quale contiene non soltanto verità su Dio e sull’uomo, ma anche norme che consentano al secondo di vivere in armonia col primo. Lo scopo della Rivelazione, infatti, è stabilire una relazione di amicizia tra il Creatore e la creatura, cosa che esige evidentemente la sottomissione dell’una all’Altro. L’uomo, essendosi integralmente ricevuto da Dio e tendendo consapevolmente a Lui come al proprio fine ultimo, non può realizzare la propria vocazione se non mediante l’amorosa obbedienza a Colui che per pura generosità gli ha dato l’essere e la grazia in vista della gloria.
Una relativa autonomia consiste per lui nella capacità di determinare liberamente le sue scelte in funzione del fine, non certo di individuare il fine stesso e il modo di giungervi.


Le benedizioni sono sacramentali, ossia riti istituiti dalla Chiesa che, per una certa somiglianza con i Sacramenti, ottengono effetti soprattutto spirituali (ma non solo) che dispongono l’anima a ricevere la grazia santificante o a farla fruttificare.
Mentre i Sacramenti, dal punto di vista della sola validità, producono infallibilmente l’effetto proprio di ciascuno con la semplice esecuzione del rito previsto (ex opere operato), richiedendo l’adesione interiore ai soli fini della fruttuosità, i sacramentali sono efficaci in base alla fede e alle disposizioni sia di chi li amministra sia di chi ne beneficia (ex opere operantis). Poiché la fede, come appena visto, include necessariamente scelte di vita corrispondenti, è impossibile che una benedizione abbia effetto su chi vive in modo ad essa contrario, a meno che non ne sia pentito e non stia facendo il possibile per uscire dalla sua situazione di peccato; qualora quest’ultima sia pubblica, una benedizione costituisce un intollerabile scandalo.


Decomposizione della Liturgia

Chi si oppone al rito tradizionale lo fa mosso da una concezione della Liturgia che non corrisponde alla sua realtà oggettiva, bensì alla sua visione ideologica, artificiosa e storicistica. L’aggiornamento della dottrina e del culto, con il quale si è cercato di legittimare la rivoluzione conciliare, esprime di fatto un tentativo di reinterpretare il cristianesimo in chiave antropocentrica. Il fondamento di esso è la contraddittoria (e per ciò stesso assurda) pretesa, esplicitamente dichiarata nel discorso di chiusura del Vaticano II, di conciliare il culto del Dio che si è fatto uomo con quello dell’uomo che si fa dio.
Le radici di tale prometeica ribellione affondano nel pensiero di quegli umanisti che, non a caso, si sentirono chiamati a tradurre (e quindi praticare) il Corpus Hermeticum, vera e propria summa della stregoneria egizia. L’accanita difesa della nuova Messa, inscindibile dall’odio per quella antica, puzza effettivamente di luciferino e di pratiche occulte.

Pretendere peraltro di reprimere abusi in un contesto intellettuale e operativo strutturalmente soggetto a continua evoluzione è quanto meno risibile: una volta demoliti i fondamenti e rimosse le pietre di confine, a che cosa ci si può ancora appellare per esigere l’osservanza delle norme, se oltretutto si emette non un testo legislativo, ma una semplice nota? Se i ministri che alterano i riti prescritti fino a renderli invalidi non vengono sanzionati, che cosa li fermerà? Essi sono fermamente convinti, in base alle loro idee, di agire in modo lodevole per il bene dei fedeli e della Chiesa; nella loro mente il concetto di validità è del tutto superato a vantaggio dell’efficacia pastorale, la quale, benché solo presunta, per loro sussiste per il semplice fatto che l’hanno pensata.
Tale idealistica prevalenza del pensiero sul reale, d’altronde, è in perfetta continuità con i princìpi che hanno guidato la cosiddetta “riforma” liturgica: può forse la rivoluzione cristallizzarsi in una forma definitiva?

La propensione a trasformare la Liturgia in campo di incessanti sperimentazioni dettate da opinioni strampalate non poteva non sfociare nella decisione di impartire “benedizioni” (del tutto inefficaci, come appena visto) anche a chi vive in peccato mortale manifesto. Si osserverà che questo nasconde in realtà la volontà di legittimare il vizio di chi legifera, ma ciò non toglie che l’effetto di interventi del genere, oltre allo scandalo immediato, è a lungo termine una deformazione mentale che conduce a considerare il culto un fatto completamente arbitrario, privo di consistenza propria, soggetto al puro arbitrio di chi se ne occupa e ridotto a veicolo di propaganda ideologica. Quel che è peggio, quanto ai metodi, è la perversione delle giovani coscienze di seminaristi, frati e suore che, a causa dei loro studi e della “formazione” ricevuta, perdono quel po’ di fede e buon senso che avevano all’inizio e, per mezzo di una sottile quanto pervasiva manipolazione mentale, sono violentati nell’anima (oltre che, spesso, anche nel corpo).


Eredità per il futuro

Molti di noi hanno avuto la grazia di conoscere, in gioventù, qualche anziano sacerdote formato alla vecchia maniera: animato da fede robusta e serena, dotato di sano senso pratico e pastorale, mosso da bontà disinteressata e concreta, pieno di attenzione discreta ed efficace ai bisogni altrui, dolce e compassionevole verso ogni umana miseria, affabile e scherzoso anche nelle prove, mite e magnanimo perfino con gli avversari, solido come una roccia e delicato come una madre, capace di incessante zelo e abnegazione fino all’eroismo, ma senza spettacolarità né vittimismo, accurato nel culto senza essere maniaco di pizzi e merletti. In lui non si cercava l’oratore brillante o l’intrattenitore di successo, ma una parola amica al momento giusto, un consiglio sapiente nelle difficoltà, una mano che sollevasse dalla malattia o asciugasse le lacrime, la grazia di un’assoluzione amministrata dopo aver suscitato sincero pentimento, il gesto sacro che preparasse all’ultimo passaggio… in una parola, la presenza di Gesù perpetuata sulla terra.

Da dove scaturiva tutto questo? Dalla completa e definitiva rinuncia a se stesso e ai propri comodi, appresa con un’ascesi semplice e soda; dall’insegnamento delle virtù sacerdotali e religiose, impartito con dovizia di esempi tratti dalla vita dei Santi, immensa famiglia nella quale si sentiva a casa; dalla crocifiggente recitazione del Breviario con tutte le letture patristiche, così ricche di umanità e dottrina; dalla meditazione della Scrittura letta nella Vulgata; dalla contemplazione, coi calli alle ginocchia e la corona sempre in mano, dei divini misteri gustati nel Rosario; dal frequente colloquio col Prigioniero del tabernacolo; dal quotidiano associarsi all’immolazione della Vittima pura, santa e immacolata; dal continuo contatto con i problemi della povera gente, illuminato da un’incrollabile fiducia nella potenza della grazia e da un’intima familiarità con le imprevedibili vie della Provvidenza; da una sincera e profonda solidarietà con gli uomini, debitori come lui al Redentore. La sua carità troverebbe certo la parola e i gesti più adatti anche con gli odierni peccatori, talmente smarriti da non saper più neppure riconoscere il proprio peccato, ma li benedirebbe soltanto dopo averli riportati a Dio, fonte di ogni benedizione. Questo è vero amore.






 
febbraio 2024
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