Respinto l’ultimatum israeliano ai cristiani di Gaza:

Moriremo nelle nostre chiese






Pubblicato dal Centro Studi Federici





La parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza



Mentre i sionisti e i loro complici occidentali si inalberano quando viene utilizzato il termine di genocidio per indicare il massacro sistematico della popolazione palestinese, la piccola comunità latina di Gaza è di nuovo nel mirino delle bombe israeliane.

All’inizio del conflitto l’esercito israeliano (IDF) aveva invitato i civili a lasciare il Nord della Striscia, colpito dai bombardamenti a tappeto, per trovare rifugio e salvezza a Sud: confrontandosi con dei mentitori spudorati (come è menzognera la propaganda televisiva dell’ufficio stampa dell’IDF ripresa a reti unificate in Italia), anche la maggioranza della popolazione che si era trasferita nella parte meridionale ha trovato morte e distruzione.





I pochi cristiani di Gaza City (un migliaio di persone, appartenenti alla parrocchia cattolica e quella greco scismatica) non sono caduti nella trappola e hanno preferito trovare rifugio nelle due strutture parrocchiali, dopo aver perso le loro case e tutto quello che possedevano.
Purtroppo 30 di loro sono morti, 17 sotto le bombe, 2 per il fuoco dei cecchini e 11, anziani e malati, per la mancanza di cure.

Adesso Tel Aviv ha ripetuto l’ordine di partire, e i cristiani – ormai sfiniti dal punto di vista fisico e nervoso – hanno ribadito che preferiscono attendere la morte vicino alle loro chiese.
Questa povera gente dimostra molta più dignità della pletora di politici (di tutti gli schieramenti) appiattiti sulle posizioni sempre più forsennate del sionismo.


La parrocchia di Gaza di nuovo in mezzo alle bombe

La testimonianza di suor Nabila Saleh e quella del parroco padre Romanelli sulla necessità di evacuare immediatamente i quartieri Zaitun e Turkman di Gaza City.

Evacuare immediatamente i quartieri Zaitun e Turkman di Gaza City per non ritrovarsi in mezzo ai combattimenti. È quanto ha intimato l’Esercito israeliano ai civili che abitano ancora in queste due zone della città.
A confermare la notizia al SIR è suor Nabila Saleh, sfollata con altri 600 fedeli cristiani nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica cattolica della Striscia di Gaza, che si trova proprio nel quartiere Zaitun.
«Da ieri Israele sta bombardando il nostro quartiere», dice la religiosa delle Suore del Rosario che a Gaza gestiscono una scuola di 1250 alunni, distrutta dai raid aerei israeliani.




Suor Nabila Saleh


«Vogliamo restare qui»

«Siamo di nuovo sotto le bombe e arrivano messaggi da Israele che invitano i civili a evacuare la zona». Non è la prima volta che l’esercito israeliano intima alla popolazione di Gaza City di lasciare la zona e ogni volta gli sfollati cristiani che vivono nel complesso parrocchiale hanno deciso di restare. Impossibile, infatti, spostare gli anziani, i malati e i disabili accolti nella parrocchia e assistiti dalle suore senza mettere a repentaglio la loro incolumità.




I fedeli cristiani hanno sempre detto di voler restare in parrocchia: «Se dobbiamo morire preferiamo farlo stando il più vicino possibile a Gesù, vicino all’altare. Da qui non ce ne andiamo, questa è la nostra casa e qui rimaniamo». E anche questa volta sarà così: «Resteremo qui in parrocchia e non ci muoveremo» conferma suor Nabila.
«La cosa che fa soffrire più di ogni altra è che nessuno fa nulla per fermare questa guerra, per dire ai due contendenti “adesso basta”. La comunità internazionale non ha coraggio. Intanto qui i civili muoiono sotto le bombe, di fame e di stenti. Cosa altro vogliono dalla povera gente?».


La Via Crucis

Padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, da Gerusalemme, dove si trova bloccato dal 7 ottobre proprio a causa della guerra e impossibilitato a rientrare tra i suoi parrocchiani, parla di «Via Crucis dei cristiani di Gaza e della popolazione civile che vi abita». In continuo contatto, con il suo vicario, padre Youssef Asaad, il parroco spiega che «la situazione peggiora ogni giorno di più, ogni ora, ogni minuto che passa sale il numero dei morti».




Padre Gabriel Romanelli


Il bilancio di oggi, dall’avvio della guerra, è di almeno 29.195 morti e di 69.170 feriti, secondo il Ministero della Salute di Hamas. Anche nella parrocchia le condizioni di vita si fanno più difficili: «In questi ultimi tempi – dichiara padre Romanelli – la cucina è stata operativa tre giorni a settimana con i fedeli che hanno cercato di reperire il cibo necessario come potevano. Per fare il pane è stata usata farina non raffinata, l’unica disponibile al momento».

Un clima che pesa sulle spalle dei 600 sfollati cristiani che da più di 4 mesi alloggiano negli ambienti della parrocchia: «Sono stanchi, tristi, affranti. Non vedono futuro davanti ai loro occhi, ma, nonostante ciò, si prodigano per chi ha meno di loro, per le famiglie che abitano vicino la parrocchia e che sono tante».

«In questa Quaresima – conclude suor Nabila – condividiamo la nostra Via Crucis con Gesù che per primo ha condiviso la sofferenza umana. Abbiamo questa fiducia in Lui, che ha in mano l a storia, e chiediamo il dono della pace. Pregate con noi, per noi e per Gaza».








 
febbraio 2024
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