Pasqua di riscatto


Articolo di Elia



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Secundum multitudinem impietatum eorum expelle eos (Sal 5, 11).

«Secondo la moltitudine delle loro empietà, cacciali fuori».

Non è difficile intuire perché un certo versetto dei Salmi, letto tante volte, in determinate circostanze colpisca più vivamente l’attenzione di chi prega: le manifestazioni di irreligiosità, all’interno della Chiesa, continuano a moltiplicarsi ovunque in forme sempre più raccapriccianti, in particolare nella regione in cui da anni si rinnovano le cosiddette veglie parrocchiali contro l’omofobia (neologismo privo di senso che non deve neppure entrare nel linguaggio ecclesiastico). Il terremoto del 2012, a quanto pare, non ha insegnato nulla: i castighi divini, un tempo, incitavano a pubblici esercizi di penitenza e riparazione; oggi, invece, si ritiene più benefico esporre in chiesa quadri di soggetto religioso con allusioni oscene. Non insisteremo qui sulla descrizione delle tele sacrileghe, imbrattate da un pervertito, che da settimane profanano una chiesa di Carpi; vogliamo piuttosto riflettere sulle colpe degli ecclesiastici che han reso possibile un simile scempio.


Distorsioni mentali

Desideriamo preliminarmente rilevare il voluto equivoco proveniente dalla “cultura” profana, che ha contagiato anche l’ambiente ecclesiale: l’idea, cioè, che ai sedicenti “artisti” sia consentito tutto in nome di una pretesa insindacabilità assoluta della disciplina da loro coltivata. Questa aberrazione è frutto della dissoluzione dell’estetica, che non coglie più il nesso metafisico (ossia inerente alla pura e semplice realtà) tra vero, buono e bello.
Il senso comune reagisce spontaneamente alla bruttezza di manufatti presentati come “opere d’arte”, in quanto vi percepisce in modo naturale la discordanza con quell’esigenza di conformità alla verità e al bene che è propria dell’intelletto e della volontà. I cultori delle discipline artistiche contemporanee – compresa la musica – han deliberatamente scisso l’unità ontologica che presiede alla bellezza e, di conseguenza, teorizzano un’ideologia demoniaca che pretende di attribuire valore a produzioni che ne sono del tutto prive, ma si impongono al gusto unicamente in virtù di un indottrinamento di stampo totalitario.

Innegabili son le somiglianze con i regimi comunisti, nei quali era la direzione del partito a stabilire i canoni del vero, del buono e del bello, contro ogni evidenza e buon senso. Questa ingiustificabile aggressione delle menti e dei cuori (poi fatta propria, anche nell’Occidente “libero”, dai politici e chierici di formazione marxista) è una forma di inversione delle tendenze più normali dell’uomo in quanto radicate nella sua stessa natura; non per niente, essa è stata propedeutica all’imposizione dei cortei osceni e blasfemi che ogni anno si ripetono nel mese di Giugno.
Gran parte della popolazione non ha più nemmeno un sussulto di fronte a comportamenti pubblici che, oltre a calpestare le cose più sacre, degradano gli esseri umani in modo intollerabile; tante persone, anzi, per timore di esser bollate col marchio infamante di omofobo, accettano senza fiatare di esser violentate nel senso del pudore, strettamente connesso alla dignità della persona umana. Ci sono però ancora dei cattolici – e sono tanti – che non sono disposti a continuare a subire questi soprusi morali.


Fatti oggettivi, non opinioni

Riguardo alla mostra di Carpi, non è questione di avere una certa sensibilità oppure un orientamento conservatore o, addirittura (ciò che dà un’impressione ancor più negativa), ultraconservatore: qui c’è semplicemente l’evidenza di un peccato (secondo la legge divina), di una profanazione (secondo la legge canonica) e di un crimine (secondo la legge civile).
La prima, con il Secondo Comandamento, condanna ogni forma di oltraggio rivolto a Dio, che sia verbale o visivo; in questo caso la bestemmia è aggravata dal suo carattere permanente e va pure contro il Primo Comandamento, essendo commessa in un luogo sacro, vale a dire in un edificio riservato in via esclusiva al culto divino. Quest’ultimo dettaglio viola il canone 1210 del Codice di Diritto Canonico, che recita testualmente: «Nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione, e vietata qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo». Il canone 1211 stabilisce che «i luoghi sacri sono profanati se in essi si compiono con scandalo azioni gravemente oltraggiose».

La legge civile, con l’articolo 403 del Codice Penale, punisce con la reclusione fino a due anni «chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di chi la professa».
In questo caso non è la religione in se stessa ad essere tutelata, bensì la persona di chi vi aderisce; occorre pertanto dimostrare, in sede giudiziaria, che i querelanti, in quanto aderenti alla religione cattolica, sono effettivamente vilipesi dalle tele esposte a Carpi.
Risulta al momento che i comitati costituitisi in relazione al fatto hanno promosso azioni legali contro la curia diocesana, la quale deve rispondere di una palese violazione della legge divina, canonica e statale. È chiaro che non siamo di fronte a una controversia di opinioni, gusti o preferenze, ma ad un fatto oggettivo che non si può in alcun modo negare e rende ingiustificabile la pertinacia dei responsabili, sordi ad ogni protesta dei fedeli, per quanto legittima e motivata.
In questo clima di oppressione totalitaria che parte dal vertice e ricade sui gradi inferiori, non vogliamo più sentir parlare di quelle scemenze che la nomenklatura propala sotto vuoti termini come ascolto e sinodalità; ne abbiamo abbastanza.


Azioni concrete

In attesa che le denunce seguano il loro corso, è moralmente lecito – anzi doveroso – intervenire in modo diretto. Se non è possibile, date le dimensioni degli obbrobri da rimuovere, farlo alla maniera della pachamama, si può impedire l’accesso alla chiesa, senza smettere di manifestare sonoramente il proprio dissenso al vescovo, al parroco e ad ogni altro responsabile. Quei sovversivi in abito clericale devono rendersi conto che il Popolo di Dio, di cui si sono riempiti la bocca per decenni, non è più disposto a sopportarli; è ora di presentare il conto a quella casta di miscredenti per tutte le nefandezze e le omissioni che portano sulla coscienza pietrificata. Presto o tardi, tutto si paga, o in questa vita o nell’altra; meglio di qua che di là, dove le pene sono tremende. Pure questa è una realtà oggettiva, a prescindere da ciò che ne pensano i prelati traditori nella vacuità dei loro vaneggiamenti, nutriti dalle fole della loro “teologia” razionalistica ed empia. Le idee non cambiano i fatti, ancor meno se sono sballate; chi pretende di modificare la Chiesa a partire da un programma ideologico non differisce affatto da Lenin e Stalin.

Se in questa Settimana Santa vogliamo imitare il Signore in modo speciale, cominciamo dall’atto che seguì immediatamente l’ingresso regale a Gerusalemme. Se, davanti al Santissimo Sacramento, ci si domanda che cosa farebbe Gesù se fosse fisicamente presente a Carpi, basta leggere il Vangelo: «Entrato nel Tempio cominciò a cacciarne fuori i venditori, dicendo loro: “Sta scritto: ‘La mia casa sarà una casa di preghiera’; voi invece ne avete fatto una spelonca di briganti”» (Lc 19, 45-46; cf. Is 56, 7; Ger 7, 11).
Come apostroferebbe gli ecclesiastici indegni? In termini come questi: «Il regno di Dio sarà tolto a voi e sarà dato a un popolo che ne faccia i frutti» (Mt 21, 43).
Sì, i tempi sono maturi per porre fine alla farsa postconciliare ed estrometterne i pagliacci dalla Chiesa, condannati dalla loro stessa sterilità spirituale: «Che mai più venga frutto da te» (Mt 21, 19).
Il Figlio di Dio non ha patito la morte di croce per instaurare un regime di empi, affaristi e pederasti né per autorizzarne i latrocini e i vizi immondi.

Fuori dalla Chiesa – e dalle chiese – falsari e profanatori con i loro sordidi costumi e lerce mercanzie! Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!








 
marzo 2024
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