I frutti della Passione della Chiesa

di Cristina Siccardi



Pubblicato su Corrispondenza Romana






Orazione nell'orto



Siamo nella Settimana Santa e la Chiesa celebra il triduo pasquale.
I due atti che avvengono prima della Passione sono l’istituzione del Sacramento della Comunione e l’istituzione del sacerdozio, che Gesù realizza alla presenza dei Suoi Apostoli; mentre il terzo atto, che precede la Sua cattura, è la Sua solitaria orazione nell’Orto del Getsemani, un piccolo oliveto poco fuori dalla città di Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi.

I pittori hanno lasciato molte opere inerenti questo sacro soggetto religioso per rappresentare l’abbandono da parte degli Apostoli del loro divino Maestro, che rimane completamente da solo, nella terribile angoscia umana, a pregare e sudare sangue.

Anche oggi Gesù è lasciato solo? Non lo crediamo, perché, nonostante i tradimenti e le apostasie dei nostri tempi, molte anime sacerdotali, religiose e di fedeli lo cercano nella Tradizione, abbandonando il pensiero innovativo e rivoluzionario di uomini di Chiesa che hanno scelto più il mondo che Lui.

C’è una tempera su tavola, firmata da Andrea Mantegna, che in qualche modo può ricondurre iconograficamente a quanto appena detto; si tratta dell’Orazione nell’orto (63 x 80 cm), databile 1455 circa, che è conservata alla Nation Gallery di Londra. Precedentemente, l’opera si trovava nella collezione del conte di Northbrook e in quella di William Coningham.
È un piccolo dipinto che recupera bene il concetto di Dio Creatore e Salvatore e dell’uomo peccatore e distruttore, ma la direzione è sempre verso la restaurazione del vero e, dunque, del bene.

Gesù si trova a pregare nel Getsemani in un contesto roccioso, dove il Salvatore è in orazione, in ginocchio, su di uno sprone rialzato, che ha le sembianze di un altare.
Nostro Signore sta per essere sacrificato da coloro che non l’hanno riconosciuto, da coloro che lo invidiano, da coloro (tutti quanti, passati e futuri) che peccano. Di fronte al Redentore sono apparsi alcuni angeli, che gli preannunciano quali saranno gli strumenti del suo tormento: da sinistra, la colonna della flagellazione, in centro la Croce, a destra un angelo che reca in mano un recipiente chiuso (forse contenente vino con fiele: «Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere», Mc 27,33-34), un altro angelo tiene l’asta con la spugna imbevuta di aceto, un altro ancora la lancia che trapasserà il costato di Gesù.
Sul registro inferiore dell’opera stanno san Pietro, san Giacomo il Maggiore e san Giovanni: tutti e tre dormienti, vicini fra di loro e per terra, perché non hanno vegliato, come aveva chiesto Gesù.
Anche gran parte della Chiesa oggi dorme, e dorme sul guanciale degli errori, che proseguono il loro distruttivo percorso dottrinale e liturgico per volontà di rivoluzionari sia coscienti che incoscienti. I tre apostoli del Mantegna riposano placidamente: è Gesù che farà tutto da solo per compiere il Sacrificio per tutti, ma la cui Salvezza è destinata solo a chi Lo riconoscerà.

Mentre Gesù prega e i tre Apostoli dormono, a destra, in lontananza, i soldati romani, sotto le mura di Gerusalemme, sono incamminati per giungere al Monte degli Ulivi e arrestare Gesù: li guida l’apostolo Giuda con il braccio teso e l’indice puntato sul luogo dove bisogna arrivare per compiere il misfatto. Dunque, all’Orto del Getsemani Gesù non è più in compagnia di amici, ma di discepoli svogliati, pieni di paura, vigliaccheria, pavidità, rinnegamento. E c’è lui, Giuda, che opera per Satana e lo sta per tradire con un bacio.

Nel registro in alto si osserva un’ideale città di Gerusalemme, nella quale si individuano edifici costruiti in diverse epoche, dove si riconoscono il Colosseo, un monumento equestre e una colonna scolpita con un rilievo, che rappresentano Roma, Venezia e Verona. La città è protetta da alte mura restaurate. È questo l’elemento determinante per comprendere quanto, nel corso della Storia della Chiesa, ci sia sempre stato il bisogno di restaurare la Chiesa, colpita continuamente da periodici tradimenti, eresie, guerre dottrinali e liturgiche (si pensi alla rivoluzione protestante, che ha colpito fin dal principio del suo tradimento il Sacerdozio e il Sacro Sacrificio dell’altare). Ecco la spiegazione delle alte mura restaurate del Mantegna, che non alludono solo a quelle di Gerusalemme, ma anche a quelle della Chiesa, sempre sotto attacco.

Sulla sommità, due alti e aspri picchi di roccia incombono sulla meravigliosa Gerusalemme. L’atmosfera è quella del crepuscolo, poco prima del tramonto, dove l’ombra arriva furtivamente per coprire la luce, in modo tale che i contrasti cromatici offrono la giusta drammaticità di ciò che sta avvenendo. Anche Cristo è vestito di scuro, mentre gli Apostoli hanno indosso abiti sgargianti, rimarcando in tal modo l’ineluttabile dramma.

Nel paesaggio sono distribuiti alcuni animali: sui rami secchi dell’albero a destra è appollaiato, con gli occhi fissi su Cristo, un avvoltoio; mentre sulla strada si vedono un ibis bianco e un pellicano. A sinistra e a destra, sulla strada, si notano alcuni conigli. L’albero secco e l’avvoltoio, appoggiato su di esso, sono presagi di un’imminente presenza di dolore e morte, mentre i germogli e il pellicano sono simboli di resurrezione i primi e di sacrificio l’altro. I conigli offrono, invece, il segno della Pasqua: il coniglio, infatti, è simbolo universale di fertilità, di rinnovo della vita, di rinascita ed è, fin dai primi secoli del cristianesimo, associato alla Domenica pasquale.

C’è poi un tronco divelto vicino agli Apostoli, che allude chiaramente al peccato, mentre gli aironi rimandano ancora al Salvatore, che si è lasciato flagellare, incoronare di spine, insultare, oltraggiare e crocifiggere per amore infinito verso l’umanità, che vuole libera dalle catene del peccato.

Il Cristo rappresentato da Mantegna si trova in linea d’aria rispetto a Gerusalemme sullo stesso livello; in qualche modo questa città ideale richiama, oltre che la Chiesa, anche la Gerusalemme celeste.
L’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse di san Giovanni (21, 1 – 22,15), contiene la prospettiva finale della Storia della salvezza e descrive proprio la sublime Gerusalemme celeste «come una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino». «È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele». «Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello». La città ha la forma di un quadrato e «le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose».

Il Redentore vinse il peccato e la morte grazie alla Croce. La croce che oggi molte anime stanno subendo a causa delle ingiustizie di coloro che dovrebbero insegnare ciò che Gesù ha trasmesso in Verità, porterà i suoi frutti: la Chiesa sta subendo la sua nuova Passione (persecuzione romana prima, poi protestante, giacobina, liberale, massonica, sovietica, modernista), ma di restauro in restauro, grazie a coloro che resistono, senza lasciarsi abbagliare dagli inganni, e soprattutto grazie al Re della Chiesa e dell’Universo (INRI in aeternum), le iniquità, ancora una volta, saranno spazzate via e trionferà il Cuore Immacolato di Maria, colei che non si addormentò e non scappò, vegliando il suo Gesù fin sotto i piedi della Croce.







 
marzo 2024
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