La società senza eredi

di Marcello Veneziani



Pubblicato su Panorama n° 20/2024

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Non siamo eredi, non lasciamo eredi. Non ereditiamo niente da nessuno, non lasceremo eredità di niente a nessuno. E’ questa, per dirla in breve e in modo diretto e brutale, la fotografia della nostra condizione oggi. Ogni vita è un fatto a sé. La sconnessione dal prima e dal poi riguarda in varia misura e a vari livelli di consapevolezza ciascuno di noi, nella vita personale e in quella pubblica e sociale.
Anche la politica schiva o rinnega le eredità. Restano in politica come nel commercio marchi inanimati e sbiadite icone, ma nulla che somigli a un’eredità.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, o almeno della storia a noi nota, viviamo in un’epoca senza eredi. O quantomeno è la prima a non riconoscere alcuna eredità come valore da custodire e da trasmettere. La prima epoca ad avvertire, come Re Luigi XV, che dopo di noi verrà il diluvio; finirà con noi il mondo nostro.
Dopo di noi nessuno continuerà la nostra opera, nessuno salverà qualcosa della nostra eredità; non lasceremo tracce, tutto sarà cancellato dall’acqua e dal vento. L’acqua dell’oblio che cancella ogni orma e il vento della rimozione che spazza ogni cosa.

E’ il coerente epilogo di una società senza padre, poi diventata società senza figli, una società parricida e infanticida, all’insegna delle orfanità elettive. La società dei mutanti e dei non-nati, per via della denatalità e dell’aborto.
L’epoca del nichilismo alla fine mantiene la promessa: di tutto resterà niente, dopo di noi il nulla.
A chi lasci i tuoi beni, il tuo patrimonio di vita, spirituale e reale, la tua biblioteca, il tuo archivio di ricordi, oggetti e pensieri? Ai topi e agli inceneritori.
Verrà al più estratto da quel patrimonio il loro valore venale e mercantile, verrà cioè quantificato e svenduto ciò che ha valore commerciale; se privo di valore economico occorrerà disfarsene nel modo più rapido e indolore, sarà un’opera da svuotacantine o da wc chimico. Dovrà svanire senza lasciar traccia di sé.

Lo statuto di eredi vale finché si è dal notaio, ovvero fino alla commutazione delle intenzioni testamentarie in beni da usufruire. In ogni campo ha valore positivo ciò che non è ereditato e non lascia eredità, ciò che è nuovo, senza precedenti o destinato a sorpassare e far dimenticare ogni antefatto. In politica ogni leader e ogni movimento deve presentarsi come nuovo, deve effettuare radicali restyling che sono un periodico disfarsi delle eredità per apparire più adeguati al presente e meno gravati da scheletri nell’armadio, ingombranti eredità da cancellare.
Nuove app ci attendono, non è più tempo di mantenere le vecchie. La storia in sé è un peso insopportabile. La tecnica ci dispone di continuo verso l’aggiornamento.

Allo stesso modo sono disconosciuti i maestri, perché non ci sentiamo eredi e continuatori della loro opera e della loro lezione, non hanno da insegnare nulla perché provengono da tempi arretrati rispetto al nostro, con tecnologie decisamente superate. Nessun abitatore del passato può guidarci nel futuro o insegnarci qualcosa di adeguato al mondo che verrà.

Del passato viene salvata solo la memoria delle vittime, però non è un’eredità da salvaguardare e da continuare, ma vale a contrario come un monito per non ripetere quegli e/orrori. La memoria delle vittime è un atto d’accusa e di rigetto dell’eredità dei carnefici. 

Come si manifesta sul piano generazionale la fine delle eredità?
In primis non si fanno più figli; se ci sono partono, lasciano la casa e la città familiare, cambiano orizzonte. E se non partono si diseredano da soli, si allontanano con la mente e col cuore, reputano che vivere sia emanciparsi da chi li ha messi al mondo. Non mancano eccezioni, e non sono neanche rare; ma la tendenza generale, lo spirito del tempo, è quello. Niente eredi.

I paesi si svuotano, non c’è ricambio, le famiglie sono sull’orlo dell’estinzione dalla denatalità e dall’emigrazione; presenze secolari spariranno nel volgere di pochi decenni; al più resterà dispersa nell’altrove una spaesata disseminazione.

I nostri contemporanei si sentono figli del loro tempo più che dei loro genitori o dei loro paesi d’origine e dei loro maestri. Si sentono autoprodotti, si pensano autocreati, ritengono – anche se poi non è vero - di fabbricarsi e autogestire per intero la propria vita.

Di conseguenza non si tramanda più niente, l’infedeltà diventa un valore e un atto di autonomia, tutto si rende obsoleto in fretta: dall’obsolescenza programmata degli oggetti all’obsolescenza integrale e inesorabile dei soggetti, che sopravvivono solo se sono fluidi, geneticamente modificabili, mutanti.

Altra conseguenza del rifiuto dell’eredità: non vale la pena ricordare, o peggio nutrire nostalgia del passato e di chi non c’è più; tempo perso, vano esercizio, grottesco spiritismo contro il procedere ineluttabile della vita.
Anche per questo si interrompe la trasmissione di saperi, principi, pratiche, consuetudini, esperienze: tutto ciò un tempo si chiamava tradizione ed era fondata su un principio di eredità biunivoca, ossia ricevuta e consegnata, che sintetizzo nello status di “eredi gravidi”.
Il passato è privo di valore e significato, va cancellato, rimosso, maledetto, superato; tutto è accelerato, meccanizzato e sostituito. Non si trattiene nulla, tantomeno il senso della continuità.

Ogni vita finisce su un binario morto, non proviene da nessun luogo e non continua da nessuna parte.
Benvenuti nella società senza eredi. Non resta che confidare nell’imprevisto, nell’ignoto, nella pietà, nei tornanti. O nel miracolo di imprecisati déi.







 
maggio 2024
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