La giurisdizione di Mons. Fellay
e
gli abusi della Fraternità




Pubblicato sul sito francese La Sapinière il 7 aprile 2014



Qualche anno fa, Mons. de Galarreta chiese a Dom Thomas d’Aquino di dare le dimissioni da Priore del monastero di Santa Cruz [Nova Friburgo, Brasile]. Poco dopo, Mons. Fellay gli chiese “di riunire la Comunità e di presentare davanti a tutti le vostre dimissioni” (lettera del 12 gennaio 2010).
Con quale diritto e in base a quale giurisdizione si possono fare cose così?
Per meglio “convincerlo”, Mons. de Galarreta gli assicurò che il Distretto dell’America non avrebbe più indirizzato alcuna vocazione a Santa Cruz. 
Cosa si perseguiva con queste pressioni? Il bene comune o la messa in un angolo di tutti gli oppositori ad un accordo con la Roma modernista?

Il 21 giugno 2012, Don Thouvenot [Segretario generale della FSSPX] chiamò il Priore di Avrillé [convento domenicano] per chiedergli: “Padre Priore, se noi firmiamo un accordo con Roma, voi ci seguirete?”. Il Priore confessò di ignorare su quale base dottrinale si sarebbe fondato tale accordo con Roma. Don Thouvenot replicò: “In effetti Lei non conosce questo testo, ma io non posso comunicarglielo. È segreto. Bisogna fidarsi”. Il Priore chiese due giorni per riflettere. L’indomani mattina, prima dello scadere dei due giorni, i domenicani ricevettero un fax di Mons. Fellay che comunicava il suo rifiuto di ordinare i tre frati della comunità. Dopo questo fax, Don Thouvenot scrisse:
Ho riferito la nostra conversazione a Mons. Fellay, ma, evidentemente, il semplice fatto che Lei fa ascoltare alla comunità il delirante sermone di Don Koller, come il fatto che Lei ha bisogno di più di 24 ore per rispondere ad una semplice richiesta di fiducia nei confronti della sua autorità, bastano a convincerlo che sarà meglio differire le ordinazioni. Questa mattina, egli Le ha inviato un fax che glielo comunica. Nella speranza che rinserrerete i ranghi e ristabilirete delle normali relazioni di armoniosa collaborazione, Le assicuro la mia devozione religiosa».

Questi due fatti giustificano ampiamente il titolo del nostro articolo. Sfortunatamente ci sono anche altri fatti che possono illustrare la gravità della situazione.

In nome di quale principio un Priore o un Superiore di Distretto può telefonare per interdire a chicchessia di invitare ad una riunione, a casa sua, Mons. Williamson o un altro sacerdote che non fa parte o che non fa più parte della FSSPX?
In nome di quale autorità si può interdire a chicchessia di rivolgersi a Mons. Williamson per conferire il sacramento della Cresima ai proprii ragazzi?
In nome di quale diritto si può chiedere ad un ordine religioso amico di escludere chicchessia dal Terz’Ordine? Ecc.

Per rispondere a queste domande, riprendiamo in mano un articolo che è passato troppo inosservato: Solo maestro a bordo, Mons. Fellay tenta di fare interdire i sacramenti ai laici refrattarii, il quale contiene delle preziose considerazioni.
L’autore vi constata una prassi derivante da una teoria che era soggiacente da troppo tempo e che da poco è apparsa con forza pubblicamente: la FSSPX ritiene di essere, se non la Chiesa, almeno il “canotto di salvataggio”, e agisce abusivamente come se avesse una giurisdizione ordinaria sui fedeli, dimenticando ciò che ha insegnato fin dall’inizio: visto lo stato di necessità, la FSSPX ha solo una giurisdizione di supplenza.

Vediamo di ritornare brevemente sui passi essenziali di quest’articolo, aggiungendovi qualche osservazione.

Un indebolimento dottrinale

L’anno 2012 è stato contrassegnato da un evidente cambiamento di prospettiva. … prima del 2012 la Fraternità San Pio X escludeva ufficialmente la possibilità di un “riconciliazione” con Roma se non prima si fosse visto il magistero della Chiesa ritornare alla Tradizione. La posizione del 2006 si fondava sull’esperienza più che trentennale di rapporti con Roma. … il Capitolo generale del 2012 ha esplicitamente ammesso la possibilità di un accordo pratico con le attuali autorità romane, senza accordo dottrinale, com’è stato poi confermato il 27 giugno 2013 dalla dichiarazione dei restanti tre vescovi della Fraternità.

Il Padre Jean, cappuccino, ha ben messo in luce questo indebolimento della battaglia per la fede:
«Per anni, Mons. Lefebvre, fino alle consacrazioni, ha cercato di discutere con Roma; […] Mons. Lefebvre faceva delle dichiarazioni piuttosto rivolte all’aspetto pratico: lasciateci fare l’esperienza della Tradizione; […] E dopo, si rese conto che si era spinto troppo lontano, lo disse lui stesso, lo riconobbe: mi sono spinto troppo lontano; era il 5 maggio, quando firmò il protocollo. E si era spinto troppo lontano perché aveva transatto sulla dottrina; aveva messo avanti la pratica. Lo riconobbe, lo dichiarò sul n° 66 di Fideliter. … E in questo numero di Fideliter, che è di dicembre 1988. In copertina è scritto: «Ad una ripresa dei colloqui, io porrò le mie condizioni». Ecco ciò che disse Mons. Lefebvre dopo le consacrazioni e che ha sempre tenuto fermo fino alla morte, e questo è quello che vincola. […] Per anni e anni questo principio è stato mantenuto. […] E sfortunatamente, da qualche tempo, si può dire da dopo la fine dei colloqui romani, cioè dall’autunno del 2011, a poco a poco, noi vediamo, siamo obbligati a constatare che le autorità della Fraternità hanno abbandonato questo principio

Un irrigidimento pastorale

Nei confronti dei fedeli e dei chierici che osano manifestare pubblicamente la loro opposizione a questo indebolimento, le autorità deviate danno prova di irrigidimento, a conferma di quanto faceva notare Louis Veuillot: “non c’è maggior settario di un liberale”.

Uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefebvre è stato cacciato, numerosi sacerdoti hanno dovuto lasciare la Fraternità, dei ragazzi sono stati espulsi dalle scuole negli Stati Uniti, dei fedeli sono stati allontanati, altri sono stati minacciati o effettivamente privati dei sacramenti in Francia, in Inghilterra, in Polonia, in Messico, in Uruguay, in Argentina, in Italia, ecc. In Francia, un Priore ha pensato bene di annunciare ai fedeli: “Se vengo a sapere che vengono a Messa persone che durante la settimana criticano la Fraternità, non esiterò a privarli dei sacramenti”.

Per la stessa ragione, nel giugno del 2012, le ordinazioni dei Cappuccini e dei Domenicani furono annullate. Ad un sacerdote che ne chiedeva il motivo, Mons. Fellay rispose: “Io ho provato una mancanza di fiducia personale nei confronti di queste comunità… è talmente grave ordinare un sacerdote che ho preferito attendere…” (9 novembre 2012, Parigi).
Per valutare il grottesco e il mostruoso arbitrio di questa risposta, i fedeli devono sapere che quando agli ordinandi diaconi cappuccini fu detto che non sarebbero stati ordinati, essi si trovavano in ritiro con quelli della Fraternità.
Compariamo adesso questa reazione di Mons. Fellay verso le comunità amiche con la reazione di Mons. Lefebvre di fronte alla pressione romana:
«Voi sapete che il nunzio è venuto a dirmi di non fare le ordinazioni, allora io ho risposto: non è a dieci giorni dalle ordinazioni che si può fare una cosa simile, non è possibile. Direi perfino umanamente parlando. Questi giovani sacerdoti hanno lavorato per cinque anni per prepararsi all’ordinazione, e a dieci giorni dalla loro ordinazione, quando tutti i parenti sono pronti a venire, quando le loro prime Messe sono state annunciate dappertutto, ecco che mi si chiede di non fare le ordinazioni. Ordinazioni che sono legittime. Questi seminaristi, che hanno condotto i loro studii regolarmente, hanno un solo diritto naturale, conseguire il risultato della preparazione che hanno fatto.» (Cospec, 32A).

Mons. Fellay aveva il diritto e la morale per agire così? I sacerdoti che privano i fedeli dei sacramenti o che creano inquietudine nelle coscienze, hanno il diritto di farlo?

Una giurisdizione di supplenza…

L’Abrégé de la théologie morale [Compendio della Teologia Morale] di sant’Alfonso dei Liguori indica: «La censura non può essere comminata né contro i fedeli, né contro le persone su cui non si ha giurisdizione» (curata dal Père Joseph Frassinetti, Priore di Santa Sabina a Genova, tomi I e II, tradotto in francese da l’Abbé P. Fourez, licenziato in teologia, 1889).

Ora, si sa che la Chiesa conciliare rifiuta ogni giurisdizione alla FSSPX. Il potere di giurisdizione di Mons. Fellay non viene dunque dal Vaticano. Mons. Fellay e i suoi sacerdoti non dispongono di alcuna “giurisdizione ordinaria”, ma di una “giurisdizione di supplenza” che è “una giurisdizione di soccorso data dal diritto ad ogni vescovo e ad ogni sacerdote in caso di necessità, in vista del bene comune, quand’essi non abbiano ricevuto dalle autorità i poteri necessarii.” (Sel de la Terre n° 87, pp. 139-140).

«Bisogna tuttavia precisare che un’autorità di supplenza non ha le stesse caratteristiche dell’autorità esistente ordinariamente nella Chiesa: essa si esercita caso per caso, dunque non abitualmente, e questo significa che le persone che ne beneficiano possono ritirarsi e l’autorità di supplenza non ha alcun poter per farle ritornare. Essa dipende dal bisogno dei fedeli in un dato stato di crisi. È nella misura in cui i fedeli hanno bisogno di questi vescovi o sacerdoti per la salvezza delle loro anime, che la Chiesa crea questo legame d’autorità tra loro. Tutto questo dimostra che la giurisdizione di supplenza dà un’autorità limitata, assai delicata da esercitare. L’autorità giurisdizionale del vescovo, non derivandogli da una nomina romana, ma dalla necessità della salvezza delle anime, egli dovrà esercitarla con una delicatezza particolare» (Mons. Lefebvre, nota del 20 febbraio 1991, citata in Sel de la Terre, n° 87, p. 142).

Mons. Lefebvre, in occasione della Messa di Lille, nel 1976, dichiarò molto nettamente: «Si dice che io sia il capofila della Tradizione. Io sono il capofila di niente.» Pensare di avere una giurisdizione ordinaria quando invece è solo di supplenza, significa «fondare il nostro apostolato su una base falsa e illusoria.» (da una lettera di Mons. Lefebvre, citata da Don Pirvet in Des sacres par Mgr LefebvreUn schisme ? Fideliter, 1988, pp. 55-60).

…divenuta una dominazione perversa

Oggi tutto si svolge come se Menzingen pensasse di dover allineare tutti i fedeli e tutte le istituzioni che si richiamano alla Tradizione sulle sue opzioni particolari.

Il fedele non ha alcun obbligo di approvare Mons. Fellay nella sua ricerca di una prelatura personale. In Inghilterra, in Italia, dei fedeli sono stati pregati (per telefono!) di non mettere più piede nelle cappelle per aver gestito dei siti internet che criticavano il nuovo orientamento di Mons. Fellay… Dei religiosi hanno interdetto ad un signore di servire Messa, quando invece egli lo faceva abitualmente nella cappella del convento: il suo crimine era di aver assistito alla Messa di un sacerdote “resistente”. L’Ordo 2014, nel suo repertorio dei luoghi di culto tradizionali, ha soppresso il monastero benedettino di Santa Cruz (Nova Friburgo, Brasile); ebbene, da dopo le consacrazioni, la posizione teologica di questo monastero non è cambiata.
Quando finirà questa tirannia?

Il bene delle anime non è più la finalità dell’autorità. La Fraternità è uscita dai limiti della giurisdizione di supplenza. Essa usurpa un ruolo che non ha e questa usurpazione non è della Chiesa: è settaria.

Un’autorità immorale

Il cambiamento di rotta, venuto alla luce nel 2012, mette la Fraternità fuori dai limiti del suo potere legittimo. Le repressioni, le esclusioni e le sanzioni che essa ha praticato ai quattro venti, manifestano una grave deriva morale e attestano una mentalità autoreferenziale, dispotica, interamente priva di carità. In Francia, un Priore, nel corso di una riunione di lavoro nei locali del priorato, si è rivolto ad un Cavaliere di Notre Dame di 86 anni in questi termini: “Sparisca!”. Il suo crimine: essere contro un accordo con Roma…

«Nelle questioni controverse, i predicatori e i confessori devono guardarsi dal definire peccato una data cosa, e soprattutto peccato mortale, basandosi sull’autorità dei teologi o anche di numerosi teologi, una decisione simile richiede il consenso universale degli autori. Del pari, un confessore non potrà rifiutare l’assoluzione a un penitente deciso ad agire contrariamente all’opinione sostenuta da uno o più teologi, ma contestata da altri teologi cattolici.» (Compendio della Teologia Morale di sant’Alfonso dei Liguori, curata da Frassinetti, citata prima, tomo II, p. 27).

«Dal momento che i confessori non hanno alcuna autorità per decidere delle questioni teologiche, io ritengo, come Lugo ed altri autori citati da Sant’Alfonso, che il penitente ha l’evidente diritto di mettere in pratica la sua opinione, visto che questa opinione è sostenuta da dei buoni teologi ed ha quindi una solida probabilità, almeno estrinseca; e questo anche se il penitente fosse l’uomo più ignorante del mondo e la sua opinione apparisse assolutamente falsa al confessore.» (ibidem, Frassinetti, tomo II, nota 141 del n° 448).

Ora, numerosi sacerdoti manifestano pubblicamente un punto di vista teologico legittimo e argomentato, contrario a quello di Mons. Fellay: Mons. Williamson, già direttore del seminario e già professore d Don Bernard Fellay, Don Chazal, Don Pfeiffer, Don Girouard, Padre Jean, Padre Pierre-Marie…

Il pretesto del bene comune, la qualificazione di “sovversive” avanzata nei confronti di opinioni contrarie a Menzingen, non hanno alcun valore, poiché il vero bene comune non va mai contro la morale; e quando si vuol cambiare astutamente la finalità di un organismo, è un po’ fuori luogo definire poi “sovversivi” coloro che resistono giustamente a tale subdola sovversione.
In realtà, la Fraternità vuole ampliare il suo potere, e per far questo non tiene più conto della particolarità della sua giurisdizione. Essa ritiene di essere in diritto di decidere tutto all’interno del piccolo mondo costituito dai fedeli e dalle congregazioni legati alla Tradizione. Perpetuare il sacerdozio, conservare la Santa Messa e la dottrina della Fede, amministrare i sacramenti, sono degli obiettivi che ad alcuni non bastano più. Essi sognano di costituire una sorta di super diocesi che benefici della protezione papale…

Ecco un ultimo fatto per capire fino a che punto può arrivare la vertigine della dominazione. Il 13 novembre 2013, Mons. Fellay, dopo aver ripensato al suo impegno, ha deciso che i 5 religiosi professi perpetui della comunità di Avrillé, che si trovavano fuori dal convento, dovevano raggrupparsi in una casa per diventarne una “seconda branca”, a Steffenhausen. Mons. Fellay ha nominato Mons. de Galarreta superiore di questa casa. Le lettere scritte a Mons. Fellay e a Mons. de Galarreta, che chiedevano di dimostrare “come una tale procedura possa essere definita conforme alla Tradizione, al diritto religioso e anche al diritto naturale”, sono rimaste senza risposta.

L’attitudine di questi due vescovi differisce da quella di Mons. Lefebvre. In una lettera del 27 maggio 1991, indirizzata ai religiosi della Tradizione, Don Schmidberger riconosceva che Mons. Lefebvre «fu più Padre, consigliere e amico, che un’autorità in senso giuridico» e che si era fatto «ricorso a Mons. Lefebvre come ad un’autorità di supplenza». Nel 1991 era evidente che «ogni comunità è assolutamente libera di rivolgersi o no a Mons. Lefebvre [Fellay]. Né lui, né la Fraternità hanno la minima intenzione di mettere le mani sulle altre comunità in un modo qualsiasi. Tale che bisogna vedere nella sua azione l’esercizio di una giurisdizione straordinaria e non ordinaria…»

Nel 1981, Mons. Lefebvre dichiarava solennemente che non voleva essere «il Maestro Generale» dell’Ordine; ma nell’ottobre del 2012, a Bellaigue, Mons. de Galarreta diceva a Priore di Avrillé che doveva considerare Mons. Fellay come fosse il Maestro Generale dell’Ordine.

Mons. Fellay e Mons. de Galarreta ritengono dunque di avere il diritto di intervenire direttamente nella vita religiosa di una comunità; di poterne fare uscire dei soggetti, di accordare loro una declaustrazione senza limiti di tempo – senza curarsi del diritto canonico e delle costituzioni dell’istituto – di autorizzarli a soggiornare fuori dal convento e a fare dell’apostolato senza alcun controllo e senza neanche preavvisare i loro legittimi superiori. Essi ritengono di poterli autorizzare a fondare una «nuova branca» e di poter anche intrattenere una corrispondenza segreta con dei religiosi, incoraggiandoli a fornir loro dei rapporti segreti e a diffidare dei loro legittimi superiori.

Di conseguenza…

Come fidarsi di questi vescovi? Cosa vuole la Fraternità Sacerdotale San Pio X? Un’obbedienza senza fiatare e una fiducia cieca? E come esigere tutto questo quando si sa che il Superiore di questa Fraternità conferma come buona la sua dichiarazione del 15 aprile 2012 che riconosce il magistero attuale, la legittimità della Messa di Paolo VI e il nuovo diritto canonico?

Non solo il nuovo orientamento della Fraternità non è obbligatorio, ma è pericolo e suicida. Esso può quindi essere criticato in tutta libertà sia in privato sia in pubblico. Tutte le censure comminate a coloro che vogliono continuare la buona battaglia della fede, resistendo alle manovre del riavvicinamento, sono nulle e costituiscono un abuso di potere. Per di più, le censure di Mons. Fellay per mettere a tacere coloro che si oppongono alla sua politica, sono dei peccati che causano uno scandalo per la fede. A forza di frequentare i moderni, la Casa Generalizia ha fatto suo il vizio romano della sovversione.

«È l’abc del modernismo, piegare i fedeli con il ricatto della virtù e dell’amore di Dio, ed abolire, in nome della virtù, i mezzi indispensabili per la formazione e la conservazione. Il modernismo fa muovere le vittime in nome dell’obbedienza, grazie al sospetto di orgoglio su ogni critica delle riforme, in nome del rispetto del Papa, in nome dello zelo missionario, della carità e dell’unità.» (Padre Calmel, lettera dell’8 agosto 1973).





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