IL PAPA ALLA “ SAPIENZA ”
e
LA SAPIENZA DEL PAPA
Il trucco c’è e si vede
Riflessioni di un cattolico sul mancato intervento
del Papa
all’Università “La Sapienza” di Roma nel gennaio
2008
di Belvecchio
Sedes Sapientiae
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1. Libertà di parola
2. La ricerca della verità
3. La laicità
4. La tolleranza
5. Libera Chiesa
in libero Stato
Fu circa settecento anni fa che Dante scrisse: “Ahi
serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!”.
Non è cambiato molto da allora, se non in peggio!
Una supposta lesa sensibilità accademica laica
ha scatenato un putiferio perché il Papa non parlasse alla “Sapienza”
di Roma.
Non in quella occasione ! Si è detto.
Le grandi menti laiche si sono sentite offese per la
presenza del Papa in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico.
Cosa c’entra il Papa con la libera e laica Università
di Stato ?
Giustissimo!
Il Papa c’entra proprio un bel niente e i professori
che hanno sentito urtata la propria sensibilità hanno ragione da
vendere.
Se l’Università è laica, cioè convinta
che Dio è un qualunque oggetto di discussione al pari della stitichezza:
cosa diavolo c’entra il Papa con l’inaugurazione dell’anno accademico?
Fu un errore invitarlo: dicono gli illuminati.
E da lì si è capito che, nonostante le
apparenze, si è trattato innanzi tutto di una delle tante beghe
tra professori d’Università: il Papa è stato una scusa, che
ha permesso di dare una coloritura seria a qualcosa che non lo era.
Visto il “bordello”, come diceva Dante, il Papa ha
deciso di starsene a casa. Certo del tutto conscio che lui, effettivamente,
con quel “bordello” non ha niente a che vedere.
Ed ecco che tutti accusano il colpo.
Che sberleffo!
I dotti, i sapienti della Sapienza, i maestri del pensiero,
i fari di luce che illuminano il nostro futuro (purtroppo!), snobbati da
un Ratzinger qualsiasi come fosse un padreterno. E giù tutti
a fare distinguo, tutti a puntualizzare, tutti a rimescolare le carte nel
disperato tentativo di coprire la figura da niente fatta dai luminari della
scienza e dall’Università.
Tra il Papa e i sapienti di questo mondo, inevitabilmente
è stato il Papa a dar prova di saggezza, confondendo così
i sapienti.
Ma… attenzione ! C’è il trucco! C’è più
che un trucco !
1. Libertà di parola
Intanto si è trattato di un’occasione d’oro per
poter dire peste e corna di Dio e della Chiesa.
A freddo tanti non avrebbero osato, ma a caldo abbiamo
sentito di tutto. Di tutto contro Dio, la Religione, la Chiesa, il Papa.
Il noto livore secolare dei moderni “uomini liberi” ha trovato modo, ancora
una volta, di sbizzarrirsi nelle sue malsane sulfuree fantasie.
Poi c’è stata la solita gara al primo della classe.
Ovviamente col classico tempismo opportunista.
Per un po’ i grandi commentatori hanno aggirato la questione,
ma non appena la cosa è degenerata in gazzarra hanno capito che
era meglio mettersi dalla parte del Papa, ed ecco che si sono ricordati
di quel tale illuminato che si dice avrebbe detto la famosa
corbelleria: non condivido le tue idee, ma mi batterò fino
alla morte perché tu possa esprimerle.
Solo un mondo malato come il nostro, dove l’ipocrisia
e la falsità la fanno da padroni può menar vanto di una sciocchezza
simile.
Il guaio è che questa vecchia presa in giro
è stata fatta propria anche da chi si dichiara cattolico, laico
o chierico che sia.
Ora, ammesso e non concesso che tale espressione possa
realmente tradursi in pratica, è fuori dubbio che il suo campo d’applicazione
potrà e dovrà limitarsi alle bocciofile e simili (con tutto
il rispetto per gli amanti delle bocce), poiché nel caso di cose
veramente serie, si tratterebbe di una suggestione diabolica.
Come regolarmente accade e come è accaduto anche
in questa occasione.
In pratica si pretende di far passare come cosa seria
la seguente contraddizione: se tu affermi con convinzione che la
verità non esiste o che ognuno possiede una sua verità, io,
che so che stai sostenendo una falsità, mi batterò fino alla
morte per farti continuare a diffondere il falso a scapito del vero.
Solo una mente malata può reputare seria una diavoleria
del genere.
Questo ridicolo ragionamento è stato applicato
al Papa: si può non essere d’accordo col Papa, ma bisogna lasciarlo
parlare, perché la laicità implica che ognuno dica la sua.
Al bar dello sport! Certo!
Ma in una società seria, che si pretende civile,
non è possibile che ognuno dica la sua qualunque essa sia.
Invece, e purtroppo, è così che sono educati
i giovani in questo nostro mondo moderno; è così che viene
istruito il pupo negli equivoci luoghi di culto laico che sono le odierne
Università.
E qui sta l’altro trucco.
Perché il Papa non deve parlare liberamente ?
Come tutti, come gli ignoranti, come i sovversivi, come i sobillatori,
come gli untori?
Perché ?
Non è forse uno di noi, dalla cui bocca può
scappare di tutto, al pari di tutti ?
È questo uno dei sacrosanti capisaldi della
laicità.
Tutti possono dire tutto: esattamente come tutti possono
dissentire su tutto quello che hanno detto tutti.
Non c’è pensiero più profondo di questo.
Più profondamente immerso nella melma di questo.
Il Papa deve parlare, perché tanto il Papa, come
chiunque, è libero di dire quel che gli pare: … come me… che non
capisco niente!
Ma il Papa parla di Dio !
E allora ? Cosa cambia ? Forse che Dio è una cosa
universalmente accettata e accertata dal mondo scientifico ?
Il Papa è libero di credere in Dio, così
come io sono libero di non crederci e di controbattere al Papa che si sbaglia.
Solo il Papa e i suoi correligionari continuano a credere
di poter parlare della verità, quando invece tutti sanno che l’unica
cosa seria non è seguire la verità, che non esiste, ma mirare
alla verità, ricercare la verità, ammesso che esista. Come
fanno tutti i moderni sapienti di questo mondo.
Se il Papa pretende di parlare della verità, come
se lui la conoscesse, magari perché gliel’avrebbero rivelata, egli,
non solo è in errore, ma è anche pericoloso perché
diffonde idee false e tendenziose.
Tendenziose? … Come!? Perché !?
Perché tendono a far credere ai giovani che i
sapienti, pur collocati nella “Sapienza”, non sanno niente di vero, di
serio, di saggio.
Perché tendono a far credere a tutti che ogni
conoscenza, senza la conoscenza di Dio e dei suoi insegnamenti, è
cieca e incapace di discernere tra ciò che è giusto e ciò
che non lo è, ciò che è meglio per l’uomo e ciò
che per lui è peggio.
E in questo trucco ci sono cascati, anzi… continuano
a cascarci, un numero sempre più grande di coloro che si dicono
cattolici, sia laici, sia chierici.
Costoro, infatti, assecondano i sapienti della “Sapienza”
quando questi affermano che la ricerca della verità è il
cardine della laicità; e questo nonostante questi sapienti affermino
che è offensivo per il “mondo scientifico” che possa esserci qualcuno
che pretenda di sostenere di conoscere la verità.
Salvo poi protestare, questi cattolici, quando i sapienti
della “Sapienza” portano alle estreme conseguenze quegli stessi convincimenti
che proprio loro hanno condiviso fino ad allora.
Se il Papa è uno di quelli che pretende di conoscere
la verità, è logico che non possa parlare in maniera solenne
in occasione della celebrazione del rito laico dell’inaugurazione dell’anno
accademico.
Non si può disturbare una celebrazione laica !
Che caspita !
Uno che si presenta come portavoce di un tizio che un
bel giorno si è sognato di dire: Io sono la Verità… Uno così
non può entrare nel tempio della “Sapienza”, addirittura mentre
si svolge una celebrazione sacra. Con tanto di sacerdoti e di paramenti.
E hanno ragione i sapienti della “Sapienza”!
Se l’Università moderna è davvero una sorta
di tempio della laicità, se questi ricercatori laici sono il meglio
nell’uso corretto della ragione… se è così, è davvero
inopportuno che il Papa parli nel corso di una sorta di messa laica.
È inopportuno che parli ed… è legittimo
ed opportuno che i professori si stizziscano e protestino se egli si accinge
a parlare.
Un cattolico ingenuo e sprovveduto potrebbe riflettere
sul fatto che il Papa, a dire il vero, non ha nessun diritto di parlare
in un contesto del genere, e meno che mai ha il diritto di agire come fosse
un qualsiasi ricercatore della “Sapienza”. Piuttosto
il Papa ha il dovere di ricordare a costoro e a tutti gli altri e a noi
stessi che senza la Via, la Verità e la Vita non solo non si va
da nessuna parte in cielo, ma non si va da nessuna parte decente, seria
e onesta nemmeno in terra.
Proprio perché il Papa sa e insegna che "senza
di Lui non possiamo fare niente".
E già, diranno i laici: e quelli che non credono
?
Sta scritto: Se qualcuno poi non vi accoglierà
e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da
quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità
vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà
una sorte più sopportabile di quella città. (Matteo,
10, 14-15).
Ma, intendiamoci, si tratta del solito cattolico ingenuo
e sprovveduto, che ha portato il cervello all’ammasso.
Qui invece parliamo di cose serie. Qui parliamo di libero
esercizio della ragione, qui parliamo di dignità della persona,
qui parliamo di ricerca della verità, qui parliamo dell’immane lavoro
di miglioramento dell’uomo e del suo affrancamento dalla soggezione dogmatica.
In tutta evidenza… parliamo di cose ben altrimenti serie!
2. La ricerca della verità
Cioè ? Quali sarebbero queste cose serie ?
La ricerca della verità ?
Si tratta di una vecchia storia, e meraviglia che dopo
secoli di osannato umanesimo, di decantato rinascimento e di sfolgorante
illuminamento, o illuminismo che dir si voglia, vi sia ancora qualcuno
che creda a queste cose.
Cos’è che si può cercare ?
Solo una cosa di cui si hanno sufficienti informazioni
per riconoscerla allorché la si trovi. Il che significa che per
mettersi alla ricerca della verità è necessario che si conoscano
di essa i connotati essenziali, quei connotati che sono talmente propri
della verità da non permettere alcun equivoco o alcun travisamento.
Una volta trovatala, si potrà dire con certezza: ecco, questa è
proprio la verità, l’ho trovata.
Senza queste informazioni preliminari capiterà
mille volte di incontrare la verità senza riconoscerla e continuare
quindi la ricerca in maniera interminabile.
I nostri moderni ricercatori della verità, i nostri
sapienti della “Sapienza” conoscono questi connotati essenziali della verità
?
Noi siamo convinti di no, ma potremmo anche sbagliarci.
Ma se ci sbagliamo, ne consegue che questi sapienti sarebbero
stati informati su questi connotati da chi li conosceva. Chi è costui
? O costoro ?
A tutt’oggi non è dato sapere. Ciò che
si sa per certo, invece, è che i nostri simpatici ricercatori sono
ancora lì che cercano.
Ora, delle due l’una.
Se sono in possesso dei connotati della verità,
com’è possibile che in tanti secoli di ricerca non hanno ancora
trovato la verità ?
Vuoi vedere che la verità non esiste ? Ma allora
quelle informazioni erano una bufala! Chi ha fatto uno scherzo così
crudele ai ricercatori ?
Se invece non sono in possesso dei connotati della verità,
ecco spiegato che in tanti secoli non l’abbiano mai trovata. Ma allora
che cosa cercano e come la cercano ? Quante volte si saranno imbattuti
nella verità e non l’hanno riconosciuta ? Che modo è questo
di ingannare la gente parlando di “ricerca della verità”?
E allora non v’è dubbio che quando si sostiene
che si è alla ricerca della verità si afferma una impossibilità.
E chi sostiene di essere alla ricerca della verità o s’inganna o
mente.
Ma… attenzione, perché in realtà questi
simpatici ricercatori non hanno nessunissima intenzione di cercare la verità,
della quale se ne fregano bellamente, essi si compiacciono solo della ricerca
per la ricerca: una sorta di esercizio in solitario: auto referenziale
e auto appagante.
Ed è proprio di questo che si tratta: di un esercizio
in solitario. Tant’è che, si dice, l’Università, quella seria,
quella laica, è il luogo eccelso dove si incontrano e si confrontano
tutte “le verità”. Quella tua e quella mia. Verità diverse
che non coincidono, ma che messe insieme possono condurre sempre a nuove
sintesi e, quindi, a nuove verità, in un continuo esercizio incapace
di giungere ad un qualche risultato.
La cosa buffa è che tale assurdità
è davvero uno dei cardini della laicità, della scienza moderna,
della scuola moderna, dell’Università moderna, della società
moderna.
La cosa tragica, invece, è che tale assurdità
sia condivisa da tanti cattolici, laici e chierici, e sia ripetuta perfino
dai Pastori della Chiesa, quegli stessi che insegnano che il Figlio ci
ha fatto “conoscere il Padre”.
Sembra proprio che costoro mettano in dubbio le certezze
derivanti dalla fede, essendosi convinti che, nonostante quello che ha
detto il Signore, la ricerca della verità sia la più alta
espressione della dignità dell’uomo.
Io sono la Verità, ha detto il Signore, ma, in
realtà, a ben guardare, non diceva poi sul serio! Era solo un modo
di dire, una sorta di pungolo per stimolare la curiosità e l’attenzione
degli uomini, la curiosità e l’attenzione dei liberi ricercatori
della verità, laici e chierici.
Un cattolico ingenuo e sprovveduto potrebbe pensare
che avendo conosciuto il Signore e il Suo insegnamento abbia conosciuto
la Verità. Magari ancora come in un specchio, come dice San Paolo,
ma tale da non aver più alcun bisogno di cercare. Non solo,
ma potrebbe pensare, l’ingenuo e sprovveduto cattolico, che, avendo conosciuto
il Signore e il suo insegnamento abbia conosciuto l’essenziale, tale da
non sentire alcun bisogno d’altro, che è solo accessorio, anche
perché avendo conosciuto la Verità, tutto il resto gli sarà
dato in sovrappiù.
Ma, intendiamoci, si tratta del solito cattolico ingenuo
e sprovveduto, che ha portato il cervello all’ammasso.
Qui invece parliamo di cose serie. Qui parliamo di dignità
della persona, qui parliamo di laicità, qui parliamo dello sforzo
di costruire un mondo migliore.
In tutta evidenza… parliamo ancora di cose ben altrimenti
serie!
3. La laicità
Cioè ? Quali sarebbero queste cose serie ?
La laicità ?
Attenzione! Ecco un altro trucco!
Da qualche anno va di moda lo strano distinguo tra laicità
e laicismo, poiché, si dice, una cosa è la “sana laicità”,
un’altra è il laicismo, inteso come una sorta di esasperazione estremistica,
quasi terroristica, della “sana laicità”.
Ciò che colpisce è il fatto che questo
ormai famoso distinguo si fondi su un assunto tanto scontato quanto indimostrato:
che esista la cosiddetta “sana laicità”.
Cosa sarà mai questa sana laicità ?
Non è questa la sede per approfondire questa ulteriore
stranezza, ci limiteremo a ricordare che la laicità sarebbe: l’esercizio
responsabile della ragione, praticato da una persona o da una comunità
in totale autonomia di pensiero e di azione, a prescindere da ogni possibile
esistenza di canoni o richiami di tipo ideologico, morale e religioso.
Detto in maniera decente: la laicità è
la pratica della libertà individuale che, come ci si compiace di
sostenere, troverebbe i suoi limiti nella intangibilità della libertà
altrui.
Si sostiene infatti che dal momento che nessuno può
arrecare nocumento alla libertà altrui, ognuno potrà esercitare
la propria libertà tenendo presente questo limite di altissimo valore
etico profondamente radicato nell’innata dignità dell’uomo.
E via con i fuochi d’artificio!
Finite le dichiarazioni roboanti, resta una elementare
considerazione: con la laicità tutto è permesso.
Proprio tutto ? … Si, tutto, tranne quello che lo
Stato laico ha stabilito sia proibito. È questo, infatti, l’unico
caso non in contraddizione con la libertà individuale, poiché
i divieti dello Stato laico scaturiscono dallo stesso altissimo valore
etico profondamente radicato nella dignità dell’uomo da cui scaturisce
la libertà individuale.
Mica una bazzecola!
Qui siamo al cospetto di un principio etico incontrovertibile
che è il perno di ogni libertà e della sana laicità.
Siamo
cioè al cospetto dell’esercizio responsabile della ragione praticato
a prescindere da ogni condizionamento ideologico, morale e religioso, tranne
che dell’ideologia, della morale e della religione laica.
Sembrerebbe una burla, se non fosse una tragedia.
Eppure non v’è niente di strano, né di
sorprendente, ove si pensi che la pratica di contraddizioni come questa
è il pane quotidiano del mondo moderno da ormai più di quattro
secoli.
A questo punto ci chiediamo stupiti in che cosa possa
mai consistere la supposta differenza tra laicità e laicismo.
Anche alla luce del semplice buon senso, una volta che
si prescinda dalla morale e dalla religione, cosa mai potrà rimanere
se non l’esercizio della libertà individuale che, per definizione
è divisiva e conflittuale ?
E questo esercizio non differisce affatto sia che si
tratti di un esercizio moderato, la laicità, sia che si tratti di
un esercizio rigoroso, il laicismo. Se uno non crede in Dio, o ci crede
a modo suo, non è scusato o addirittura meritevole perché
esercita pacatamente la sua miscredenza, mentre è biasimevole chi
non crede in Dio, o ci crede a modo suo, in maniera decisa e radicale!
Di grazia ? Quale sarebbe il merito del primo e il demerito
del secondo: quando entrambi sono in errore e bisognosi di aiuto per convertirsi
?
Il solito cattolico ingenuo e sprovveduto potrebbe
pensare che trovandosi di fronte ad un miscredente abbia il dovere di annunciare
il Vangelo e di praticare le prime tre opere di misericordia spirituale:
poco importa che si tratti di un laico o di un laicista.
“ Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo
ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvo, ma chi non crederà sarà condannato.” (Marco,
16, 15-16): così dice il Signore.
In nessuna parte del Nuovo Testamento è scritto
che il miscredente laico è un caro amico, a differenza del miscredente
laicista che è un losco figuro.
Ma, intendiamoci, si tratta sempre del solito cattolico
ingenuo e sprovveduto, che ha portato il cervello all’ammasso.
Qui invece parliamo di cose serie.
Qui parliamo di sana laicità e cioè del
fatto che se uno non crede in Dio in piena coscienza e consapevolezza,
ma si comporta in modo “politicamente corretto”, cioè ipocrita,
dev’essere considerato una persona rispettabile. Con lui si può
dialogare, con lui ci si può confrontare, con lui possiamo discutere
serenamente se Dio esiste o non esiste, se Cristo è una cosa seria
o un’invenzione di certuni di duemila anni fa, se la Chiesa è la
depositaria dell’insegnamento divino o una conventicola di marpioni che
per duemila anni hanno lucrato sulla credulità altrui… e via dialogando.
E la sana laicità è una cosa seria !
4. La tolleranza
Talmente seria che siamo arrivati all’assurdo: all’assurdo
dei cattolici che reclamano la tolleranza da parte dei laici che devono
o dovrebbero praticare la “sana laicità”.
È inaudito, dicono certi cattolici, laici e chierici,
come possano esserci ancora delle persone intolleranti, tali da non permettere
al Papa di parlare alla “Sapienza”!
Ma dove siamo !?
Ma che razza di gente è mai questa !?
Dopo tanto progresso e tanta libertà, vi è
ancora gente talmente ideologizzata da essere intollerante nei confronti
del pensiero altrui !?
Inaudito! Il Papa che non può esprimere la sua
opinione nell’Università, la fucina della libertà, del progresso,
della tolleranza. Inaudito!
Inaudito! Diciamo noi. Inaudito che si sia arrivati
al totale capovolgimento della realtà.
In qualsiasi società normale, seppure intrisa
di mille difetti, si è sempre considerato che sia l’errore a dover
essere tollerato, proprio perché si sa che non può essere
estirpato da questo mondo segnato a fuoco dal peccato originale e dominato
dal “Principe di questo mondo”, appunto.
Oggi invece sono i cattolici che chiedono tolleranza
ai laici per essere ospitati e per poter parlare.
Sembra incredibile, ma è vero.
Migliaia di dichiarazioni orali e scritte, espresse da
cattolici laici e chierici, hanno finito col sancire la legittimità
di questo incredibile rovesciamento: i cattolici che chiedono ai laici
di essere tolleranti nei loro confronti, come se il cattolicesimo fosse
un male e la laicità fosse il bene, come se la religione fosse l’anormalità
e la laicità fosse la normalità, come se l’ateismo, l’agnosticismo,
il relativismo fossero il bene e la normalità mentre il cattolicesimo,
la Chiesa e la sottomissione alla volontà di Dio fossero l’anormalità,
un male da tollerare perché difficile da estirpare.
Sembrerebbe che certuni vogliano provare a tutti i costi
quanto sia vero l’antico adagio che ricorda che Dio fa impazzire chi vuol
perdere: in questo caso i cattolici adulti, i cattolici aggiornati, i cattolici
liberali, i cattolici infedeli: i cattolici moderni.
Noi, da cattolici ingenui e sprovveduti, eravamo rimasti
fermi al “ Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e,
mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi
ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.”
(Matteo 5, 11-12). Eravamo convinti, noi ingenui e sprovveduti cattolici,
che bisognasse sempre tenere presente il divino monito: “ Se il mondo
vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il
mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete
del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.”
(Giovanni 15, 18-19).
E pensavamo, ingenuamente, che a seguire questi insegnamenti,
si corrispondesse a quanto raccomandato: “ Questo vi darà
occasione di render testimonianza” (Luca 21, 13).
Pensavamo che rendere testimonianza significasse inevitabilmente
correre certi rischi, farsi carico di certi inconvenienti, subire certe
storture, patire certe discriminazioni, magari fino alla persecuzione,
se necessario fino al martirio, come peraltro dice la stessa parola.
Ma, intendiamoci, noi sappiamo che non facciamo testo,
perché siamo cattolici ingenui e sprovveduti che hanno portato il
cervello all’ammasso.
5. Libera Chiesa in libero Stato
Qui si tratta di ben altro. Qui si tratta di sana laicità,
qui si tratta dell’affermazione del sacrosanto principio della libera Chiesa
nel libero Stato.
Altro che storie!
Qui è in ballo la libertà!
Oh, gente… non scherziamo con le cose serie!
E la sana laicità è una cosa seria !
E la libera Chiesa in libero Stato è una cosa
più che seria!
Esatto!
Più che seria… anzi… tutt’altro che seria! Tanto
da far saltare in aria perfino il più elementare buon senso!
Che la Chiesa e lo Stato siano due entità del
tutto differenti è cosa pacifica, ma che queste due entità
non abbiano niente in comune è cosa veramente ridicola.
La Chiesa si preoccupa degli uomini, del loro benessere
spirituale e atemporale, lo Stato si preoccupa degli uomini, del loro benessere
materiale e quotidiano. In queste condizioni, dire che non hanno niente
in comune significa negare l’evidenza.
Piuttosto, accertato che entrambi si preoccupano della
stessa persona, bisogna capire se tra le due preoccupazioni vi sia concorrenza,
contrasto e incompatibilità, oppure convergenza, complementarietà
e compatibilità.
A rigore di logica, l’unica cosa possibile è
la seconda, e sulla base di essa l’unica cosa ancora logica è che
il benessere spirituale e atemporale dell’uomo abbia la prevalenza sul
suo benessere materiale e quotidiano. Se
non altro perché un uomo affamato ma sereno interiormente vive indubbiamente
molto meglio e tanto più “dignitosamente”di un uomo sazio ma angosciato.
La nostra civiltà moderna, soprattutto in Occidente, è la
prova vivente della bontà di questo assunto.
Ora, la Chiesa, per occuparsi del benessere spirituale
e atemporale dell’uomo, deve essere libera da ogni costrizione e da ogni
condizionamento materiale, poiché diversamente la sua azione sarà
distratta e compromessa verso il basso.
Dal canto suo, lo Stato, per occuparsi del benessere
materiale e quotidiano dell’uomo, deve far suoi dei riferimenti morali
al di sopra del materiale e del quotidiano, i soli che gli permetteranno
di superare la miopia e la schiavitù del tangibile e del contingente.
Per quanto riguarda la Chiesa è lo Stato che può
e deve assicurarle l’organizzazione sociale atta a farle svolgere al meglio
la sua missione: per la natura stessa dello Stato.
Per quanto riguarda lo Stato è solo dalla Chiesa
che può attingere i riferimenti morali di cui ha bisogno: per la
natura stessa della Chiesa.
A questo punto si comprende come la Chiesa, per svolgere
al meglio il suo compito, debba essere libera da ogni condizionamento umano,
sociale e statale; mentre lo Stato, da parte sua, non può che sforzarsi
di agevolare il più possibile il compito della Chiesa, realizzando,
per ciò stesso, il meglio per l’uomo, sia dal punto di vista materiale,
sia dal punto di vista spirituale.
Insomma: una Chiesa che svolge liberamente la sua
funzione, in uno Stato che è libero da ogni velleità, da
ogni utopia, da ogni suggestione, da ogni presunzione: uno Stato che si
ispira alla Chiesa.
Ogni diversa ipotesi porta al disconoscimento dei ruoli
propri delle due entità e al male dell’uomo, proprio perché
trascura la natura stessa delle cose.
Dirà subito qualcuno, magari chierico: ma questo
è inaccettabile! …Qui siamo alla teocrazia! (che è
più corretto chiamare Teo-crazia)… Il Medio Evo è
finito da un pezzo!
È vero!…Purtroppo!
Il Medio Evo è finito, e con esso è
finito anche tanto buon senso.
I nostri Padri, che non erano certo degli stinchi di
santo, avevano tuttavia il buon senso di coltivare il famoso “timor
di Dio”, naturale disposizione dell’uomo dignitoso. Ridotto al lumicino
il buon senso, oggi siamo giunti al punto che l’uomo vive come se “si fosse
fatto” da sé: un essere che non sa da dove viene, perché
c’è e dove va, eppure ha la pretesa di discettare su tutto e soprattutto
su sé stesso.
I nostri Padri, che di fesserie ne hanno fatte tante,
hanno sempre tenuto fermo che la radice di ogni cosa non sta in terra,
ma in cielo: così che se si vuol vivere con un po’ d’ordine a questo
mondo occorre riconoscere la supremazia del Cielo sulla terra, del divino
sull’umano, di Dio sul mondo.
È da questo elementare buon senso che scaturiva
e scaturisce il convincimento che il miglior governo del mondo non può
essere che la Teocrazia, il potere di Dio.
Una società che prescinda da questo elementare
buon senso è destinata a schiantarsi nell’abisso, come una valanga
che scende imponente dal monte e ineluttabilmente va a frantumarsi a valle.
Uno Stato che non abbia Dio come suo punto di riferimento
e la Chiesa come bussola e guida è destinato a perire risucchiato
nelle sabbie mobili della inconsistenza e della presunzione umana.
Ma ecco ancora qualcuno, magari chierico, ricordare che
sta scritto: " Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare
e a Dio quello che è di Dio " (Matteo 22, 21; Marco
12,17; Luca 20, 25).
Famosa frase del Vangelo che, secondo certuni, sancirebbe
la separazione tra Chiesa e Stato, la impossibilità di interferenza
dell’una nella sfera dell’altro. I due enti dovendo vivere autonomamente
e separatamente. La Chiesa occupandosi dell’ànima, lo Stato occupandosi
del corpo.
Ci permettiamo di affermare con forza che si tratta
di una palese impossibilità.
Innanzi tutto perché gli uomini non sono dei panini
imbottiti, da una parte il pane dall’altro il salame. Da una parte l’ànima
dall’altra il corpo. L’uomo è un tutt’uno: chi si occupa dell’uomo
si occupa inevitabilmente e simultaneamente del suo corpo e della sua ànima.
Se poi venisse qualcuno a negare l’ànima o a discuterne
criticamente, bisogna sempre ricordarsi che ognuno di noi è libero
di farsi folle e negare perfino di esistere, senza che questo, però,
cambi in nulla la realtà, quella vera .
In secondo luogo, ma essenzialmente, il Signore
Gesù non separa alcunché, ricorda invece all’uomo che
ha un dovere duplice: nei confronti della terra (Cesare) e nei confronti
del cielo (Dio); nei confronti della vita terrena e dell’uomo (Cesare)
e nei confronti della vita eterna (Dio). E, per
giunta, non solo non v’è separazione, ma v’è totale subordinazione
a Dio, sia per quanto riguarda l’uomo, sia per quanto riguarda Cesare:
sia per quanto riguarda il singolo, sia per quanto riguarda la collettività:
sia per quanto riguarda l’individuo, sia per quanto riguarda lo Stato.
Non è un caso che il Signore prenda spunto dall’effige
sulla moneta: la moneta è il simbolo dello Stato e l’effige che
si trova su di essa è quella del rappresentante di questo Stato,
che inevitabilmente è un uomo.
È assurdo che in questo passo del Vangelo si voglia
leggere una sorta di dicotomia tra Dio e Cesare, come se Cesare fosse alla
pari di Dio!
Cesare è un uomo, anche se posto a capo degli
altri uomini, e come tale, proprio in forza di questo passo del Vangelo,
deve “rendere a Dio ciò che è di Dio”. Non solo, ma mentre
per l’uomo della strada è possibile ammettere che possa distrarsi
o anche far male il suo dovere, o verso Dio o verso gli uomini, per Cesare
questo non è ammissibile, anche se sempre possibile, e in questo
caso Cesare che non fa il suo dovere è ben più condannabile
dell’uomo della strada. E quando diciamo Cesare, diciamo lo Stato.
Uno Stato che disconosca il suo dovere nei confronti
di Dio, uno Stato che non dà a Dio ciò che è di Dio
è una burletta, un macroscopico errore, una abominazione. Figuriamoci
poi uno Stato che giunga fino a disconoscere Dio, come accade oggi con
lo Stato cosiddetto “laico”.
A questo punto, il nostro amico cattolico, sempre quello
ingenuo e sprovveduto, potrebbe far notare che vi è un’altra
frase del Vangelo con la quale ci si dimentica sempre di completare la
precedente, la frase che Gesù rivolge a Pilato quando questi
gli ricorda che “ha il potere” su di lui: " Tu non avresti nessun
potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi
ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande " (Giovanni
19, 11).
Gesù afferma qui due cose, la prima è quella
che abbiamo ricordato prima: Cesare è sottoposto al potere di
Dio, anch’egli deve rendere a Dio ciò che è di Dio; la
seconda è che il potere di Cesare si arresta di fronte a tutto ciò
che è di Dio: in questo caso Gesù, in generale la Religione
e la Chiesa.
Ora, se ogni autorità viene da Dio (Romani
13, 1; Giovanni 19, 11) deve essere naturale che venga esercitata
con il chiaro riferimento a Dio; e quando tale riferimento viene meno,
è altrettanto naturale concludere che non ci si trova più
al cospetto di una autorità, ma di un abuso, di una prevaricazione,
di una innaturale stortura.
Chi può negare che lo Stato moderno meni addirittura
vanto del suo rifiuto di riferirsi a Dio ? E infatti oggi viviamo
all’interno di un apparato sociale che, come minimo, è un’anomalia.
Oggi l’unica massima praticata è la seguente: Chiesa dileggiata
e maltratta in uno Stato arrogante e presuntuoso.
Ed ecco che sorge subito il pensiero che ad una autorità
siffatta si debba solo resistere. Se non fosse che i cattolici sanno che
viviamo in un mondo sempre più prossimo alla sua fine e sempre più
inevitabilmente informato dal disordine e dal male. In tale contesto l’unica
cosa che può praticare il cattolico è la paziente sopportazione
e la vigile tolleranza: sopportare tutte le vessazioni che lo Stato moderno
gli procura e vigilare perché tollerare inevitabilmente il male
non si traduca in sottile, strisciante, inavvertita complicità con
esso.
Già! Ma se questo vale per il cattolico, per il
credente, come la mettiamo con i non cattolici, con i miscredenti?
Possiamo rispondere con le parole del Vangelo, là
dove il Signore dice:
“Se non fossi venuto e non avessi parlato loro,
non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato
(Giovanni 15, 22).
“E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io
sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo
mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete
che io sono, morirete nei vostri peccati" (Giovanni 8, 23-24).
Il che significa che l’uomo può inorgoglirsi finché
vuole, può usare la sua ragione per realizzare qualsiasi iniziativa,
può convincersi di qualsivoglia teoria, ma se la sua vita non è
conforme alla volontà di Dio la sua sorte è segnata.
E se il mondo potrà apparire senza limiti e l’azione
umana potrà sembrare onnipotente, se gli uomini potranno rimanere
abbagliati da tutto questo e sedotti dagli effetti di tutto questo, non
bisogna dimenticare che il mondo ha per principe il Demonio, che è
maestro di illusionismo, che è re dell’inganno, che è l’inganno
in persona: la scimmia di Dio.
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febbraio 2008
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