Papa Francesco:
Intervista al Corriere della Sera

3 maggio 2022


di Belvecchio






Il 3 maggio 2022, Papa Francesco ha concesso un’ intervista al Corriere della Sera, nella quale ha risposto a varie domande sull’attualità della Chiesa e del mondo, con particolare riferimento alla guerra in atto in Ucraina.

L’intervista è stata condotta dal Direttore del Corriere, Luciano Fontana, che era accompagnato da Fiorenza Sarzanini, vicedirettrice del Corriere.

Papa Francesco è rimasto seduto per tutto il tempo, a causa di un’affezione al ginocchio per la quale in giornata subirà un intervento.

Lo stato di salute del Papa ottantacinquenne lo porta a considerare che
«Una volta i Papi andavano con la sedia gestatoria. Ci vuole anche un po’ di dolore, di umiliazione…».

Affrontando subito l’argomento della guerra in atto, Papa Francesco ha ricordato che
«Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono, Putin invece non l’ho chiamato. L’avevo sentito a dicembre per il mio compleanno ma questa volta no, non ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo».

Per quanto riguarda l’auspicato incontro col Presidente russo, Vladimir Putin, il Papa ha detto: «ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento».

Andando alle cause della guerra in Ucraina, il Papa ha considerato che la decisione di Putin di attaccare l’Ucraina forse è legata al comportamento della Nato, all’«abbaiare della Nato alla porta della Russia», cosa che avrebbe portato Putin a reagire con una certa ira che il Papa confessa «non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì».

Un eventuale viaggio del Papa a Kiev, come sollecitato da più parti, per Papa Francesco è fuori questione: «io sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso».

E sul ruolo che potrebbero svolgere i preti per porre fine al conflitto, Papa Francesco fa riferimento alla telefonata del 16 marzo col Patriarca Kirill: «Ho parlato con Kirill per 40 minuti. Nei primi venti mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

Circa la possibilità che il conflitto in atto porti ad una guerra mondiale, Papa Francesco ricorda di averne parlato più volte e precisa che: «Il mio allarme non è stato un merito, ma solo la constatazione della realtà: la Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli Ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio. Certo loro sono un popolo fiero. Per esempio quando per la Via Crucis c’erano le due donne, una russa e l’altra ucraina, che dovevano leggere insieme la preghiera, loro ne hanno fatto uno scandalo».

Anche il ruolo degli Occidentali è stato oggetto dell’intervento del Papa:
«L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. Già in passato, quando era alla Banca Centrale Europea, gli ho chiesto consiglio. È una persona diretta e semplice. Ho ammirato Giorgio Napolitano, che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio Mattarella. Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau».

Ovviamente non si capisce cosa abbia a che fare Emma Bonino con la soluzione del conflitto, se non ponendo mente all’abitudine di Francesco a parlare a ruota libera.
E tuttavia, come l’ammirazione del Papa per Draghi, Napolitano e Mattarella sembra essere basata sul fatto che costoro sono i rappresentati di un mondo che è agli antipodi della Chiesa cattolica; così il rispetto per la Bonino (chapeau) sembra essere basata sul fatto che costei rappresenta un mondo che combatte la Chiesa cattolica.
Non siamo certo di fronte a considerazioni coerenti col ruolo di un papa, ma ormai Bergoglio ci ha abituati alla contraddizione tra il suo essere Papa e il suo essere un uomo del nostro tempo, con idee e comportamenti conseguenti, certo non cattolici.

Passando poi alla situazione in seno alla Chiesa, e al suo rinnovamento, Papa Francesco dichiara: «Spesso ho trovato una mentalità preconciliare che si travestiva da conciliare. […] ci sono bravi preti, bravi parroci, brave suore, bravi laici. Per esempio una delle cose che tento di fare per rinnovare la Chiesa italiana è non cambiare troppo i vescovi. Il cardinale Gantin diceva che il vescovo è lo sposo della Chiesa, ogni vescovo è lo sposo della Chiesa per tutta la vita. Quando c’è l’abitudine, è bene. Per questo cerco di nominare i preti, come è accaduto a Genova, a Torino, in Calabria. Credo che questo sia il rinnovamento della Chiesa italiana»; così, come nuovo Presidente della Conferenza Episcopale Italiana «cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole. E che abbia la possibilità di scegliere il segretario, che possa dire: voglio lavorare con questa persona».

L’intervista si conclude con un ritorno all’indietro di Bergoglio, un richiamo ad uno di coloro che previdero sul trono di Pietro il già noto e poco ortodosso Arcivescovo di Buenos Aires, il defunto cardinale Carlo Maria Martini: l’articolo da questi scritto sul terrorismo e la guerra «È talmente attuale che ho chiesto di ripubblicarlo su L’Osservatore Romano».







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