Orientamento del celebrante
Intervista del Padre Uwe Michael Lang
Pubblichiamo una intervista che Padre Uwe Michael Lang
ha rilasciata all'Agenzia cattolica Zenit
sull'orientamento nella preghiera e nella celebrazione
della S. Messa
L'intervista è stata pubblicata nel bollettino
giornaliero di Zenit del 25 ottobre 2007
(le sottolineature sono nostre)
Riorientare la Messa
Padre Lang spiega come si deve essere “rivolti al
Signore”
LONDRA, giovedì, 25 ottobre 2007 (ZENIT.org).-
L’obiezione che solitamente viene sollevata rispetto
alla forma antica di celebrare la Messa è
che il sacerdote dà le spalle alla comunità,
ma questo è un falso problema, secondo padre Uwe
Michael Lang.
La postura “ad orientem” - verso oriente - riguarda piuttosto
la volontà di assumere una direzione comune (tra comunità
e sacerdote) nella preghiera liturgica, aggiunge.
Padre Lang del London Oratory,
recentemente nominato alla Pontificia Commissione
per i beni culturali della Chiesa, è autore del libro “Rivolti
al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica”.
Il libro è stato pubblicato inizialmente in Germania
da Johannes Verlag e poi in inglese da Ignatius Press. Successivamente
è apparso anche in italiano (ed. Cantagalli), francese, ungherese
e spagnolo.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, padre Lang parla
della postura “ad orientem”
e della possibilità di riscoprire questa antica
pratica liturgica.
Come si è sviluppata, nella Chiesa dei primi
secoli, la pratica di celebrare la liturgia “ad orientem”, rivolti verso
oriente? Qual è il suo significato teologico?
Padre Lang: Nella maggior parte delle
religioni, la posizione che si assume nella preghiera e nell’orientamento
dei luoghi sacri è determinata da una “direzione sacra”.
La direzione sacra dell'ebraismo è verso Gerusalemme o più
precisamente verso la presenza del Dio trascendente “shekinah” nel
Sancta Sanctorum del Tempio, come si legge in Daniele 6,11.
Anche dopo la distruzione del Tempio, l’uso di rivolgersi
verso Gerusalemme è rimasto nella liturgia della sinagoga. È
così che gli ebrei hanno espresso la loro speranza escatologica
per l’arrivo del Messia, per la ricostruzione del Tempio e per il rientro
del popolo di Dio dalla diaspora.
I primi cristiani non si volgevano più verso
la Gerusalemme terrena, ma verso la nuova Gerusalemme celeste. La loro
ferma convinzione era che con la seconda venuta, nella gloria, il Cristo
risorto avrebbe radunato il suo popolo per costituire questa città
celeste.
Essi vedevano nel sorgere del sole un simbolo della Risurrezione
e della seconda venuta. E questo simbolo è stato quindi trasposto
anche nella preghiera. Vi sono elementi che ampiamente dimostrano che
dal secondo secolo in poi, in gran parte del mondo cristiano, la preghiera
era rivolta verso oriente.
Nel Nuovo Testamento, il significato della preghiera
orientata (rivolta verso oriente) non è esplicito.
Ciò nonostante la Tradizione ha individuato
molti riferimenti testuali a questo simbolismo, come ad esempio: il “sole
di giustizia” in Malachia 3, 30; “verrà a visitarci dall'alto un
sole che sorge” in Luca 1, 78; l’angelo che sale dall’oriente con il sigillo
del Dio vivente in Apocalisse 7, 2; e le immagini di luce nel Vangelo di
san Giovanni.
In Matteo 24, 27-30 il segno della venuta del Figlio
dell’Uomo con grande potenza e gloria, come la folgore che viene da oriente
e brilla fino a occidente, è la croce.
Esiste una stretta relazione tra la preghiera orientata
e la croce; questo risulta evidente sin dal quarto secolo, se non prima.
Nelle sinagoghe di quel periodo, il punto in cui erano collocati i rotoli
della Torah indicava la direzione della preghiera “qibla” verso Gerusalemme.
Tra i cristiani divenne uso comune segnare la direzione
della preghiera con una croce sul muro orientale nelle absidi delle basiliche
e nei luoghi privati, per esempio, dei monaci e degli eremiti.
Verso la fine del primo millennio vi sono teologi di
diverse tradizioni che osservano come la preghiera orientata sia una delle
pratiche che distinguono il Cristianesimo dalle altre religioni del Vicino
Oriente: gli ebrei pregano verso Gerusalemme, i musulmani verso la Mecca,
mentre i Cristiani verso oriente.
Anche gli altri riti della Chiesa cattolica adottano
l’orientamento liturgico?
Padre Lang: La preghiera liturgica orientata
(rivolta verso oriente) fa parte anche delle tradizioni bizantina, siriaca,
armena, copta ed etiope. Ancora oggi essa è in uso nella maggior
parte dei riti orientali, almeno per quanto riguarda la preghiera eucaristica.
Alcune Chiese cattoliche orientali, come ad esempio quella
maronita e quella siro-malabarese, hanno adottato in tempi recenti la Messa
rivolta “versus populum”, ma questo è dovuto all’influenza moderna
occidentale e non deriva dalle proprie tradizioni.
Per questo motivo la Congregazione vaticana per le Chiese
orientali ha dichiarato nel 1996 che l’antica tradizione di pregare rivolti
verso oriente ha un profondo valore liturgico e spirituale e deve essere
preservata nei riti orientali.
Spesso sentiamo dire che “ad orientem” significa
che il sacerdote sta celebrando con le spalle rivolte alla comunità.
Ma qual è il significato vero di questo orientamento?
Padre Lang: Il luogo comune secondo cui
il prete dà le spalle alla gente è un falso problema in quanto
il punto essenziale è che la Messa è un atto di culto comune,
in cui il sacerdote insieme alla comunità - che rappresentano la
Chiesa pellegrina - protendono verso il Dio trascendente.
La questione non è se la celebrazione è
rivolta “verso” o “contro” la comunità, ma è la comune direzione
della preghiera liturgica che conta. E ciò si può avere
a prescindere dall’orientamento dell’altare. In Occidente molte chiese
costruite dopo il XVI secolo non sono più orientate.
Il sacerdote all’altare, rivolto nella stessa direzione
dei fedeli, guida il popolo di Dio nel cammino della fede. Questo movimento
verso il Signore trova la sua massima espressione nei santuari di molte
chiese del primo millennio, in cui la rappresentazione della croce o del
Cristo glorificato indica la meta del pellegrinaggio terreno dell’assemblea.
Essere rivolti verso il Signore significa mantenere
vivo il senso escatologico dell’Eucaristia e ci ricorda che la celebrazione
del Sacramento è una partecipazione alla liturgia celeste e la promessa
della futura gloria nella presenza del Dio vivente.
Questo dà all’Eucaristia la sua grandezza,
evitando che la singola comunità si chiuda in se stessa, aprendola
verso l’assemblea degli angeli e dei santi nella città celeste.
In che modo può una liturgia orientata promuovere
il dialogo con il Signore nella preghiera?
Padre Lang: L’elemento principale del
culto cristiano è il dialogo tra il popolo di Dio nel suo complesso,
compreso il celebrante, e Dio verso il quale è rivolta la preghiera.
È per questo che il liturgista Marcel Metzger
sostiene che la diatriba sul verso in cui è rivolto il celebrante
rispetto alla comunità esclude del tutto colui verso il quale tutte
le preghiere sono dirette, ovvero Dio stesso.
L’Eucaristia non è celebrata con il sacerdote
rivolto verso i fedeli o dando loro le spalle. Piuttosto è l’intera
assemblea che celebra rivolta verso Dio, attraverso Gesù Cristo,
nello Spirito Santo.
Nella premessa al suo libro, l’allora cardinale
Ratzinger osserva che nessuno dei documenti del Concilio Vaticano II indica
di dover rivolgere l’altare verso i fedeli. Come si è verificato
allora il cambiamento? Qual è la base per tale importante modifica
della liturgia?
Padre Lang: Solitamente si citano due
argomenti principali per sostenere la posizione del celebrante rivolto
verso i fedeli.
Il primo è che tale pratica corrisponde a quella
della Chiesa dei primi secoli e che pertanto deve essere adottata come
la norma anche ai tempi nostri. Tuttavia, un’attenta analisi dei documenti
non dà conferma a questa ipotesi.
Il secondo è che la “attiva partecipazione”
dei fedeli, un principio introdotto da Papa Pio X e diventato centrale
nella “Sacrosanctum Concilium”, impone che il celebrante sia rivolto verso
la comunità. Ma una riflessione critica sul concetto di “attiva
partecipazione” ha di recente rivelato la necessità di una nuova
valutazione teologica di questo importante principio.
Nel suo libro “Lo spirito della liturgia”, l’allora cardinale
Ratzinger compie una utile distinzione tra la partecipazione alla liturgia
della Parola, che comprende azioni esterne, e la partecipazione alla liturgia
eucaristica, in cui le azioni esterne sono del tutto secondarie, poiché
è la partecipazione interiore della preghiera che costituisce l’elemento
centrale.
La recente esortazione apostolica post-sinodale del Santo
Padre “Sacramentum Caritatis” contiene una importante trattazione
di questo argomento al paragrafo 52.
Il nuovo ordinamento della Messa promulgato da
Papa Paolo VI nel 1970 vieta al sacerdote di rivolgersi ad oriente? Esiste
qualche ostacolo giuridico che vieta l’uso più ampio di questa antica
pratica?
Padre Lang: Il Messale di Papa Paolo VI
considera come un’opzione legittima quella di combinare la posizione del
sacerdote rivolto verso i fedeli durante la liturgia della Parola e la
posizione di entrambi rivolti verso l’altare durante la liturgia eucaristica
e in particolare per il Canone.
La versione revisionata delle Istruzioni generali del
Messale romano, che sono state pubblicate inizialmente per motivi accademici
nel 2000, affronta la questione dell’altare al paragrafo 299, che sembra
considerare la posizione del celebrante rivolto “ad orientem” come non
opportuna o persino vietata.
Tuttavia, la Congregazione per il culto divino e i sacramenti
ha rigettato questa interpretazione in risposta ad una domanda sottoposta
dal cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna. Ovviamente
il paragrafo delle Istruzioni generali deve essere letto alla luce di questa
riposta, datata 25 settembre 2000.
La recente lettera apostolica di Benedetto XVI
“Summorum Pontificum”, che liberalizza l’uso del Messale di Giovanni XXIII,
consentirà un più profondo apprezzamento della posizione
“rivolti verso il Signore” durante la Messa?
Padre Lang: Io credo che molte riserve
o persino timori sulla Messa “ad orientem” derivino da una scarsa familiarità
con essa e che la diffusione dell’ “uso straordinario” del rito romano
antico aiuterà molte persone a riscoprire e apprezzare questa forma
di celebrazione.
ottobre 2007
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