ESEMPIO DI MODERNA ESEGESI CATTOLICA
proposta da un bravo prete moderno della
Diocesi di Vicenza.
L’articolo che commentiamo,
dal titolo
L’Eucaristia, fonte e modello della comunità
cristiana
è stato pubblicato
nel n° di febbraio 2008 del mensile diocesano
di Vicenza
“ Chiesa Viva ”
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Il testo dell'articolo
Il nostro commento
Abbiamo riprodotto la pagina in questione, sia per documentazione,
sia e soprattutto per il riquadro in fondo a destra.
In esso si legge:
« Questo tema (quello dell’Eucaristia, ovviamente)
sarà approfondito nei due incontri
dei “ Martedì della Missione” in calendario nei
mesi di febbraio.»
E chi terrà gli approfondimenti ?
Udite, udite: don Dario Vivian e p. Alex Zanotelli !!!
È proprio vero: il Signore li fa e poi li accoppia
!
Fino a quando dovremo sopportare personaggi del genere
in giro nelle nostre chiese ?
Il testo dell'articolo
L'Eucaristia, fonte e modello della comunità
cristiana
"Non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono
per il meglio, ma per il peggio" (I Cor. 11,17).
E’ Paolo che rimprovera la parrocchia di Corinto, come succede ad ogni
bravo parroco che si rispetti!
Scherzi a parte, un po' ci consola vedere che anche le prime comunità
cristiane non sono perfette. Non dobbiamo idealizzare la chiesa, pur essendo
il luogo concreto dove facciamo l'esperienza della figliolanza e della
fraternità evangeliche; problemi ne avremo sempre, incomprensioni
anche, ma devono servirci a radicare ancor più la nostra fede in
Gesù Cristo e nel suo Vangelo (al di là dei limiti di chi
si dice cristiano, a partire da noi). Le riunioni di cui si preoccupa Paolo
non sono tuttavia quelle (pur importanti) del consiglio pastorale parrocchiale,
ma nientemeno che le messe domenicali; anzi, l'unica celebrazione della
Cena del Signore, che ogni domenica vedeva i cristiani radunarsi nelle
case per la memoria eucaristica.
Fin da subito, infatti, i discepoli del Cristo prendono sul serio la
sua consegna avvenuta nella notte in cui fu tradito. Anticipando nel gesto
del pane spezzato e del vino versato il dono di sé, invita a fare
questo in sua memoria; dove questo non si riferisce anzitutto alla celebrazione
liturgica, ma alla vita donata fino alla fine. Non ci comanda, in altre
parole, di dire tante messe, quanto piuttosto di spezzare la nostra esistenza
come ha fatto lui! Forse anche i primi cristiani scoprono, assai presto,
che è più comodo fare eucaristia nel rito piuttosto di farla
nella vita. Infatti l'evangelista Giovanni, quando descrive ciò
che è capitato nell'ultima cena, non ricorda il gesto del pane e
del vino; lo sostituisce con la lavanda dei piedi, alla fine della quale
Gesù ripete il medesimo comando: Come ho fatto io, il Signore e
Maestro, fate anche voi. E' un monito a non disgiungere mai la celebrazione
dalla concretezza della cura e dell'amore fraterno.
"Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un
mangiare la cena del Signore. Ciascuno, infatti, quando partecipa alla
cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro
è ubriaco" (I Cor. 11,21).
L'eucaristia non si chiama ancora messa, ma frazione del pane; avviene
a conclusione di un pasto comune, chiamato agàpe (l'amore, dono
di Dio). Succede purtroppo che il pasto è poco comune, dal momento
che ciascuno mangia quanto ha e chi è povero digiuna; ma poi tutti
fanno la comunione... Paolo si arrabbia con chi mangia e beve prima di
fare la comunione, non perché non ha osservato il digiuno eucaristico;
quanto perché non ha condiviso con i poveri ! Arriva a dire:
"Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia
e beve la propria condanna" (I Cor. 11,29).
Il corpo di Cristo che va riconosciuto non è qui la particola
e il richiamo di Paolo non è primariamente diretto al riconoscimento
di quella che più avanti nel tempo verrà chiamata la presenza
reale nell'eucaristia. Si tratta del corpo del Signore costituito dall'assemblea
radunata, primi di tutti i poveri; è il corpo della chiesa che si
disprezza, non tenendo unita la comunione eucaristica e quella fraterna.
Il vero pericolo, che i cristiani hanno sempre corso, non è di infrangere
qualche regola liturgica, quando si fanno le celebrazioni. Sorprende anzi
che dall'alto si spendano tante energie per richiami e precisazioni sugli
aspetti rituali dell'eucaristia e che addirittura qualcuno pensi di salvaguardarne
la santità celebrandola in latino e con il rito antico! Ci fosse
qui Paolo, avrebbe ben altro da dire sulle nostre messe ridotte a precetto
e staccate dalla prassi di condivisione concreta.
"Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi
gli uni gli altri" (I Cor. 11,33).
Bellissimo questo invito all'attesa reciproca, che non vuol dire aspettare
i ritardatari alla messa, prima di cominciare. E' piuttosto l'attenzione
discreta alla situazione di ciascuno, in modo che davvero a celebrare l'eucaristia
sia un'assemhlea dove nessuno si sente escluso, messo da parte, lasciato
con la sua fame (magari più profonda e angosciante di quella materiale).
Anzi, in certo senso quando viviamo l'appuntamento eucaristico rendiamo
presente anche chi non c'è, ci facciamo carico degli assenti portando
con noi e in noi la loro vita, facciamo dell'altare (che è il Cristo
stesso, pietra scartata divenuta pietra angolare) la tavola della convivialità
delle differenze, secondo l'espressione dell'indimenticabile vescovo Tonino
Bello. Allora l'eucaristia diventerà non solo fonte e modello della
comunità cristiana, ma profezia di un mondo riconciliato a partire
dai piccoli e dai poveri resi finalmente commensali, non poveri lazzari
costretti a spartirsi le briciole dell'opulenza e dello spreco di pochi.
don Dario Vivian
Chiesa Viva, mensile della diocesi di Vicenza, febbraio 2008, pag.
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Il nostro commento
Quando abbiamo letto questo scritto, che ci ha inviato
un amico di Vicenza, abbiamo fatto fatica a capire subito quale fosse la
vera intenzione dello scrivente. Abbiamo pensato: “Ma questo dove vuole
arrivare?”.
Ben presto, però, ci siamo resi conto che il poveretto
non vuole arrivare in alcun posto: anzi, non è neanche partito,
è fermo lì, nelle sue personali e razionali certezze, che
propone ai fedeli di Vicenza come fossero verità rivelate.
I malcapitati sono proprio questi fedeli, indotti a leggere
sul giornale della Curia gli strafalcioni di questo prete moderno.
Prendiamo la Lettera ai Corinti, capitolo 11; qui San
Paolo dice: " È necessario infatti che avvengano divisioni
tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in
mezzo a voi. "
Si tratta del versetto 19, che segue il versetto 17 citato
come incipit dal nostro prete. Evidentemente questo versetto 19 gli
è sfuggito perché altrimenti non avrebbe commentato il versetto
17 con la banalità delle “incomprensioni… che servono a radicare
la fede”.
Questa fisima delle diversità che arricchiscono
è davvero una cosa perniciosa che continua a fare danni incalcolabili.
Le divisioni, dice San Paolo, aiutano a riconoscere i
falsi credenti e a distinguerli dai credenti veri; perché in seno
alla Chiesa coesisteranno fino alla Parusia la zizzania e il grano. Appartenere
in qualche modo alla Chiesa, stare nello stesso campo, non significa automaticamente
essere tutti veri credenti, essere tutti grano. " Lasciate che l'una
e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura
dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli
per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio (Matteo,
13, 30). " - dice il Signore.
Questa prima considerazione aiuta a capire perché
ci siamo interessati a questo scritto: il prete che scrive è uno
di quelli che cita il Vangelo per poi trarne delle conclusioni tutte sue,
indipendentemente dallo stesso Vangelo citato. Un tipico esempio della
zizzania che alligna nella Chiesa odierna.
Egli infatti prosegue così:
“ Anticipando nel gesto del pane spezzato e del
vino versato il dono di sé, invita a fare questo in sua memoria;
dove questo non si riferisce anzitutto alla celebrazione liturgica, ma
alla vita donata fino alla fine. Non ci comanda, in altre parole, di dire
tante messe, quanto piuttosto di spezzare la nostra esistenza come ha fatto
lui! Forse anche i primi cristiani scoprono, assai presto, che è
più comodo fare eucaristia nel rito piuttosto di farla nella vita.”
Ora, qui si afferma che il gesto liturgico del Signore
Gesù, che spezza il pane e ripartisce il vino secondo l’antichissima
ritualità che risale fino a prima di Melchisedek, e che compie questo
gesto rituale in corrispondenza con la Pasqua ebraica e in osservanza alla
Legge, non sarebbe una “celebrazione liturgica”. Anzi, perfino quel poco
di liturgia che qui sembra si voglia riconoscere, per Gesù sarebbe
una quisquilia a fronte dello “spezzare la nostra esistenza”.
Sono espressioni come questa a dare l’idea della preparazione
cervellotica di questi preti moderni.
Cosa diavolo significa: “spezzare la nostra esistenza
come ha fatto lui!”? “fare eucaristia nella vita” e non nel rito ?
Al pari di altri, questo prete moderno invece di leggere
Freud alla luce del Vangelo, legge il Vangelo all’ombra di Freud.
Secondo lui tutto si risolverebbe in una sorta di condivisione
psicologica e sentimentale, affatto immaginaria, magari praticata con declamazioni
come la “ concretezza della cura e dell'amore fraterno”.
La cultura dell’aria fritta, delle parole in libertà,
contro la cultura della reale pratica liturgica in ossequio ai comandamenti
del Signore: Fate questo in memoria di me!
In questa frase del prete moderno di Vicenza si legge
chiaramente che cosa questi abbia in mente: abolire la liturgia per praticare
una immaginaria “eucaristia nella vita”; insomma la cancellazione del cattolicesimo
e il passaggio alla forma più bieca di protestantesimo.
Non ci inventiamo nulla, perché è proprio
lui a spiegarci che quello che sta scritto nel Vangelo non è quello
che vi si legge, ma quello che vi legge lui: l’illuminato !
“ Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo
del Signore, mangia e beve la propria condanna” (I Cor 11,29). - “ Il
corpo di Cristo che va riconosciuto non è qui la particola e
il richiamo di Paolo non è primariamente diretto al riconoscimento
di quella che più avanti nel tempo verrà chiamata la presenza
reale nell'eucaristia.
Si tratta del corpo del Signore costituito dall'assemblea
radunata, primi di tutti i poveri; è il corpo della chiesa che
si disprezza, non tenendo unita la comunione eucaristica e quella fraterna.”
(le sottolineature sono nostre).
Stupenda esegesi !! … Peccato che si tratti di una
balla!!
E di una balla per di più alquanto puerile, seppure
ampiamente propalata a partire dal Vaticano II.
Più che compiangere questo prete sviato, c’è
da temere per le ànime dei fedeli affidati alla sua cura.
Lui farà la fine della zizzania, ma che sarà
degli ignari fedeli?
È più che palese che costui non crede
nella Presenza Reale o, se ci crede, lo fa a modo suo. Ora, la Chiesa
stabilisce che i Sacramenti sono amministrati validamente solo se vi è
la compresenza di tre elementi: materia, forma e intenzione. Elementi materiali
(acqua, olio, sale, grano, vino di vite, ecc.), elementi formali (parole,
gesti, posture, paramenti, colori, ecc.) e disposizione del ministro, che
deve avere una retta intenzione e, in particolare, deve avere l’intenzione
di fare ciò che fa la Chiesa stessa.
Ci chiediamo: chi, come il nostro prete moderno di
Vicenza, non crede nella Presenza Reale del Signore in Corpo, Anima e Divinità
nelle specie consacrate, amministra Sacramenti validi o sacramenti
invalidi ?
E se amministra sacramenti invalidi che ne è
della salvezza delle ànime dei fedeli ?
È la domanda terribile che si è imposta
soprattutto in questi ultimi quarant’anni !
L’esegesi del prete moderno non lascia adito a dubbi:
per lui il Corpo di Cristo non è il Corpo di Cristo, ma “l’assemblea
radunata, primi di tutti i poveri”. Vero è che la Chiesa con i fedeli
costituiscono il Corpo Mistico di Cristo, ma questo è cosa diversa
dal Corpo di Cristo che si rende presente sacramentalmente nelle specie
eucaristiche; ed entrambi sono ancora diversi dall’assemblea radunata.
Peraltro, la S. Messa ha un rapporto solo parziale
con i fedeli presenti, poiché viene sempre celebrata sia per la
loro redenzione, sia per la redenzione degli assenti, dei vivi e dei morti:
tanto nelle SS. Messe con i fedeli, quanto in quelle senza i fedeli. E
questo è il minimo che dovrebbe sapere uno che fa il prete seriamente.
Senza contare lo scadimento in pura demagogia del ben
altrimenti significativo “beati i poveri”.
Qui siamo ancora alla riduzione del significato soprannaturale
della Religione ai livelli più bassi del mero umano: “primi di tutti
i poveri”; come se i non poveri che assistono alla S. Messa fossero
votati ad una salvezza di secondo grado per il loro “non esser poveri”.
Peggio di Marx e dell’ateismo militante del “sol dell’avvenire”:
ci pensiamo noi ad un “mondo nuovo” senza più poveri, visto che
quel distratto di Dio non ha pensato a porre fine alla povertà nel
mondo.
È più che evidente che nessuno ha mai insegnato
a questo prete moderno che la povertà di cui parla il Vangelo non
è la povertà della terra, la povertà della materia,
ma la povertà del cielo, la povertà dello spirito. Per
il Vangelo “il ricco” è colui che è attaccato ai beni terreni
e trascura il perseguimento dei beni celesti, per questi ricchi sarà
difficile entrare nel Regno dei Cieli, ma questi ricchi non coincidono
tout court con i possidenti e i capitalisti, anzi ve ne sono fin troppi
proprio tra gli indigenti, tra i proletari, che non anelano ad altro che
a diventare ricchi e “farsi i soldi”. Costoro entreranno difficilmente
nel Regno dei Cieli, anche se, da un punto di vista umano simboleggiano
i “poveri” del Vangelo.
Dar da mangiare agli affamati, fare “questo” ai più
piccoli per farlo a “Lui”, praticare la “limosina” sono cose meritevoli
per la propria spoliazione terrena, per la propria umiltà, per il
proprio distacco dalle cose della terra (in primis dai soldi), non sono
opere di dovere sociale, ma opere di misericordia corporale, propedeutiche
alle opere di misericordia spirituale e alla pratica della povertà
spirituale.
Diversamente, come è spesso accaduto in questi
anni, Nostro Signore verrebbe ridotto ad un protopredicatore socialcomunista.
Il che è ridicolo e puerile prima ancora che blasfemo.
Da questa chicca di scadente populismo, il nostro prete
moderno passa inevitabilmente all’argomento che gli sta più a cuore
e che sembra essere il vero motivo del suo scritto:
“ Il vero pericolo, che i cristiani hanno sempre
corso, non è di infrangere qualche regola liturgica, quando si fanno
le celebrazioni. Sorprende anzi che dall'alto si spendano tante energie
per richiami e precisazioni sugli aspetti rituali dell'eucaristia e che
addirittura qualcuno pensi di salvaguardarne la santità celebrandola
in latino e con il rito antico! Ci fosse qui Paolo, avrebbe ben altro da
dire sulle nostre messe ridotte a precetto e staccate dalla prassi di condivisione
concreta.”
Per comprendere questa frase bisogna partire dalla
fine: “ messe ridotte a precetto e staccate dalla prassi di condivisione
concreta”.
Tombola!
Eccolo qui il nostro prete moderno, da buon moderno e
da cattivo prete egli vuole prima di tutto l’anarchia. Non ha la
minima cognizione della realtà, confonde la realtà oggettiva
con la sua personale realtà immaginaria. Ha mai sentito dire, il
nostro, che il mondo è stato creato da Dio e che ad ogni passo della
creazione “Dio vide che era cosa buona” ? Ha mai sentito dire che questo
essere “cosa buona” sta ad indicare che ogni cosa è stata da Dio
“ordinata” ? Ha mai sentito dire che nulla che si riferisca minimamente
a Dio possa considerarsi in balia dell’arbitrio, del caso o della piacevolezza
umana ?
La liturgia, che è la preghiera per eccellenza
della Chiesa, non può non essere precetto, non può fare a
meno degli “aspetti rituali”, perché per essere ordinata a
Dio dev’essere regolata per gli uomini, così che non accada che
da preghiera della Chiesa si trasformi in anarchia dell’assemblea, com’è
troppo spesso accaduto a partire dal Vaticano II.
Per di più, questo nostro prete moderno di Vicenza,
confessa che a lui piace una messa (ovviamente minuscola, come si usa da
dopo il Vaticano II), legata alla “prassi della condivisione concreta”,
cioè legata al luogo comune, all’aria fritta di moda, a qualcosa
che nessuno sa bene cosa sia.
La condivisione concreta (ovviamente ben diversa dalla
condivisione astratta !!??)… di che cosa ?
Condivisione di che ?
Ma dai… è risaputo no! È la Messa che si
condivide, che, cioè, si divide con, si parteggia con, si pratica
con, si celebra con… e via di questo passo.
La Messa dell’assemblea, la Messa “nostra”, la Messa
fatta da noi.
Ma… di grazia… la Messa non dovrebbe essere semplicemente
la diretta conseguenza del “fate questo in memoria di me” ? Non dovrebbe
essere semplicemente la ripetizione di quel “questo”? Di quanto compiuto
dallo stesso Signore Gesù ? Non dovrebbe essere il rinnovamento
di quanto compiuto dal Signore Gesù nell’Ultima Cena e sul Calvario,
eseguito secondo quanto da Lui stesso prescritto agli Apostoli ?
Cosa diavolo c’entra con la S. Messa la “prassi della
condivisione concreta” ?
Figuriamoci poi se “dall’alto” si producono richiami e
precisazioni sugli aspetti rituali: stupore e indignazione!
Come si permette il Papa a spendere tante energie in
richiami e precisazioni!?
Ma chi crede di essere, questo Papa!?
Ma dove stiamo andando a finire!?
Di questo passo, non appena San Paolo verrà
a conoscenza della cosa, chiamerà San Pietro per far togliere al
Papa ogni autorità… altro che anello del pescatore! La falce e martello
gli facciamo adottare!
Senza contare che “dall’alto” qualcuno pensa addirittura
di salvaguardare la santità della Messa celebrandola in latino e
per di più col rito antico! Ma siamo pazzi!
Non appena lo saprà San Paolo, sicuramente
scriverà una nuova “lettera ai Romani” per ricordare a questi moderni
occupanti di Roma che gli Apostoli hanno istituito, fin dalle origini della
Chiesa, il rito protestante moderno in tedesco e in inglese; ed esprimerà
sorpresa perché proprio un tedesco pare abbia dimenticato questa
risaputa verità. Altro che le sciocchezze del latino e del rito
antico!
Ed eccoci finalmente alla conclusione di questo sinistro
comizio da quattro soldi.
Una conclusione che di primo acchito lascia esterrefatti.
"Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per
la cena, aspettatevi gli uni gli altri" (1Cor 11,33).
“Bellissimo questo invito all'attesa reciproca,
che non vuol dire aspettare i ritardatari alla messa, prima di cominciare.
E' piuttosto l'attenzione discreta alla situazione di ciascuno, in modo
che davvero a celebrare l'eucaristia sia un'assemhlea dove nessuno si sente
escluso, messo da parte, lasciato con la sua fame (magari più
profonda e angosciante di quella materiale). Anzi, in certo senso quando
viviamo l'appuntamento eucaristico rendiamo presente anche chi non c'è,
ci facciamo carico degli assenti portando con noi e in noi la loro vita,
facciamo dell'altare (che è il Cristo stesso, pietra scartata divenuta
pietra angolare) la tavola della convivialità delle differenze,
secondo l'espressione dell'indimenticabile vescovo Tonino Bello. Allora
l'eucaristia diventerà
non solo fonte e modello della comunità
cristiana, ma profezia di un mondo riconciliato a partire dai piccoli
e dai poveri resi finalmente commensali, non poveri lazzari costretti a
spartirsi le briciole dell'opulenza e dello spreco di pochi.” (le sottolineature
sono nostre).
Una conclusione che oltre ad essere sconclusionata
è piena zeppa di errori e di orrori gravissimi.
Lungi da noi la supponenza dei professori universitari,
ma da cattolici abbiamo il dovere, prima ancora che il diritto, di riprendere
e correggere i nostri fratelli che sbagliano, massimamente quando sono
chierici (insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori), e abbiamo il
dovere di farlo anche quando non ci piace (sopportare pazientemente le
persone moleste).
L’Eucaristia celebrata da un’assemblea è prima
di tutto una sciocchezza puerile, poi una bugia clamorosa, quindi è
un grave errore dottrinale. Un prete così dovrebbe essere subito
cacciato dal corpo dei presbiteri, se non altro perché non faccia
altri danni.
Ma veniamo all’ulteriore confusione mentale del nostro
povero prete.
Al momento della S. Messa dovremmo portare con noi e
in noi la vita degli altri. Una cosa davvero incredibile prima che priva
di significato.
Ma… di grazia… come si fa a portare con noi la vita degli
altri ? E a portarla in noi ?
Si tratta di un mero funambolismo linguistico, il più
adatto per non dire alcunché facendo finta di dire chissà
che. Tipico della falsità e della ipocrisia del mondo moderno.
La Chiesa ha sempre insegnato che dobbiamo farci carico
dei bisogni del nostro prossimo, massimamente dei suoi bisogni spirituali,
ma questa cosa è troppo semplice, è troppo di buon senso,
e ai preti moderni non basta, loro devono per forza inventarsi le iperboli,
trastullarsi con l’aria fritta.
Al momento della S. Messa dobbiamo fare dell’Altare (che
nel caso del nostro prete moderno è un altare minuscolo, com’è
giusto!) la tavola delle convivialità delle differenze.
Una cosa davvero stupenda! Soprattutto perché
significa proprio un bel niente.
Non bastava aver fatto dell’Altare una tavola da pranzo,
adesso si pretende di farne una tavola dell’assurdo: neppure ove far “convivere”
le differenze, ma addirittura il luogo ove far banchettare le differenze.
Siamo davvero al grottesco.
Ma chi mai avrà insegnato la lingua italiana a
questo tizio?
Passi per il latino, che è anacronistico, odioso
e inaccettabile (!), ma qui non si conosce neppure l’italiano! Che diavolo
insegnano in questi seminari ?
Vuoi vedere che insegnano la “convivialità delle
differenze” ?
E cosa vuol dire ?
Semplice, vuol dire che tutte le differenze si raccolgono
in convivio, cioè si raccolgono per banchettare e colloquiare
tra loro.
E cosa ha a che fare questo con l’Altare?
Niente, assolutamente niente… che è quello che
intendeva dire esattamente il nostro prete moderno.
Ma non è possibile, il tono è molto serio,
cita perfino san tonino bello (che dev’essere un suo santo personale)…
anzi ricorda perfino che l’altare (sempre minuscolo) è “il Cristo
stesso”. Non è possibile che intendesse dire un bel niente!
E… già… vuoi vedere che è davvero una cosa
seria ?
Vuoi vedere che intende sostenere che all’Altare devono
incontrarsi tutti, i santi e il diavolo, i cattolici e i non cattolici,
i credenti e i miscredenti ?
Vuoi vedere che costui intende predicare e praticare
il banchetto di chiunque con chiunque, il parlamento delle religioni o
l’ecumenismo interreligioso che dir si voglia ?
Povero prete… che non sa quello che dice e ancor meno
quello che fa !
Ed ecco l’epilogo dello sproloquio:
“Allora l'eucaristia diventerà
non solo fonte e modello della comunità cristiana, ma profezia
di un mondo riconciliato a partire dai piccoli e dai poveri resi finalmente
commensali, non poveri lazzari costretti a spartirsi le briciole dell'opulenza
e dello spreco di pochi.”
Ottima riscrittura del Vangelo in chiave populista:
il Figlio di Dio non sarebbe venuto per salvare i peccatori, per farsi
carico dei peccati del mondo, ma, secondo questo moderno esegeta, sarebbe
venuto per riconciliare il mondo e per far diventare ricchi, opulenti e
spreconi i poveri lazzari di turno.
Ora, se in duemila anni le cose non sono cambiate come
immagina costui, viene da pensare che nella Chiesa e nel Cattolicesimo
ci sia stato e ci sia qualcosa che non va; e non potendosi neanche supporre
che si tratti del fallimento del disegno divino, resta da concludere che
per venti secoli la Chiesa e il Cattolicesimo hanno avuto la mala sorte
di non avere un solo prete moderno della Diocesi di Vicenza: ora che finalmente
ce l’abbiamo le cose non mancheranno di migliorare !
Quando ci si imbatte in cose come queste verrebbe voglia
di citare tutto il Vangelo; per comodità ci limitiamo a riportare
due soli passi: uno relativo alla riconciliazione nel mondo e l’altro riguardante
la necessità dei beni materiali. |
A proposito di riconciliazione nel mondo
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla
terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto
infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la
nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me;
chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me;
chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Matteo, 10, 34-38
A proposito di bisogni materiali
Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi
di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello
che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo
più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano,
né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro
celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi
di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla
sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate
come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi
dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di
loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è
e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più
per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo?
Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano
i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate
prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il
domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta
la sua pena.
Matteo, 6, 25-34
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