Il caso di Eluana Englaro
Qualche riflessione
di Belvecchio
Requiem aeternam dona ei Domine, et lux
perpetua luceat ei, requiescat in pace. Amen.
Siamo
padroni della nostra vita e della nostra morte
I diritti umani
Medicina
e tecnologia moderne
La questione giudiziaria
La strana figura
del padre
Come
siamo arrivati a tutto questo?
Rapporto tra
scienza e fede
Gli effetti pratici
Conclusione
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Com’era inevitabile, l’esplosione dell’interesse mediatico
per il caso del destino terreno della povera Eluana Englaro ha prodotto
una valanga di informazioni e precisazioni, con la prevedibile conseguenza
del sollevamento di un accecante polverone che ha impedito di vedere e
di capire. Il chiasso è stato tale che non si è sentito veramente
più niente di seriamente udibile e comprensibile.
Nulla di nuovo, peraltro: è questo l’inevitabile
prodotto della moderna concezione dell’informazione, connotata dal bisogno
di “fare colpo” e dalla spregiudicatezza per ottenere l’effetto. Senza
contare che in tutto questo incide parecchio l’inconfessabile “interesse
di bottega”, perennemente gabellato per “libertà di opinione”.
L’attento uso delle sollecitazioni emotive, poi, ha condotto
perfino al risultato incredibile dei cosiddetti sondaggi, secondo alcuni
dei quali gli Italiani, che sarebbero contrari alla pena di morte, e si
fanno venire il batticuore per una pedata data ad un cane randagio ringhiante,
si sarebbero convinti della bontà di far morire di fame e di sete
una ragazza che da 17 anni non è in grado di dire la sua… su sé
stessa.
Per amore dell’amore non c’era cosa migliore da fare
che provocare la morte per inedia di una ragazza che ha avuto la sventura
di cadere in balia della prosopopea del padre, delle inestricabili maglie
dell’apparato giudiziario moderno, delle mire di certa classe medica che
si sente sempre più onnipotente e degli scopi perfino confessati
di tanti nostri contemporanei che sono convinti di essere i padroni della
loro vita e della loro morte.
Siamo
padroni della nostra vita e della nostra morte
Facciamo allora qualche riflessione, e partiamo proprio
da quest’ultimo aspetto.
Ognuno dev’essere libero di poter decidere della propria
vita e della propria morte.
Questo l’assunto incredibile, ma fascinoso e suggestivo,
che è stato sbandierato in questa come in tante altre occasioni.
Peccato che si tratti di un assunto chiaramente arbitrario
e palesemente ingannevole, poiché nessuno al mondo potrebbe sostenere
che ognuno di noi sia il padrone di sé stesso.
Perché uno sia libero di darsi la morte è
indispensabile che, quanto meno, sia stato libero di darsi la vita. Il
che è semplicemente assurdo.
Come potrebbe uno darsi la vita se non esiste neanche?
Eppure, sulla base di questa assurdità, c’è
un mondo intero che legifera sulla supposta libertà di scelta dell’individuo.
La vita non ci viene data neanche dai genitori, i quali
si limitano solo a concorrere al processo di mantenimento del genere umano.
La
vita ci viene data da Dio, anche se questo dispiace a molti nostri contemporanei…
ma è un fatto. Un fatto che non si può aggirare nemmeno
con la cosiddetta procreazione artificiale, poiché l’onnipotenza
della scienza potrà pure conficcare uno spermatozoo in un ovulo,
ma non può animare la cellula che ne deriva. E neanche si può
parlare di automatismo, poiché un gran numero di ovuli fecondati
non ci pensano neanche a trasformarsi in essere viventi… questo lo fa solo
Dio.
Se nessuno si dà la vita è ovvio che nessuno
può darsi la morte.
L’unica differenza è tecnica, poiché in
realtà ogni individuo vivo può decidere di procurarsi la
morte, ma in questo caso non esercita una prerogativa che gli è
propria in quanto uomo, ma una possibilità che è praticabile
non appena perde ogni cognizione di sé, non appena, dimentico di
sé, fa violenza a sé stesso, attuando la più aberrante
e la più abnorme delle possibili violenze umane.
Figuriamoci poi dare la morte agli altri o decidere sulla
morte di altri.
Da che mondo è mondo, in tutti i tempi, in tutte
le latitudini, in tutti i contesti umani, è stato sempre condannato
sia l’omicidio, sia il suicidio.
E qui non parliamo dei diritti di Dio, perché
pare che ultimamente parlare di Dio faccia correre il rischio di essere
sottoposti a procedimento giudiziario per lesa maestà umana.
Qui ci limitiamo a fare un ragionamento basato solo sul
buonsenso.
Solo un dissociato mentale può pensare di poter
affermare coerentemente di essere padrone di morire come vuole, quando
non sa neanche com’è venuto al mondo.
I diritti umani
C’è poi il problema, sollevato da tanti, dei supposti
diritti umani.
E qui le cose si complicano, poiché bisognerebbe
innanzi tutto usare le parole secondo il loro vero significato.
Uno dei diritti umani principali sarebbe il diritto
alla vita.
Come dire che uno dei diritti dell’uomo è quello
di nascere: uno dei diritti di un essere che non è un uomo è
quello di essere un uomo.
Sembra paradossale, ma è logico che parlare di
diritto alla vita, equivale a sostenere che uno la vita non ce l’ha, e
se uno la vita non ce l’ha non è neanche un uomo, quindi non può
vantare il diritto alla vita come uomo, semmai si potrà parlare
di diritto alla vita per un uomo potenziale, come è il caso degli
embrioni.
L’uomo, che la vita già ce l’ha, può solo
parlare di diritto a sopravvivere, a non essere soppresso.
Questo per dire che il diritto alla vita non è
uno dei diritti dell’uomo, semplicemente perché, come tale, è
una impossibilità. L’uomo sulla vita non ha alcun potere e, a maggior
ragione, non può avere alcun potere sulla morte, né sulla
sua, né su quella di altri.
E così torniamo a quello che dicevamo prima, con
l’ulteriore conferma che la vita non ci viene da noi stessi, né
da altri uomini, ma ci viene da Dio, con l’inevitabile corollario che solo
Dio decide della nostra morte, come solo Lui decide della nostra vita.
Medicina e
tecnologia moderne
Se passiamo poi all’aspetto relativo alla medicina moderna,
con la contigua problematica della tecnologia moderna ad essa applicata,
vediamo subito che sorge un primo inquietante interrogativo: come fa ad
affermare la scienza medica che una persona è moribonda o morta?
Come fa ad affermarlo, volendo prescindere dalla semplice constatazione
dello stato cadaverico, se non sulla base di una qualche convenzione che
essa stessa si è data? E come fa ad affermarlo sulla base di una
convenzione che essa stessa si è data, oggi, e che domani certamente
cambierà?
Un altro paradosso: poiché si capisce che uno
che è vivo oggi, in base a protocolli e regole scientifiche, domani
potrebbe essere considerato morto e sepolto in base ad altri protocolli
e ad altre regole scientifiche; ed uno che allo stesso modo oggi viene
considerato morto, domani potrebbe essere considerato invece vivo… salvo
la quisquilia che in questo caso è già bell’e sepolto.
Esasperazione?
No, semplice lettura dei fatti.
Vi è un numero incredibile di casi di gente
considerata morta che è tornata a vivere e di gente considerata
morta che è stata sottoposta al prelievo di organi e, anche potendo,
non ha più avuto la possibilità di tornare a vivere.
La scienza medica moderna è quella cosa in base
alla quale un uomo che non può più vivere secondo i canoni
della televisione, se non è morto è come se lo fosse… così
che mettere per iscritto, su un pezzo di carta, che la sua non è
una vita degna di essere vissuta equivale a sostenere che è come
morto… anzi… è proprio morto.
Che ci campa a fare?
Ed ecco i protocolli, i piagnistei dei difensori della
dignità umana, le strizze di fegato per il dolore dei famigliari,
le leggi che sanciscono, bontà loro, che può essere considerato
morto… e del supposto cadavere, seppure ancora caldo e palpitante, si può
fare ciò che si vuole… ovviamente per il bene del morto e per il
bene di tanti altri, compresi i malati che attingeranno ai suoi organi
e quei medici che potranno assicurarsi che la loro fabbrichetta non chiuderà
mai.
Quando si fissò per convenzione che una persona
poteva essere squartata e sezionata a partire da certi risultati dall’analisi
elettronica dei suoi impulsi cerebrali, venne assicurato che la scienza
dava garanzie certe dello stato di morte. Sono appena passati pochi anni
e ultimamente veniamo a sapere che la stessa scienza oggi ha dei dubbi.
Abbiamo voglia a ricordare che già allora i dubbi
c’erano, ma chi li esprimeva era considerato un pazzo. Abbiamo voglia a
chiederci com’è stato possibile che tanti, Vaticano compreso, abbiano
potuto fidarsi di questa scienza. Quello che è certo è che
a migliaia sono stati squartati e sezionati… erano davvero morti?
Oggi lo sono indiscutibilmente.
È questa la scienza, è questa la scienza
che oggi ci ha assicurato che Eluana Englaro era come morta… era già
morta… quindi la si poteva benissimo ammazzare senza neanche il rischio
di incorrere nel reato di vilipendio di cadavere.
Già… perché i protocolli parlano chiaro…
e i protocolli sono basati sui dati scientifici… e la scienza è
la scienza. Appunto!
La questione giudiziaria
Tralasciamo di approfondire la questione giudiziaria,
poiché, con l’aria che tira, corriamo il rischio di incorrere in
qualche reato di lesa maestà, pur a nostra insaputa.
Ci limitiamo a considerare che è davvero diabolica
questa società moderna che avrebbe condannato il padre che non avesse
alimentato più la figlia, ma autorizza il padre che non vuole che
la figlia venga più alimentata, a non alimentarla più.
Come dire: se lo fai da solo, trent’anni non te li toglie
nessuno, se vuoi farlo, vieni da noi che ti diamo il permesso.
Una società impazzita, che condanna al carcere
e a multe salatissime chi fa ballare un orso sulle zampe posteriori, nell’inevitabile
assenza del consenso dell’orso, ma autorizza un padre alla soppressione
per inedia della figlia, anche senza il consenso della stessa.
Ma come vi permettete di sindacare su una questione così
delicata, quando ci sono in ballo i sentimenti della gente, il loro dolore,
il loro strazio!
Ci permettiamo… e come… perché quella sentenza
è stata emessa in nome del popolo italiano e, fino a prova contraria,
di questo famoso popolo italiano facciamo parte pure noi, tranne che non
si voglia sostenere che in questo caso si tratterebbe del popolo italiano,
sì, ma esclusi quelli come noi e compresi solo quelli che la pensano
diversamente da noi.
Diciamolo con altre parole: sentenza di morte in nome
del popolo italiano, che comprenderebbe tutti coloro che sono italiani,
tranne quelli come noi, che essendo cattolici non possono essere considerati
italiani a tutti gli effetti, proprio perché affetti da religiosite
acuta complicata da cattolicismo galoppante. Insomma… quasi pronti per
l’espianto di organi.
La strana figura
del padre
Se ora ci soffermiamo un momento sulla strana figura di
un padre che da 15 anni si batte con incredibile determinazione per far
sopprimere la figlia, siamo tentati di pensare subito al vecchio detto
che dice: Dio fa impazzire chi vuol perdere.
Ma scartiamo subito questo cattivo pensiero e consideriamo
che, in fondo, la cosa è del tutto normale… oggi.
È da anni che sentiamo dire che una madre ha tutto
il diritto di sopprimere il figlio che porta in grembo. È da anni
che il mondo è impegnato a convincere ogni uomo e ogni donna che
tale soppressione è una conquista di civiltà. È da
alcuni secoli che fin da piccoli ci insegnano che non c’è niente
al mondo per cui valga la pena vivere, se non la libertà e la libera
scelta.
Come meravigliarsi allora se questo padre, ripetendo
la lezioncina che ha imparato da bambino, ha fatto di tutto perché
la figlia fosse condotta a morte, dal momento che non poteva più
essere condotta in discoteca?
Forse che è vita questa, quando non puoi più
andare in ferie, non puoi più andare al cinema, non puoi più
giocare a tennis, non puoi più usare la play station, non puoi più
cambiare la macchina, non puoi più ritrovarti al bar dello sport
con gli amici?
Ditelo voi… è vita questa? Che razza di vita
è questa che non puoi più fare quello che ti pare?
E per un padre… che razza di vita è questa
che deve sempre pensare ad accudire la figlia paralizzata?
Allora… per intanto la porto dalle suore… tanto quelle
non hanno niente di meglio da fare e possono pensarci loro. Poi mi batto
fino alla morte per riuscire a farmi autorizzare a sopprimere questa povera
figlia disgraziata e infelice. Così finalmente potrà starsene
in pace, poveretta… e anche io.
Come meravigliarsi della ricerca disperata di una soluzione
finale che metta fine a tanta sofferenza del padre e a tanta infelicità
della figlia?
Sì è vero, al mondo vi sono migliaia e
migliaia di padri e di madri che hanno rinunciato ad una loro vita ordinaria
per dedicarsi interamente alla cura dei propri figli, soprattutto se malati…
sì… ma questi pensano di fare una cosa buona… loro.
Vi sono migliaia di padri e di madri che accudiscono
amorevolmente i loro figli menomati, i loro figli impossibilitati a fare
alcunché… sì… ma mica la pensiamo tutti allo stesso modo?
Forse che questo padre non è libero di pensarla
in modo diverso?
Forse che non siamo liberi… che dobbiamo sottostare alle
prepotenze dei preti?
È finito quel tempo… cari miei…
Ha da venì baffone… si diceva una volta… e
baffone ecco che è finalmente venuto: fate morire questa ragazza
sventurata, perché non ne posso più!
Che dire?
Che forse, passo dopo passo, arriveremo alla soppressione
dei figli menomati per non farli vivere in modo orribile? Che forse ci
arriveremo per esplicita corale richiesta dei padri? Che forse arriveremo
alla soppressione dei padri menomati per non farli vivere in modo orribile?
Che forse ci arriveremo per esplicita corale richiesta dei figli? Che forse
ci arriveremo quanto prima?
Esageriamo? Eh no!
Chi avrebbe mai potuto pensare, qualche anno fa, che
si poteva aprire il petto di un uomo, prendergli il cuore palpitante e
ricucirlo nel petto di qualcun altro?
Chiunque, qualche anno fa, avrebbe gridato all’abominio.
Non è oggi, questo abominio, divenuto un atto
meritorio e di grandissima bontà?
E chi avrebbe mai potuto pensare, anni fa, che le apparenti
innocue fantasie dell’inventrice del dott. Frankenstein, potessero un giorno
diventare realtà?
Fu scritto nel 1818 quel famoso libro di fantasia malata,
da allora 18 generazioni si sono abbeverate a questo veleno, con il formidabile
ausilio della stampa, del cinema, dei fumetti e della televisione. Si tratta
di un caso?
Si fa peccato a pensare che tutto questo corrisponda
ad un preciso piano per ammorbare le coscienze e invertire la polarità
dell’esistenza: dal Cielo al sottosuolo? Dal Paradiso all’Inferno?
Si fa peccato a pensare che in questo mondo moderno
al peggio non c’è e non ci sarà mai fine… tranne la fine
del mondo stesso?
Come
siamo arrivati a tutto questo?
Per ultimo, ci sembra opportuno fare la considerazione
più importante.
Come siamo arrivati a tutto questo?
In questo e in altri casi il punto di partenza di tutta
la questione è costituito dall’utilizzo della tecnologia. Se non
ci fosse la tecnologia moderna, col supporto e il concorso della medicina
moderna, i casi come questo non esisterebbero neanche. Essi sono la
conseguenza dell’uso indiscriminato e considerato esclusivamente meritorio
della tecnologia medica.
Non si può mettere in dubbio che, in certo modo,
medicina e tecnologia medica abbiano prodotto dei benefici per il benessere
materiale degli uomini, ma ci si dimentica sempre di ricordare che tali
benefici sono di natura meramente corporale e psicologica, anche perché
la
medicina e la tecnologia non conoscono e non riconoscono neanche l’esistenza
delle altre componenti dell’essere chiamato uomo. Su questa base, si
è prodotta una cultura della sopravvalutazione del corpo e della
psiche che ha visto anche certi papi tra i suoi sostenitori. Tutti gli
effetti negativi prodotti da questa cultura vengono sempre trascurati o
minimizzati.
Tra i tanti, l’effetto negativo più vistoso
è quello che porta a identificare tutto l’uomo con il suo corpo,
la sua psiche, la sua immaginazione, il suo pensiero personale; e questo
accade anche in àmbito cattolico, tanto da produrre le aberranti
adesioni della moderna pastorale cattolica ai cosiddetti principi di libertà,
uguaglianza e diritti umani.
L’esempio più tipico, in quest’ultimo caso, è
la sopravvalutazione, quasi l’assolutizzazione, di quel concetto indefinito
e indefinibile che oggi porta il nome di “dignità dell’uomo”.
Diventa indispensabile, quindi, chiedersi innanzi
tutto se è buono e giusto che un essere umano a cui accade di giungere
alla soglia della morte, per un accidenti qualsiasi, venga trattenuto su
questa soglia, venga tenuto in vita artificialmente, o se non sia più
buono e giusto lasciare che il processo naturale lo porti all’inevitabile
morte.
Ed ecco il primo punto controverso.
Si sa che vi sono tanti casi di persone che, tenute in
vita con artifici diversi, finiscono col riaversi da uno stato di totale
passività, per riprendere uno stato di attività. Non entriamo
nel merito delle differenze di tale stato di attività, poiché
è già sufficiente che questo stato si produca: il fatto che
si produce è già di per sé positivo.
Come non ringraziare allora la tecnologia e la medicina
moderne?
Come non condannare tutti i tentativi che vogliono escludere
a priori la realizzazione di questa possibilità?
Eppure, in questo atteggiamento vi è una sopravvalutazione
della vita per la vita, una sopravvalutazione del corpo, una sopravvalutazione
dell’esistenza terrena, tanto da giungere a dare un valore quasi assoluto
alla sopravvivenza in questo mondo.
Il destino dell’uomo è di morire, per riprendere
a vivere, questa volta veramente e pienamente, nel mondo che verrà.
Il mero sopravvivere o il prolungamento della persistenza nella vita terrena,
sono un fatto accessorio, accidentale, contingente e, a fronte della vera
vita nel mondo che verrà, un fatto quasi insignificante.
Le guarigioni narrate nel Vangelo non sono fine a sé
stesse, ma sono funzionali alla conversione, alla salvezza e alla vita
eterna. Diversamente si scadrebbe nella blasfemia di considerare che Nostro
Signore sia venuto per salvare i corpi e non le anime, sia venuto per salvare
ciò che è destinato a perire e non ciò che ha un destino
eterno.
Ogni cattolico sa che le cose stanno così e quindi
non può permettersi il lusso di sbagliare assolutizzando il valore
della vita terrena. Questo accade quando si finisce col sospendere
ogni giudizio critico sull’uso della tecnologia e della medicina moderne.
Queste considerazioni, però, sarebbero riduttive
se non si allargasse l’angolo di visuale e non le si facesse rientrare
nell’alveo più ampio del giusto rapporto tra fede e scienza. È
l’impostazione più o meno corretta di questo rapporto che produce
le giuste o scorrette attenzioni nei confronti della tecnologia medica.
Rapporto tra
scienza e fede
La prima cosa che occorre chiarire è che ogni attività
umana, fino alla più sublime, non porta la giustificazione in sé
stessa, ma acquista il suo vero valore se si fonda sulla causa prima di
ogni elemento dell’esistenza e si fa strumento del fine stesso dell’esistenza:
causa e fine che possono essere discussi come si vuole, ma che hanno un
unico nome: Dio. Fuori da questo elementare riferimento, l’attività
umana è velleità e illusione. Inutile citare decine di
passi del Vangelo, basta solo averne sentito parlare.
In questa ottica, ogni scienza che prescinda da questo
riferimento è essa stessa velleitaria e illusoria, fino a diventare
suggestione e inganno, strumento della perdizione dell’uomo in cielo e
della devastazione dell’uomo in terra.
Quello che accade oggi è proprio questo.
Impera una scienza che si pretende essere legge a sé
stessa, invocando a giustificazione la indimostrabile capacità dell’uomo
ad autoregolarsi. Di fatto si verifica che, non potendo l’uomo, di per
sé, dominare alcunché della scienza, è la scienza
a dominare l’uomo e a portarlo sempre più fuori da sé stesso.
Ciò posto, non può esistere alcun serio
rapporto tra scienza e fede se non fondato sulla subordinazione della prima
alla seconda. Diversamente si giunge o ad una sorta di parità
tra le due, che è cosa assurda per definizione, o alla preminenza
della scienza sulla fede, che è come dire che non sarebbe la fede
a dover regolare la vita dell’uomo, ma quest’ultima a regolare la fede:
che non sarebbe Dio la causa e il fine dell’uomo, ma l’uomo la causa e
il fine di Dio.
Intendiamoci, non è che questo non sia possibile:
è quello che accade da almeno quattro secoli e che si va accentuando
sempre di più, ma questa constatazione non può che confermare
quanto dicevamo prima. Si tratta di suggestione e inganno finalizzati alla
perdizione e alla devastazione dell’uomo.
A questo punto sorge un possibile interrogativo, per la
verità, molto articolato.
Com’è che Dio permette tutto questo? Se tante
cose esistono non è perché Dio stesso lo vuole? E se Dio
non può volere che il bene, non è giocoforza ammettere che
ciò che esiste, come la scienza, è inevitabilmente un bene?
Si potrebbe rispondere subito che Dio permette tutto
questo nel contesto del suo disegno che, essendo imperscrutabile per l’uomo,
comprende tantissimi elementi incomprensibili per l’uomo e perfino da lui
percepiti come contraddittori.
Ma è ancor meglio ricordare che, se è
vero che al mondo non si muove foglia che Dio non voglia, è anche
vero che ogni foglia che si muove, per imprescindibile volontà divina,
non per questo è un bene di per sé.
Dalla Genesi in poi questo concetto è ripetutamente
ribadito nella Scrittura, e basta leggere il libro di Giobbe, per esempio,
per rendersi conto che perfino il demonio agisce col permesso di Dio:
non per questo il demonio è un bene. D’altronde, sarebbe impensabile
che il demonio agisca senza il permesso di Dio, se così non fosse
vi sarebbero due dei: Dio e il Demonio. Il che, prima che assurdo, è
ridicolo e intimamente contraddittorio.
In effetti, tutto esiste col permesso di Dio, ma non
tutto ciò che esiste è un bene per l’uomo, tranne che non
venga finalizzato al suo bene, come è possibile fare nella malattia,
nel dolore, nella disgrazia, nello stesso male. Il male non è
un male di per sé, tant’è che si trasforma in mezzo idoneo
per fuggirlo e volgersi al bene.
La scienza in sé non è un male, ma lo
diventa se la si sgancia dalla subordinazione al fine ultimo dell’uomo,
da aiuto allora diventa mezzo di perdizione; perdizione che incomincia
a prodursi già in terra provocando la sopravvalutazione di sé
stessa e dei suoi effetti, la sopravvalutazione della vita terrena, la
sopravvalutazione della salute terrena, fino all’assolutizzazione del benessere
dell’uomo fine a sé stesso.
È quello che accade oggi.
Così che è impossibile parlare accettabilmente
di scienza se si prescinde dal fatto che essa, a priori, debba sottostare
alla fede e alle leggi di Dio. Ogni scienza siffatta è una mera
presunzione, una scemenza.
Nessuna pastorale della Chiesa di Dio dovrebbe prescindere
da questa constatazione, poiché la mediazione tra scienza e fede,
si traduce in una mediazione tra la verità e l’inganno, da cui può
solo derivare il male dell’uomo.
Gli effetti pratici
Per tornare all’aspetto pratico. L’uso della tecnologia
medica e della medicina non può prescindere dalla fissazione di
limiti invalicabili, limiti che si pongono quasi da soli ove si tenga conto
essenzialmente del vero scopo della vita terrena: la vita del mondo che
verrà.
Questo significa che nessun cattolico dovrebbe accettare
il progresso della scienza e l’uso che ne deriva, senza prima chiedersi
se tale progresso sia un bene o un male per l’uomo in vista del suo scopo
ultimo e sulla base della sua causa prima: Dio. Nessuno dovrebbe accettare
alcunché del progresso della scienza e dell’uso dei suoi prodotti,
se non sulla base dei frutti che si produrranno; ed oggi, i frutti che
si sono prodotti in questi ultimi due secoli sono sotto gli occhi di tutti.
Un crescendo di morte e distruzione: dalle guerre al consumismo sfrenato,
dalle droghe alle famiglie distrutte, dall’aborto all’eutanasia, dall’infantilismo
degli anziani al giovanilismo a tutti i costi.
Nessuno si inganni sulla base di ritornelli infondati:
come l’etica professionale. L’etica che sola abbia un senso è l’etica
religiosa, che, per definizione, si pone a priori prima e al di sopra di
tutte le altre possibili etiche di parte. È essa che fonda le
possibili etiche professionali, diversamente non c’è alcuna etica,
se non quella derivante dalla pratica quotidiana vigente in un mondo che
non conosce più Dio e non vuole neanche sentirne parlare: la cosiddetta
etica laica .
Un esempio di questa impossibile autoregolamentazione
etica ci viene proprio da quello che sta accadendo in seguito al caso da
cui siamo partiti.
Da più parti si è gridato allo scandalo,
perché quello di Eluana Englaro è stato un vero e proprio
caso di eutanasia.
Cosa si farà per far sì che questo non
accada più?
Si approverà una legge che, tenendo conto dell’etica
o delle etiche, renderà legittima l’eutanasia, cioè la soppressione
della vita a piacimento, sia pure a piacimento dell’interessato. Si useranno
mille sofismi, si richiamerà l’esigenza di una regolamentazione,
si interpelleranno mille scienziati… e alla fine si deciderà che
ognuno è libero di scegliere di morire quando vuole, basta che lo
metta per iscritto in tempo.
Questa è autanasia, cioè dolce morte voluta
dal soggetto per sé stesso e da sé stesso. E tant’è
vero che si tratta di eutanasia, di dolce morte, che si sancirà
che tale passaggio voluto dalla vita alla morte non potrà avvenire,
per esempio, per fame e per sete. E la scienza conosce mille modi indolori
per sopprimere una vita senza sofferenza avvertita per il moribondo.
Ci verranno a dire che questo è il miglior compromesso
possibile, perché vi sono delle forze che vorrebbero ben altro.
È vero, è un compromesso, forse il migliore
possibile, ma pur sempre un compromesso aberrante, finalizzato alla soppressione
della vita per volontà umana.
E non illudiamoci, oggi è questo il miglior compromesso
possibile, domani accadrà che si faranno ben altri passi avanti
lungo questa via lastricata di zolfo, mettendo sempre avanti la scusa del
miglior compromesso possibile.
È quello che è accaduto in questi ultimi
secoli.
Conclusione
Per concludere ci sembra doveroso fare una puntualizzazione.
Dal momento che la tecnologia medica permette che si
possa trasporre per un certo tempo il momento della morte, è quasi
impossibile chiedere ai soggetti e ai loro famigliari che la stessa tecnologia
non venga usata. Gli stessi medici, convinti di agire per il meglio, non
possono esimersi dall’usare ogni mezzo che trasponga l’evento ineluttabile
della morte.
Tutto questo ha una sua logica interna difficile da contrastare,
soprattutto se si tiene conto del convincimento diffuso che si tratti del
prodotto di una meritoria conquista umana. Il procedere dei tempi ci offre
questa possibilità pratica, quasi impossibile rifiutarla.
Ciò posto, è fin troppo semplice comprendere
che quando si accetta una possibilità come questa, al pari di ogni
altra, non può che accettarsi nella sua integralità, comprese
per primo le conseguenze che ne derivano.
La trasposizione del momento della morte comporta
molte volte conseguenze pesanti che vanno dalla menomazione semplice alla
paralisi più o meno estesa. Una volta accettato l’uso della tecnica
che traspone il momento della morte, è inevitabile accettare le
sue conseguenze. Da quel momento in poi la persona che rimane offesa
per le menomazioni è una persona che ha gli stessi diritti di un’altra
persona normale; e questi diritti fanno il paio con i doveri.
Questo ragionamento vale sia per i diretti interessati,
sia per i loro famigliari, e vale per entrambi sia che l’interessato abbia
la facoltà di decidere e di intervenire, sia che l’interessato non
ce l’abbia più in modo manifesto.
È inconcepibile che si accetti l’uso della
tecnologia moderna e, in un secondo momento se ne rifiutino le conseguenze
quando queste non ci piacciono.
Se ci è sembrato corretto permettere che si trasponga
il momento della morte, dobbiamo accettare coerentemente tutte le conseguenze
che ne derivano, tanto più che esse, per grandi linee, ci sono ben
note, anche per esperienza indiretta dei tanti casi esistenti.
Diventa aberrante il ragionamento di coloro che, dopo
aver beneficiato della possibilità di trasporre il momento della
morte, si rifiutano di proseguire a vivere con le menomazioni, inevitabili,
che ne sono derivate.
È il classico caso della botte piena e della moglie
ubriaca.
A niente valgono i sofismi a posteriori circa il valore
di una continuazione della vita in condizioni disagiate. Questi rientrano
solo in quella logica tutta moderna che pretende che la vita dev’essere
come dico io, oppure non è vita degna di essere vissuta.
Pura follia. Frutto dello stato comatoso in cui oggi
si trova il mondo moderno.
febbraio 2009
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