Il caso di Eluana Englaro

Qualche riflessione

di Belvecchio


Requiem aeternam dona ei Domine, et lux perpetua luceat ei, requiescat in pace. Amen.




Siamo padroni della nostra vita e della nostra morte
I diritti umani
Medicina e tecnologia moderne
La questione giudiziaria
La strana figura del padre
Come siamo arrivati a tutto questo?
Rapporto tra scienza e fede
Gli effetti pratici
Conclusione


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Com’era inevitabile, l’esplosione dell’interesse mediatico per il caso del destino terreno della povera Eluana Englaro ha prodotto una valanga di informazioni e precisazioni, con la prevedibile conseguenza del sollevamento di un accecante polverone che ha impedito di vedere e di capire. Il chiasso è stato tale che non si è sentito veramente più niente di seriamente udibile e comprensibile. 
Nulla di nuovo, peraltro: è questo l’inevitabile prodotto della moderna concezione dell’informazione, connotata dal bisogno di “fare colpo” e dalla spregiudicatezza per ottenere l’effetto. Senza contare che in tutto questo incide parecchio l’inconfessabile “interesse di bottega”, perennemente gabellato per “libertà di opinione”.
L’attento uso delle sollecitazioni emotive, poi, ha condotto perfino al risultato incredibile dei cosiddetti sondaggi, secondo alcuni dei quali gli Italiani, che sarebbero contrari alla pena di morte, e si fanno venire il batticuore per una pedata data ad un cane randagio ringhiante, si sarebbero convinti della bontà di far morire di fame e di sete una ragazza che da 17 anni non è in grado di dire la sua… su sé stessa.
Per amore dell’amore non c’era cosa migliore da fare che provocare la morte per inedia di una ragazza che ha avuto la sventura di cadere in balia della prosopopea del padre, delle inestricabili maglie dell’apparato giudiziario moderno, delle mire di certa classe medica che si sente sempre più onnipotente e degli scopi perfino confessati di tanti nostri contemporanei che sono convinti di essere i padroni della loro vita e della loro morte.

Siamo padroni della nostra vita e della nostra morte

Facciamo allora qualche riflessione, e partiamo proprio da quest’ultimo aspetto.
Ognuno dev’essere libero di poter decidere della propria vita e della propria morte.
Questo l’assunto incredibile, ma fascinoso e suggestivo, che è stato sbandierato in questa come in tante altre occasioni.
Peccato che si tratti di un assunto chiaramente arbitrario e palesemente ingannevole, poiché nessuno al mondo potrebbe sostenere che ognuno di noi sia il padrone di sé stesso. 
Perché uno sia libero di darsi la morte è indispensabile che, quanto meno, sia stato libero di darsi la vita. Il che è semplicemente assurdo.
Come potrebbe uno darsi la vita se non esiste neanche?
Eppure, sulla base di questa assurdità, c’è un mondo intero che legifera sulla supposta libertà di scelta dell’individuo.
La vita non ci viene data neanche dai genitori, i quali si limitano solo a concorrere al processo di mantenimento del genere umano. La vita ci viene data da Dio, anche se questo dispiace a molti nostri contemporanei… ma è un fatto. Un fatto che non si può aggirare nemmeno con la cosiddetta procreazione artificiale, poiché l’onnipotenza della scienza potrà pure conficcare uno spermatozoo in un ovulo, ma non può animare la cellula che ne deriva. E neanche si può parlare di automatismo, poiché un gran numero di ovuli fecondati non ci pensano neanche a trasformarsi in essere viventi… questo lo fa solo Dio. 
Se nessuno si dà la vita è ovvio che nessuno può darsi la morte.
L’unica differenza è tecnica, poiché in realtà ogni individuo vivo può decidere di procurarsi la morte, ma in questo caso non esercita una prerogativa che gli è propria in quanto uomo, ma una possibilità che è praticabile non appena perde ogni cognizione di sé, non appena, dimentico di sé, fa violenza a sé stesso, attuando la più aberrante e la più abnorme delle possibili violenze umane.
Figuriamoci poi dare la morte agli altri o decidere sulla morte di altri.
Da che mondo è mondo, in tutti i tempi, in tutte le latitudini, in tutti i contesti umani, è stato sempre condannato sia l’omicidio, sia il suicidio.
E qui non parliamo dei diritti di Dio, perché pare che ultimamente parlare di Dio faccia correre il rischio di essere sottoposti a procedimento giudiziario per lesa maestà umana.
Qui ci limitiamo a fare un ragionamento basato solo sul buonsenso.
Solo un dissociato mentale può pensare di poter affermare coerentemente di essere padrone di morire come vuole, quando non sa neanche com’è venuto al mondo.

(su)
I diritti umani

C’è poi il problema, sollevato da tanti, dei supposti diritti umani.
E qui le cose si complicano, poiché bisognerebbe innanzi tutto usare le parole secondo il loro vero significato.
Uno dei diritti umani principali sarebbe il diritto alla vita. 
Come dire che uno dei diritti dell’uomo è quello di nascere: uno dei diritti di un essere che non è un uomo è quello di essere un uomo.
Sembra paradossale, ma è logico che parlare di diritto alla vita, equivale a sostenere che uno la vita non ce l’ha, e se uno la vita non ce l’ha non è neanche un uomo, quindi non può vantare il diritto alla vita come uomo, semmai si potrà parlare di diritto alla vita per un uomo potenziale, come è il caso degli embrioni.
L’uomo, che la vita già ce l’ha, può solo parlare di diritto a sopravvivere, a non essere soppresso.
Questo per dire che il diritto alla vita non è uno dei diritti dell’uomo, semplicemente perché, come tale, è una impossibilità. L’uomo sulla vita non ha alcun potere e, a maggior ragione, non può avere alcun potere sulla morte, né sulla sua, né su quella di altri.
E così torniamo a quello che dicevamo prima, con l’ulteriore conferma che la vita non ci viene da noi stessi, né da altri uomini, ma ci viene da Dio, con l’inevitabile corollario che solo Dio decide della nostra morte, come solo Lui decide della nostra vita.

(su)
Medicina e tecnologia moderne

Se passiamo poi all’aspetto relativo alla medicina moderna, con la contigua problematica della tecnologia moderna ad essa applicata, vediamo subito che sorge un primo inquietante interrogativo: come fa ad affermare la scienza medica che una persona è moribonda o morta? Come fa ad affermarlo, volendo prescindere dalla semplice constatazione dello stato cadaverico, se non sulla base di una qualche convenzione che essa stessa si è data? E come fa ad affermarlo sulla base di una convenzione che essa stessa si è data, oggi, e che domani certamente cambierà?
Un altro paradosso: poiché si capisce che uno che è vivo oggi, in base a protocolli e regole scientifiche, domani potrebbe essere considerato morto e sepolto in base ad altri protocolli e ad altre regole scientifiche; ed uno che allo stesso modo oggi viene considerato morto, domani potrebbe essere considerato invece vivo… salvo la quisquilia che in questo caso è già bell’e sepolto.
Esasperazione?
No, semplice lettura dei fatti.
Vi è un numero incredibile di casi di gente considerata morta che è tornata a vivere e di gente considerata morta che è stata sottoposta al prelievo di organi e, anche potendo, non ha più avuto la possibilità di tornare a vivere.
La scienza medica moderna è quella cosa in base alla quale un uomo che non può più vivere secondo i canoni della televisione, se non è morto è come se lo fosse… così che mettere per iscritto, su un pezzo di carta, che la sua non è una vita degna di essere vissuta equivale a sostenere che è come morto… anzi… è proprio morto. 
Che ci campa a fare?
Ed ecco i protocolli, i piagnistei dei difensori della dignità umana, le strizze di fegato per il dolore dei famigliari, le leggi che sanciscono, bontà loro, che può essere considerato morto… e del supposto cadavere, seppure ancora caldo e palpitante, si può fare ciò che si vuole… ovviamente per il bene del morto e per il bene di tanti altri, compresi i malati che attingeranno ai suoi organi e quei medici che potranno assicurarsi che la loro fabbrichetta non chiuderà mai.
Quando si fissò per convenzione che una persona poteva essere squartata e sezionata a partire da certi risultati dall’analisi elettronica dei suoi impulsi cerebrali, venne assicurato che la scienza dava garanzie certe dello stato di morte. Sono appena passati pochi anni e ultimamente veniamo a sapere che la stessa scienza oggi ha dei dubbi.
Abbiamo voglia a ricordare che già allora i dubbi c’erano, ma chi li esprimeva era considerato un pazzo. Abbiamo voglia a chiederci com’è stato possibile che tanti, Vaticano compreso, abbiano potuto fidarsi di questa scienza. Quello che è certo è che a migliaia sono stati squartati e sezionati… erano davvero morti?
Oggi lo sono indiscutibilmente.
È questa la scienza, è questa la scienza che oggi ci ha assicurato che Eluana Englaro era come morta… era già morta… quindi la si poteva benissimo ammazzare senza neanche il rischio di incorrere nel reato di vilipendio di cadavere.
Già… perché i protocolli parlano chiaro… e i protocolli sono basati sui dati scientifici… e la scienza è la scienza. Appunto!

(su)
La questione giudiziaria

Tralasciamo di approfondire la questione giudiziaria, poiché, con l’aria che tira, corriamo il rischio di incorrere in qualche reato di lesa maestà, pur a nostra insaputa.
Ci limitiamo a considerare che è davvero diabolica questa società moderna che avrebbe condannato il padre che non avesse alimentato più la figlia, ma autorizza il padre che non vuole che la figlia venga più alimentata, a non alimentarla più. 
Come dire: se lo fai da solo, trent’anni non te li toglie nessuno, se vuoi farlo, vieni da noi che ti diamo il permesso.
Una società impazzita, che condanna al carcere e a multe salatissime chi fa ballare un orso sulle zampe posteriori, nell’inevitabile assenza del consenso dell’orso, ma autorizza un padre alla soppressione per inedia della figlia, anche senza il consenso della stessa.

Ma come vi permettete di sindacare su una questione così delicata, quando ci sono in ballo i sentimenti della gente, il loro dolore, il loro strazio!
Ci permettiamo… e come… perché quella sentenza è stata emessa in nome del popolo italiano e, fino a prova contraria, di questo famoso popolo italiano facciamo parte pure noi, tranne che non si voglia sostenere che in questo caso si tratterebbe del popolo italiano, sì, ma esclusi quelli come noi e compresi solo quelli che la pensano diversamente da noi.
Diciamolo con altre parole: sentenza di morte in nome del popolo italiano, che comprenderebbe tutti coloro che sono italiani, tranne quelli come noi, che essendo cattolici non possono essere considerati italiani a tutti gli effetti, proprio perché affetti da religiosite acuta complicata da cattolicismo galoppante. Insomma… quasi pronti per l’espianto di organi.

(su)
La strana figura del padre

Se ora ci soffermiamo un momento sulla strana figura di un padre che da 15 anni si batte con incredibile determinazione per far sopprimere la figlia, siamo tentati di pensare subito al vecchio detto che dice: Dio fa impazzire chi vuol perdere.
Ma scartiamo subito questo cattivo pensiero e consideriamo che, in fondo, la cosa è del tutto normale… oggi.
È da anni che sentiamo dire che una madre ha tutto il diritto di sopprimere il figlio che porta in grembo. È da anni che il mondo è impegnato a convincere ogni uomo e ogni donna che tale soppressione è una conquista di civiltà. È da alcuni secoli che fin da piccoli ci insegnano che non c’è niente al mondo per cui valga la pena vivere, se non la libertà e la libera scelta.
Come meravigliarsi allora se questo padre, ripetendo la lezioncina che ha imparato da bambino, ha fatto di tutto perché la figlia fosse condotta a morte, dal momento che non poteva più essere condotta in discoteca?

Forse che è vita questa, quando non puoi più andare in ferie, non puoi più andare al cinema, non puoi più giocare a tennis, non puoi più usare la play station, non puoi più cambiare la macchina, non puoi più ritrovarti al bar dello sport con gli amici?
Ditelo voi… è vita questa? Che razza di vita è questa che non puoi più fare quello che ti pare?
E per un padre… che razza di vita è questa che deve sempre pensare ad accudire la figlia paralizzata?

Allora… per intanto la porto dalle suore… tanto quelle non hanno niente di meglio da fare e possono pensarci loro. Poi mi batto fino alla morte per riuscire a farmi autorizzare a sopprimere questa povera figlia disgraziata e infelice. Così finalmente potrà starsene in pace, poveretta… e anche io.
Come meravigliarsi della ricerca disperata di una soluzione finale che metta fine a tanta sofferenza del padre e a tanta infelicità della figlia?
Sì è vero, al mondo vi sono migliaia e migliaia di padri e di madri che hanno rinunciato ad una loro vita ordinaria per dedicarsi interamente alla cura dei propri figli, soprattutto se malati… sì… ma questi pensano di fare una cosa buona… loro.
Vi sono migliaia di padri e di madri che accudiscono amorevolmente i loro figli menomati, i loro figli impossibilitati a fare alcunché… sì… ma mica la pensiamo tutti allo stesso modo?
Forse che questo padre non è libero di pensarla in modo diverso?
Forse che non siamo liberi… che dobbiamo sottostare alle prepotenze dei preti?
È finito quel tempo… cari miei…
Ha da venì baffone… si diceva una volta… e baffone ecco che è finalmente venuto: fate morire questa ragazza sventurata, perché non ne posso più!

Che dire? 
Che forse, passo dopo passo, arriveremo alla soppressione dei figli menomati per non farli vivere in modo orribile? Che forse ci arriveremo per esplicita corale richiesta dei padri? Che forse arriveremo alla soppressione dei padri menomati per non farli vivere in modo orribile? Che forse ci arriveremo per esplicita corale richiesta dei figli? Che forse ci arriveremo quanto prima?
Esageriamo? Eh no! 
Chi avrebbe mai potuto pensare, qualche anno fa, che si poteva aprire il petto di un uomo, prendergli il cuore palpitante e ricucirlo nel petto di qualcun altro? 
Chiunque, qualche anno fa, avrebbe gridato all’abominio.
Non è oggi, questo abominio, divenuto un atto meritorio e di grandissima bontà?
E chi avrebbe mai potuto pensare, anni fa, che le apparenti innocue fantasie dell’inventrice del dott. Frankenstein, potessero un giorno diventare realtà?
Fu scritto nel 1818 quel famoso libro di fantasia malata, da allora 18 generazioni si sono abbeverate a questo veleno, con il formidabile ausilio della stampa, del cinema, dei fumetti e della televisione. Si tratta di un caso?
Si fa peccato a pensare che tutto questo corrisponda ad un preciso piano per ammorbare le coscienze e invertire la polarità dell’esistenza: dal Cielo al sottosuolo? Dal Paradiso all’Inferno?
Si fa peccato a pensare che in questo mondo moderno al peggio non c’è e non ci sarà mai fine… tranne la fine del mondo stesso? 

(su)
Come siamo arrivati a tutto questo?

Per ultimo, ci sembra opportuno fare la considerazione più importante.
Come siamo arrivati a tutto questo?
In questo e in altri casi il punto di partenza di tutta la questione è costituito dall’utilizzo della tecnologia. Se non ci fosse la tecnologia moderna, col supporto e il concorso della medicina moderna, i casi come questo non esisterebbero neanche. Essi sono la conseguenza dell’uso indiscriminato e considerato esclusivamente meritorio della tecnologia medica.
Non si può mettere in dubbio che, in certo modo, medicina e tecnologia medica abbiano prodotto dei benefici per il benessere materiale degli uomini, ma ci si dimentica sempre di ricordare che tali benefici sono di natura meramente corporale e psicologica, anche perché la medicina e la tecnologia non conoscono e non riconoscono neanche l’esistenza delle altre componenti dell’essere chiamato uomo. Su questa base, si è prodotta una cultura della sopravvalutazione del corpo e della psiche che ha visto anche certi papi tra i suoi sostenitori. Tutti gli effetti negativi prodotti da questa cultura vengono sempre trascurati o minimizzati.
Tra i tanti, l’effetto negativo più vistoso è quello che porta a identificare tutto l’uomo con il suo corpo, la sua psiche, la sua immaginazione, il suo pensiero personale; e questo accade anche in àmbito cattolico, tanto da produrre le aberranti adesioni della moderna pastorale cattolica ai cosiddetti principi di libertà, uguaglianza e diritti umani.
L’esempio più tipico, in quest’ultimo caso, è la sopravvalutazione, quasi l’assolutizzazione, di quel concetto indefinito e indefinibile che oggi porta il nome di “dignità dell’uomo”.
Diventa indispensabile, quindi, chiedersi innanzi tutto se è buono e giusto che un essere umano a cui accade di giungere alla soglia della morte, per un accidenti qualsiasi, venga trattenuto su questa soglia, venga tenuto in vita artificialmente, o se non sia più buono e giusto lasciare che il processo naturale lo porti all’inevitabile morte.

Ed ecco il primo punto controverso.
Si sa che vi sono tanti casi di persone che, tenute in vita con artifici diversi, finiscono col riaversi da uno stato di totale passività, per riprendere uno stato di attività. Non entriamo nel merito delle differenze di tale stato di attività, poiché è già sufficiente che questo stato si produca: il fatto che si produce è già di per sé positivo.
Come non ringraziare allora la tecnologia e la medicina moderne? 
Come non condannare tutti i tentativi che vogliono escludere a priori la realizzazione di questa possibilità?
Eppure, in questo atteggiamento vi è una sopravvalutazione della vita per la vita, una sopravvalutazione del corpo, una sopravvalutazione dell’esistenza terrena, tanto da giungere a dare un valore quasi assoluto alla sopravvivenza in questo mondo. 
Il destino dell’uomo è di morire, per riprendere a vivere, questa volta veramente e pienamente, nel mondo che verrà. Il mero sopravvivere o il prolungamento della persistenza nella vita terrena, sono un fatto accessorio, accidentale, contingente e, a fronte della vera vita nel mondo che verrà, un fatto quasi insignificante.
Le guarigioni narrate nel Vangelo non sono fine a sé stesse, ma sono funzionali alla conversione, alla salvezza e alla vita eterna. Diversamente si scadrebbe nella blasfemia di considerare che Nostro Signore sia venuto per salvare i corpi e non le anime, sia venuto per salvare ciò che è destinato a perire e non ciò che ha un destino eterno.
Ogni cattolico sa che le cose stanno così e quindi non può permettersi il lusso di sbagliare assolutizzando il valore della vita terrena.  Questo accade quando si finisce col sospendere ogni giudizio critico sull’uso della tecnologia e della medicina moderne.
Queste considerazioni, però, sarebbero riduttive se non si allargasse l’angolo di visuale e non le si facesse rientrare nell’alveo più ampio del giusto rapporto tra fede e scienza. È l’impostazione più o meno corretta di questo rapporto che produce le giuste o scorrette attenzioni nei confronti della tecnologia medica.

(su)
Rapporto tra scienza e fede

La prima cosa che occorre chiarire è che ogni attività umana, fino alla più sublime, non porta la giustificazione in sé stessa, ma acquista il suo vero valore se si fonda sulla causa prima di ogni elemento dell’esistenza e si fa strumento del fine stesso dell’esistenza: causa e fine che possono essere discussi come si vuole, ma che hanno un unico nome: Dio. Fuori da questo elementare riferimento, l’attività umana è velleità e illusione. Inutile citare decine di passi del Vangelo, basta solo averne sentito parlare.
In questa ottica, ogni scienza che prescinda da questo riferimento è essa stessa velleitaria e illusoria, fino a diventare suggestione e inganno, strumento della perdizione dell’uomo in cielo e della devastazione dell’uomo in terra.
Quello che accade oggi è proprio questo. 
Impera una scienza che si pretende essere legge a sé stessa, invocando a giustificazione la indimostrabile capacità dell’uomo ad autoregolarsi. Di fatto si verifica che, non potendo l’uomo, di per sé, dominare alcunché della scienza, è la scienza a dominare l’uomo e a portarlo sempre più fuori da sé stesso.

Ciò posto, non può esistere alcun serio rapporto tra scienza e fede se non fondato sulla subordinazione della prima alla seconda. Diversamente si giunge o ad una sorta di parità tra le due, che è cosa assurda per definizione, o alla preminenza della scienza sulla fede, che è come dire che non sarebbe la fede a dover regolare la vita dell’uomo, ma quest’ultima a regolare la fede: che non sarebbe Dio la causa e il fine dell’uomo, ma l’uomo la causa e il fine di Dio.
Intendiamoci, non è che questo non sia possibile: è quello che accade da almeno quattro secoli e che si va accentuando sempre di più, ma questa constatazione non può che confermare quanto dicevamo prima. Si tratta di suggestione e inganno finalizzati alla perdizione e alla devastazione dell’uomo.

A questo punto sorge un possibile interrogativo, per la verità, molto articolato.
Com’è che Dio permette tutto questo? Se tante cose esistono non è perché Dio stesso lo vuole? E se Dio non può volere che il bene, non è giocoforza ammettere che ciò che esiste, come la scienza, è inevitabilmente un bene?
Si potrebbe rispondere subito che Dio permette tutto questo nel contesto del suo disegno che, essendo imperscrutabile per l’uomo, comprende tantissimi elementi incomprensibili per l’uomo e perfino da lui percepiti come contraddittori. 
Ma è ancor meglio ricordare che, se è vero che al mondo non si muove foglia che Dio non voglia, è anche vero che ogni foglia che si muove, per imprescindibile volontà divina, non per questo è un bene di per sé.
Dalla Genesi in poi questo concetto è ripetutamente ribadito nella Scrittura, e basta leggere il libro di Giobbe, per esempio, per rendersi conto che perfino il demonio agisce col permesso di Dio: non per questo il demonio è un bene. D’altronde, sarebbe impensabile che il demonio agisca senza il permesso di Dio, se così non fosse vi sarebbero due dei: Dio e il Demonio. Il che, prima che assurdo, è ridicolo e intimamente contraddittorio.
In effetti, tutto esiste col permesso di Dio, ma non tutto ciò che esiste è un bene per l’uomo, tranne che non venga finalizzato al suo bene, come è possibile fare nella malattia, nel dolore, nella disgrazia, nello stesso male. Il male non è un male di per sé, tant’è che si trasforma in mezzo idoneo per fuggirlo e volgersi al bene.
La scienza in sé non è un male, ma lo diventa se la si sgancia dalla subordinazione al fine ultimo dell’uomo, da aiuto allora diventa mezzo di perdizione; perdizione che incomincia a prodursi già in terra provocando la sopravvalutazione di sé stessa e dei suoi effetti, la sopravvalutazione della vita terrena, la sopravvalutazione della salute terrena, fino all’assolutizzazione del benessere dell’uomo fine a sé stesso.
È quello che accade oggi.
Così che è impossibile parlare accettabilmente di scienza se si prescinde dal fatto che essa, a priori, debba sottostare alla fede e alle leggi di Dio. Ogni scienza siffatta è una mera presunzione, una scemenza.
Nessuna pastorale della Chiesa di Dio dovrebbe prescindere da questa constatazione, poiché la mediazione tra scienza e fede, si traduce in una mediazione tra la verità e l’inganno, da cui può solo derivare il male dell’uomo.

(su)
Gli effetti pratici

Per tornare all’aspetto pratico. L’uso della tecnologia medica e della medicina non può prescindere dalla fissazione di limiti invalicabili, limiti che si pongono quasi da soli ove si tenga conto essenzialmente del vero scopo della vita terrena: la vita del mondo che verrà.
Questo significa che nessun cattolico dovrebbe accettare il progresso della scienza e l’uso che ne deriva, senza prima chiedersi se tale progresso sia un bene o un male per l’uomo in vista del suo scopo ultimo e sulla base della sua causa prima: Dio. Nessuno dovrebbe accettare alcunché del progresso della scienza e dell’uso dei suoi prodotti, se non sulla base dei frutti che si produrranno; ed oggi, i frutti che si sono prodotti in questi ultimi due secoli sono sotto gli occhi di tutti. Un crescendo di morte e distruzione: dalle guerre al consumismo sfrenato, dalle droghe alle famiglie distrutte, dall’aborto all’eutanasia, dall’infantilismo degli anziani al giovanilismo a tutti i costi.
Nessuno si inganni sulla base di ritornelli infondati: come l’etica professionale. L’etica che sola abbia un senso è l’etica religiosa, che, per definizione, si pone a priori prima e al di sopra di tutte le altre possibili etiche di parte. È essa che fonda le possibili etiche professionali, diversamente non c’è alcuna etica, se non quella derivante dalla pratica quotidiana vigente in un mondo che non conosce più Dio e non vuole neanche sentirne parlare: la cosiddetta etica laica .

Un esempio di questa impossibile autoregolamentazione etica ci viene proprio da quello che sta accadendo in seguito al caso da cui siamo partiti.
Da più parti si è gridato allo scandalo, perché quello di Eluana Englaro è stato un vero e proprio caso di eutanasia.
Cosa si farà per far sì che questo non accada più?
Si approverà una legge che, tenendo conto dell’etica o delle etiche, renderà legittima l’eutanasia, cioè la soppressione della vita a piacimento, sia pure a piacimento dell’interessato. Si useranno mille sofismi, si richiamerà l’esigenza di una regolamentazione, si interpelleranno mille scienziati… e alla fine si deciderà che ognuno è libero di scegliere di morire quando vuole, basta che lo metta per iscritto in tempo.
Questa è autanasia, cioè dolce morte voluta dal soggetto per sé stesso e da sé stesso. E tant’è vero che si tratta di eutanasia, di dolce morte, che si sancirà che tale passaggio voluto dalla vita alla morte non potrà avvenire, per esempio, per fame e per sete. E la scienza conosce mille modi indolori per sopprimere una vita senza sofferenza avvertita per il moribondo.
Ci verranno a dire che questo è il miglior compromesso possibile, perché vi sono delle forze che vorrebbero ben altro.
È vero, è un compromesso, forse il migliore possibile, ma pur sempre un compromesso aberrante, finalizzato alla soppressione della vita per volontà umana.
E non illudiamoci, oggi è questo il miglior compromesso possibile, domani accadrà che si faranno ben altri passi avanti lungo questa via lastricata di zolfo, mettendo sempre avanti la scusa del miglior compromesso possibile.
È quello che è accaduto in questi ultimi secoli.

(su)
Conclusione
Per concludere ci sembra doveroso fare una puntualizzazione.
Dal momento che la tecnologia medica permette che si possa trasporre per un certo tempo il momento della morte, è quasi impossibile chiedere ai soggetti e ai loro famigliari che la stessa tecnologia non venga usata. Gli stessi medici, convinti di agire per il meglio, non possono esimersi dall’usare ogni mezzo che trasponga l’evento ineluttabile della morte.
Tutto questo ha una sua logica interna difficile da contrastare, soprattutto se si tiene conto del convincimento diffuso che si tratti del prodotto di una meritoria conquista umana. Il procedere dei tempi ci offre questa possibilità pratica, quasi impossibile rifiutarla.
Ciò posto, è fin troppo semplice comprendere che quando si accetta una possibilità come questa, al pari di ogni altra, non può che accettarsi nella sua integralità, comprese per primo le conseguenze che ne derivano.
La trasposizione del momento della morte comporta molte volte conseguenze pesanti che vanno dalla menomazione semplice alla paralisi più o meno estesa. Una volta accettato l’uso della tecnica che traspone il momento della morte, è inevitabile accettare le sue conseguenze. Da quel momento in poi la persona che rimane offesa per le menomazioni è una persona che ha gli stessi diritti di un’altra persona normale; e questi diritti fanno il paio con i doveri.
Questo ragionamento vale sia per i diretti interessati, sia per i loro famigliari, e vale per entrambi sia che l’interessato abbia la facoltà di decidere e di intervenire, sia che l’interessato non ce l’abbia più in modo manifesto.
È inconcepibile che si accetti l’uso della tecnologia moderna e, in un secondo momento se ne rifiutino le conseguenze quando queste non ci piacciono.
Se ci è sembrato corretto permettere che si trasponga il momento della morte, dobbiamo accettare coerentemente tutte le conseguenze che ne derivano, tanto più che esse, per grandi linee, ci sono ben note, anche per esperienza indiretta dei tanti casi esistenti.
Diventa aberrante il ragionamento di coloro che, dopo aver beneficiato della possibilità di trasporre il momento della morte, si rifiutano di proseguire a vivere con le menomazioni, inevitabili, che ne sono derivate.
È il classico caso della botte piena e della moglie ubriaca.
A niente valgono i sofismi a posteriori circa il valore di una continuazione della vita in condizioni disagiate. Questi rientrano solo in quella logica tutta moderna che pretende che la vita dev’essere come dico io, oppure non è vita degna di essere vissuta.
Pura follia. Frutto dello stato comatoso in cui oggi si trova il mondo moderno.
 
(su)


febbraio 2009


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