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Le discussioni tra la Santa Sede e la FSSPX: dell’abbé
Claude Barth
Simili dichiarazioni, nuove non già per il loro tenore, quanto per la sicurezza con la quale sono ormai formulate, sono in effetti come cristallizzate dalla « linea ermeneutica » che rappresenta Mons. Brunero Gherardini[1], alla quale Disputationes theologicae dato larga eco [2]. Essa rimette in auge, rinnovandola sostanzialmente, quella della minoranza conciliare – minoranza di cui non si può dimenticare l’importanza del ruolo nell’elaborazione dei testi di transizione o, detto in maniera più polemica, di ambiguità - e cioè in breve: un certo numero di punti del Vaticano II è suscettibile, non solo di precisazioni, ma anche eventualmente di future correzioni. In maniera diversa, Mons. Nicola Bux, voce molto ascoltata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dichiarava all’agenzia Fides, il 29 gennaio 2009 : « Si è stato constatato che non vi erano differenze dottrinali sostanziali, e che il Concilio Vaticano II, i cui decreti furono firmati da Mons. Lefebvre, non poteva essere separato dall’intera Tradizione della Chiesa. In uno spirito di comprensione, bisogna in seguito tollerare e correggere gli errori marginali. Le divergenze passate o più recenti, grazie all’azione dello Spirito Santo, saranno ricomposte grazie alla purificazione dei cuori, alla capacità di perdono, e alla volontà di giungere a superarle definitivamente ». In questo contesto di libertà teologica e di effervescenza di sane disputationes alle quali questo sito vuol partecipare, le conversazioni dottrinali che verranno, implicitamente evocate da Nicola Bux, e che presto si apriranno tra i teologi che rappresentano la Congregazione per la Dottrina della Fede e i teologi che rappresentano la Fraternità San Pio X, dovrebbero logicamente far progredire le cose. Questo è ciò che in ogni caso si può pensare, tenuto conto della qualità dei tre teologi, tutti e tre consultori alla Congregazione per la Dottrina delle Fede, che dovrebbero partecipare a queste discussioni per conto della Santa Sede (nella misura in cui le informazioni concernenti queste nomine siano esatte e fermo restando che l’ «equipe» così costituita possa essere modificata, ridotta o aumentata), sotto lo guida di Mons. Guido Pozzo, nuovo segretario della Commissione Ecclesia Dei. Qual è il grado d’autorità di quei punti che presentano difficoltà nel Vaticano II?
Alcune precisazioni interpretative dal sapore di incompiuto Il Padre Karl Josef Becker, gesuita che dovrebbe anche lui partecipare a queste discussioni, nato nel 1928, teologo molto amato da Benedetto XVI, è stato professore esterno alla facoltà di teologia dell’Università Gregoriana (ha in particolare insegnato la teologia sacramentaria e scritto sulla giustificazione e l’ecclesiologia). Ha pubblicato un articolo apparso ne L’Osservatore Romano del 5 dicembre 2006 [6], nel quale tutti hanno visto un’applicazione del discorso del Papa del dicembre 2005, di cui parlerò più avanti. Qui egli sosteneva che il subsistit in del n° 8 di Lumen Gentium (la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica) non vuol dire altro che il tradizionale: est (la Chiesa di Cristo è puramente e semplicemente la Chiesa Cattolica). E addirittura, secondo la rilettura molto volontaristica di Padre Becker, il subsistit in sarebbe destinato a rinforzare l’est, da cui risulterebbe, secondo lui, guardando alla parte dell’ecumenismo conciliare che è più difficile da far concordare con la dottrina tradizionale, che l’ecclesialità parziale delle Chiese separate è molo dubbia [7].
filosofici delle posizioni teologiche dei cristiani separati, presupposti che possono largamente spiegare la loro incomprensione dei dogmi della Chiesa. Ma è soprattutto la sua opera Tradition et unité des chrétiens. Le dogme comme condition de possibilité de l’œcuménisme [12], che merita una particolare attenzione per l’argomento che ci interessa. Quest’opera rappresenta un considerevole sforzo d’interpretazione tradizionale dell’ecumenismo portato ad un grado molto elevato d’acume e di agilità, perché mira nientemeno a dimostrare come il dogma cattolico in generale e quello dell’infallibilità pontificia in particolare siano….i motori più efficaci dell’ecumenismo. Dimostrazione paradossale (paradossale nella misura in cui si ritiene comunemente, per gioirne o per lamentarsene, che l’ecumenismo cerca d’attenuare le definizioni dogmatiche della dottrina cattolica). Ora, il paradosso si raddoppia quando la pia interpretatio dello studioso domenicano fa una lettura tomista di un punto spesso criticato nel testo conciliare, la « gerarchia delle verità ». Secondo lui, se si accorda ai separati che, dalle due parti, c’è stata cattiva comprensione delle rispettive posizioni, alla fine bisognerà ben ammettere qualche formula obbligatoria per tutti – in altre parole, un dogma - che manifesti che ormai ci si capisce perfettamente e che ci si accorda univocamente nell’esprimere la fede ricevuta dagli Apostoli. Riguardo al decreto conciliare sull’ecumenismo al n. 11 §3 [13], egli ricorda che la Tradizione cattolica, specie per bocca di San Tommaso, ha sempre affermato che il rifiuto di credere ad un qualunque articolo di fede significa rifiutare l’autorità di Dio, da cui dipende la fede, e annichilire di fatto il motivo di credere, quindi polverizzare la fede. Tuttavia, come espone anche San Tommaso, l’insieme delle verità da credere si organizza secondo un certo ordine, che non sopprime in nessun modo l’importanza di ogni articolo. Il Padre Morerod spiega che, così intesa, la «gerarchia delle verità» non è fondamentalmente niente altro che un metodo di catechesi elementare per esplicitare, per esempio, la Maternità divina a partire dall’Incarnazione, un mezzo pedagogico per portare alla fede cattolica coloro che se ne sono allontanati. Un nuovo contesto teologico e le sue virtualità Le dimostrazioni in forma di precisazioni dei Padri Becker, Ocáriz, Morerod e di tanti altri ancora, sono molto seducenti. L’inconveniente è che esse sono giustamente rese necessarie perché i testi in questione (in ciò che ho richiamato: il n° 8 di Lumen Gentium, il n° 2 di Dignitatis humanae e il n° 11 di Unitatis Redintegratio, ma esistono altri luoghi di difficoltà [14]) non contengono le precisazioni che avrebbero evitato tutte le interpretazioni devianti[15]. Non è forse, più in generale, la grande difficoltà che solleva tale o tal’altra asserzione del Vaticano II, e cioè quella di aver avuto l’effetto di ciò che potremmo chiamare un «ri-velamento» del dogma (per alludere alla teoria dello «svelamento» che, secondo il cardinale Journet, avrebbe la funzione dogmatica) ? Ma prima di tutto bisogna far notare, che il fenomeno innescato dal discorso indirizzato il 22 dicembre 2005 da un Papa teologo, Benedetto XVI, alla Curia romana, sulla buona interpretazione del Vaticano II, si colloca in una fase storica particolarmente interessante di « ritorno al dogma ». Del resto, si potrebbe sostenere che l’esercizio del suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, specialmente dal 1985 (con la pubblicazione di Inchiesta sulla Fede) fino al 2005, ha costituito una specie di pre-pontificato di reinterpretazione e di inquadramento dei punti sensibili del Vaticano II. In fondo, ciò che oggi si dice e scrive liberamente un po’ dappertutto era perfettamente conosciuto: e cioè che l’autorità dei passi del Vaticano II che sono apparsi o appaiono in disaccordo con le asserzioni dogmatiche anteriori, non aveva niente di dogmatico. Allo stesso modo si potrebbe dire che le reinterpretazioni in forma di precisazioni ortodosse di questi passi, che oggi si moltiplicano a cura di scritti ben autorizzati, sono sempre esistite. Ma, mi sia permesso far notare che queste due vie praticate, che oggi assumono un carattere quasi ufficiale, restano fino ad un certo punto insoddisfacenti: la prima via (la non infallibilità dei punti contestati) perché è puramente negativa e non regola il fondo del dibattito; la seconda (la reinterpretazione tomista di questi punti) perché appare relativamente artificiale o in ogni caso è con tutta evidenza a posteriori. Tuttavia, come nella vita spirituale l’accesso alle vie mistiche non può prescindere dalle purificazioni ascetiche, così tutta l’attuale effervescenza scatenata o attivata dal discorso teologico liberatorio del 2005, ha un indispensabile valore preparatorio sul lungo termine – e senza dubbio sul lunghissimo termine. Mi sia concesso dire che la presente situazione magisteriale (qui parlo sempre, unicamente, dei punti sensibili del Vaticano II, e in nessun modo dei progressi indiscutibili di questo Concilio, come il decreto Ad gentes e, a mio avviso, la costituzione DeiVerbum) è abbastanza inedita nella storia dei dogmi. Non si tratta, come è sempre stato, di eresie esterne e di condanne interne, ma di flussi dottrinali interni e del rigetto all’esterno (fino ad oggi) della loro contestazione. Si è in presenza di qualcosa che assomiglia, se si vuole, ad una crisi d’adolescenza – molto tardiva, certo –, in cui il meglio e il peggio si mescolano per accedere ad una maturità. Il peggio sarebbe restare in mezzo guado - per esempio: Unitatis redintegratio non assegna uno scopo chiaramente precisato in termini dogmatici all’ecumenismo. Il meglio è nella materia nuova che è emersa – parlo sempre a titolo personale - e che fa si che, non dispiaccia a coloro che vorrebbero ritornare allo status quo ante, è impossibile pretendere per esempio di cancellare l’ecumenismo dall’insegnamento della Chiesa. Più esattamente, al termine di un lavoro teologico che certo non si è mai interrotto da quarant’anni, ma al quale un Papa teologo permette uno sviluppo libero e insperato, bisognerà fare dell’ecumenismo un insegnamento della Chiesa in quanto tale. Le difficoltà di questi testi che chiamo «d’adolescenza» (poiché mi è stato rimproverato da ogni parte l’appellativo di «magistero incompiuto») possono essere allora capiti come delle problematiche. Mi spiego approfondendo questo esempio dell’ecumenismo. Leggendo il n° 3 di Unitatis Redintegratio, si può capire questo testo come il riconoscimento tradizionale dell’esistenza di elementi della Chiesa cattolica, come il Battesimo, la Sacra Scrittura, a volte l’Ordine, in seno alle comunità separate: «Tra gli elementi o i beni con l’insieme dei quali la Chiesa si edifica ed è vivificata, diversi e perfino molti, e di grande valore, possono esistere al di fuori dei limiti visibili della Chiesa Cattolica». Ma Unitatis Redintegratio aggiunge, e questo comporta una considerevole difficoltà, una certa legittimazione ecclesiale di queste comunità separate in quanto tali: «Di conseguenza , queste Chiese e comunità separate , sebbene noi crediamo che soffrano di deficienze, non sono affatto sprovviste di significato e di valore nel mistero della salvezza. Lo spirito di Cristo, in effetti, non rifiuta di servirsi di esse come di mezzi di salvezza, la cui forza deriva dalla pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica». I termini del testo sembrano dire dunque che in quanto separate queste Chiese sarebbero dei «coadiuvanti» della Chiesa Cattolica. Il che sarebbe, se tale fosse la vera interpretazione, in rottura con l’insegnamento anteriore. E tuttavia è gioco forza convenire che se – conformemente alla dottrina tradizionale – dei separati in buona fede accedono alla salvezza attraverso questi elementi cattolici che si trovano de facto nelle loro comunità, non è la loro concreta appartenenza a queste comunità separate che può (nell’insondabile mistero di Dio) apportar loro questi elementi cattolici salutari. Allo stesso tempo, è vero, che questa appartenenza è anche il principale ostacolo oggettivo al loro ritorno nell’unità della Chiesa. È chiaro che il dogma del passato non ha integrato esplicitamente il fatto che gli elementi cattolici che esistono in queste comunità separate possano essere strumenti della grazia per dei cristiani separati in buona fede e dunque la loro eventuale appartenenza in voto alla Chiesa di Pietro, né che questi elementi sono in attesa di essere rivivificati dal ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati che ne beneficiano (cosa che non ho in nessun modo la pretesa di spiegare in poche righe). È come se la «problematica» del n° 3 di Unitatis Redintegratio testimoniasse due insufficienze, una del passato che diceva troppo poco, e l’altra del presente che, di contro, dice troppo. Note [1] Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Case Mariana Editrice, 25 marzo 2009. [2] Mons. Brunero Gherardini, « Quale valore magisteriale per il Concilio Vaticano II », da Disputationes Theogicae, 5 maggio 2009 ; Claude Barthe, « Il Magistero ordinario infallibile. L’abbé Barthe difende la posizione di Mons. Gherardini », 18 giugno 2009. [3]. Sul modo in cui la FSSPX affronta il tema della non infallibilità dei punti contestati del Vaticano II: JEAN-MICHEL GLEIZE, Le concile Vatican II a-t-il exercé l’acte d’un véritable magistère? e ALVARO CALDERÓN L’autorité doctrinale du concile Vatican II, in Magistère de soufre (Iris, 2009, pp. 155-204 et 205-218) [4]. Parole et Silence, 2005. [5]. Parole et silence, 2004. [6]. « Nel clima dell’Immacolata i quarant’anni del Concilio. Subsistit in (Lumen gentium, 8) », pp. 1, 6-7. [7]. Un altro vecchio professore dell’Università Gregoriana, il Padre Francis Sullivan, aveva d’altronde contestato questa interpretazione in «A Response to Karl Becker, S.J., on the Meaning of Subsistit in» Theological Studies, vol. 67 (2006), pp. 395-409. Il Padre Sullivan, di tendenza opposta a quella del Padre Becker, non crede tuttavia come lui all’autorità infallibile del Vaticano II. Nella linea Sullivan, ma in una prospettiva diversa che quella del dibattito sui punti contestati del Vaticano II, e attinente alla relativizzazione dell’autorità magisteriale nell’ambito della teologia attuale, vi è una considerevole bibliografia. In francese: un classico: JEAN-FRANÇOIS CHIRON, L’infaillibilité et son objet. L’autorité du magistère infaillible de l’Église s’étend-elle aux vérités non révélées ? (Cerf, 1999), il contributo più recente: GRÉGORY WOIMBÉE, Quelle infaillibilité pour l’Église ? De jure veritatis (Téqui, 2009). [8]. L’ultimo lavoro apparso che dà un breve, ma molto sostanziale compendio del dibattito: GUILLAUME DE THIEULLOY, « Vers une relecture de Vatican II », in La théologie politique de Charles Journet (Téqui, 2009, pp. 149-163). Allo stato, il più completo e il meglio documentato sulla dottrina anteriore alla Dignitatis humanae è il capitolo 9 dello schema De Ecclesia (Documenta oecumenico Vaticano II apparando, Constitutio De Ecclesia, c. 9), tradotto in CLAUDE BARTHE, Quel avenir pour Vatican II. Sur quelques questions restées sans réponse (François-Xavier de Guibert, 1999, pp. 163-179). [9] « Délimitación del concepto de tolerancia y su relación con el principio de libertad », Scripta Theologica 27 (1995), pp. 865-884. Su questa questione cfr. : P. BASILE VALUET, OSB, La liberté religieuse et la Tradition catholique, edizioni Sainte-Madeleine, 1998, di cui occorre sottolineare che non sembra voglia assimilare l’insegnamento conciliare al magistero ordinario universale. Sono invece per la qualificazione di magistero ordinario e universale della dottrina conciliare sulla libertà religiosa (di cui danno delle interpretazioni cattoliche dalle sfumature diverse, che qui non è possibile indicare): BRIAN W. HARRISON, Le développement de la doctrine catholique sur la liberté religieuse (Dominique Martin Morin, 1988); i numerosi articoli di Dominique-M. de Saint-Laumer, come per esempio « Liberté religieuse. Le débat est relancé », Sedes Sapientiae, 25, pp. 23-48 ; Bernard Lucien, : Les degrés d’autorité du Magistère (La Nef, 2007). [10]. « Le devoir social de religion et le droit à la liberté religieuse », nn. 2104-2109. [11]. Op. cit., Parole et silence, 2004. [12]. Op. cit., Parole et Silence, 2005. [13]. « En exposant la doctrine, ils [les théologiens catholiques] se souviendront qu’il y a un ordre ou une “hiérarchie” des vérités de la doctrine catholique en raison de leur rapport différent avec les fondements de la foi chrétienne ». [14]. Il n° 2 della Dichiarazione Nostra aetate : « Essa [la Chiesa cattolica] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». [15]. Per ciò che concerne l’insieme delle difficoltà sollevate dalla FSSPX e il modo in cui le presenta, si può leggere specialmente il libro collettivo: Magistère de soufre, op. cit. (Iris, 2009). (su)
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