I frutti del post-concilio
A quarant'anni dal Concilio Vaticano II
C’è solo da confondersi nello scegliere tra le tante incredibili
assurdità che si possono leggere nella pletora di pubblicazioni
che continua a partorire l’attuale compagine cattolica.
Il tutto, ovviamente, in nome del Concilio, attraverso il quale si
è fatto passare e si continua a far passare qualunque cosa.
I maligni e i prevenuti diranno súbito che noi continuiamo
ad avercela col Concilio, e non perdiamo occasione per “scoprire” lacune
ed errori qua e là, ad uso e consumo dei nostri preconcetti, della
nostra cecità conservatrice e del nostro odio per il progresso.
E via di questo passo.
Ma noi, che siamo anche testardi e incuranti di certe critiche moderniste,
sentiamo il dovere, come cattolici, di fare opera di misericordia spirituale:
riprendendo gli errori dei nostri fratelli in Cristo, con la speranza che
possano aprire gli occhi e rinunciare alle lusinghe del Principe di questo
mondo.
D’altronde, le cose che segnaliamo non sono degli “incidenti di percorso”,
ma degli esempi, colti qua e là, di certi frutti del Concilio che
continuano a germogliare e ad intossicare i fedeli cattolici.
Questa volta ci occuperemo dell’editoriale del periodico
“Incontri” (aprile 2003), pubblicato dalla Famiglia Cottolenghina
di Torino.
L’editoriale, a firma di un certo Carlo Carlevaris, si intitola “Il
Concilio, Chiesa di popolo, Chiesa di Dio”, e prova a tracciare un
succinto bilancio dell’applicazione del Concilio Vaticano II, a quarant’anni
del suo svolgimento.
“Le persone che hanno partecipato a questo avvenimento
o che lo hanno vissuto come testimoni diretti parlano ancora oggi con entusiasmo
dello spirito di apertura e di rinnovamento che vi permeava e segnava quei
mesi.”
Ora, che in quegli anni ci fosse un diffuso “spirito di
apertura e di rinnovamento”, è fuori di dubbio: ma ci si dimentica
di ricordare che questo “spirito” era diffuso in una parte minoritaria
dei chierici che parteciparono e che seguirono il concilio. Tra i laici
si trattava poi di una parte estremamente marginale rispetto al corpo ecclesiale:
rispetto a quel “popolo di Dio” a cui si continua a far ricorso, ma che
continua ad ignorare le intenzioni e i desideri che gli vengono addebitati.
In quanto all’apertura e al rinnovamento, ancora oggi si stenta
a credere alla serietà di una tale supposizione: in realtà
si trattò e si tratta di un nuovo modo di intendere e di praticare
la Fede. Il che non significa affatto “apertura” e “rinnovamento”, semmai
si potrà parlare di qualcosa di diverso dalla pratica della religione
cattolica. Se cosí non fosse, il Santo Padre non potrebbe parlare,
ancora oggi, di “rievangeliz-zazione”, se lo fa è perché
la perdita della Fede ha finito con l’assumere connotazioni tali da rendere
necessaria una “nuova predicazione del Vangelo”. E questo dopo il Concilio,
malgrado il Concilio e soprattutto grazie al Concilio.
Tutta colpa del Concilio? Forse no, ma è fuori
da ogni dubbio che il Concilio vi ha concorso abbondantemente con la sua
“apertura” e con il suo “rinnovamento”.
Se si avesse un minimo di onestà intellettuale e non si fosse
accecati dall’orgoglio, bisognerebbe riconoscere che la perdita della Fede
è anche uno dei frutti del Concilio, e se questi sono i frutti,
si dovrebbe súbito comprendere di che legno è fatto l’albero.
“In tre anni scrive l’autore la vecchia Chiesa
autoritaria e incentrata sulla persona del Papa si è trasformata
in una Chiesa di dialogo, orientata verso il ‘Popolo di Dio’.”
Non abbiamo difficoltà ad ammettere che si tratta
di una affermazione fondata, ma corre l’obbligo di precisare che, grazie
a Dio, i cattolici che respingono questa visione anticattolica della
Chiesa sono sempre piú aumentati in questi quarant’anni; e proprio
sulla base di affermazioni come questa, che mettono ancor piú in
risalto che al posto del “rinnovamento” si è prodotto un
“capovolgimento”, una “sovversione”, scambiati per néttare
dall’autore e da tanti altri ormai sopraffatti dalla schiavitú dell’idolatria
del “nuovo”.
Come sempre accade, più il “nuovo” è inconsistente e
dannoso, piú si avvale di espressioni equivoche purché siano
altisonanti.
Cosa potrebbe essere mai questo tanto declamato “Popolo di Dio”,
se non l’insieme ordinato e disciplinato dei fedeli seguaci di Cristo che,
sforzandosi di praticare i suoi insegnamenti, tutto si affida alla guida
illuminata della Santa Chiesa, maestra infallibile nella dottrina e nella
morale?
Se si toglie questo, del famoso “Popolo di Dio” non resta altro che
una vuota declamazione, con la quale si indica impropriamente una compagine
di individui che, battezzati, si librano sulle ali della fantasia egocentrica
e pretendono essi di rappresentare lo scopo dell’esistenza, con le loro
velleità centrifughe e con i loro bisogni meramente corporali o,
al massimo, psico-sentimentali.
L’autore, infatti, seguendo una moda diffusissima, parla di una
Chiesa “orientata verso il Popolo di Dio”, cioè una Chiesa il cui
Oriente è la massa dei peccatori. Una Chiesa non piú orientata
verso Dio, ma verso l’informe massa del “Popolo”, scritto con la P maiuscola,
ad imitazione della moda ideologica della “Dittatura del Proletariato”.
“Uno degli elementi essenziali di questo Concilio è
stata la fine della separazione tra preti e laici, cosí come l’attribuzione
a tutti gli uomini e a tutte le donne del ‘Popolo di Dio’ di differenti
ruoli, nel quadro del sacerdozio generale per i fratelli e le sorelle in
una Chiesa fraterna”.
Se una frase del genere fosse stata scritta ancora una cinquantina
di anni fa, nello stesso contesto in cui opera l’autore, egli sarebbe stato
sottoposto all’ironico sorriso dei suoi vicini, non solo chierici, ma anche
laici, i quali gli avrebbero consigliato di andare a studiare prima di
cimentarsi con cose piú grandi di lui.
Oggi invece, dopo il grande Concilio, questo non accade più,
purtroppo.
Ora, se i preti e i laici prima del Concilio erano “separati”, chi
è che ha svolto il lavoro di apostolato per duemila anni? Non solo.
Ma se dopo il Concilio sono stati attribuiti “differenti ruoli”, forse
che prima del Concilio i ruoli erano identici o non v’erano neanche ruoli
da attribuire?
Cos’è quest’aria fritta?
Ma, dice l’autore, i differenti ruoli sono stati attribuiti “nel quadro
del sacerdozio generale … in una Chiesa fraterna”.
Il che, se l’italiano ha ancora un senso, dovrebbe significare che
da dopo il Concilio ci siamo scoperti tutti sacerdoti all’interno di una
Chiesa in cui tutti, finalmente, ci sentiamo fratelli.
Ma perché, di grazia, prima del concilio eravamo forse tutti
cugini?
La vacuità di certe espressioni è pari solo all’ignoranza
di chi crede di poter dare lezioni in forza delle solite frasi ad effetto.
Sempre che non si debba pensare ad una congenita malafede.
Che vi sia un sacerdozio comune dei fedeli e un sacerdozio ministeriale
degli ordinati è cosa che lo stesso Concilio ha ribadito, sulla
scorta della dottrina di sempre della Chiesa. Purtroppo, però, lo
stesso Concilio ha permesso che si diffondessero i piú strani equivoci
e le piú perniciose suggestioni, cosí che oggi è possibile
incontrare tanti laici “impegnati” che si sentono investiti di chissà
quale “potere sacerdotale”. È questo, tra l’altro, che ha permesso
il diffondersi di tante iniziative ecclesiali personali e di gruppo che,
con la scusa dei “carismi”, hanno prodotto quel fenomeno da “figli dei
fiori” che sono i vari “movimenti carismatici” avallati dalla stessa Gerarchia.
“Dove sarebbe oggi la Chiesa cattolica senza questo
incontro degli anni Sessanta che ha aperto un nuovo cammino?”,
si chiede l’autore.
Scontato e prevedibile! La solita tattica della retorica e
della demagogia.
Non sarebbe certo difficile rispondere ad una domanda del genere (abbiamo
tutti sotto gli occhi i frutti di questo “incontro sessantottino”), ma
è sicuramente piú opportuno rispondere ad un’altra domanda,
connessa alla prima: dov’è “oggi la Chiesa cattolica” dopo “questo
incontro degli anni Sessanta” che avrebbe dovuto equivalere ad “una nuova
primavera” della Chiesa?
A parte la perdita della Fede e dei valori cattolici, ogni giorno richiamata
dal Papa.
Quanti sono oggi i preti che credono nella transustanziazione?
Quanti sono oggi i fedeli che credono nella Presenza Reale di Cristo
nelle specie eucari-stiche?
Quanti sono oggi i parroci che vanno “in ferie” abbandonando le loro
parrocchie?
Quanti sono oggi i cattolici praticanti che vanno a Messa nelle feste
di precetto?
Quanti sono oggi i seminaristi che invece di studiare teologia dogmatica
studiano psicologia?
Quanti sono oggi i laici che seguono il magistero della Chiesa?
Quanti sono oggi i religiosi che praticano ancora il distacco dal mondo?
Quanti sono oggi i giovani che “sempre piú” si sentono attratti
dalla vita religiosa?
Quanti sono oggi gli insegnanti di religione che ammettono il divorzio
e l’aborto?
Quanti sono oggi i preti che si dedicano alla salvezza delle ànime
e non al benessere dei corpi?
Quanti sono oggi i vescovi che predicano ancora il Vangelo di Cristo?
E via di questo passo…
Il nostro autore, che sa benissimo di che cosa parliamo, farebbe bene
a porsi queste domande, piuttosto che sciorinare insulsaggini come quelle
contenute nelle risposte che egli stesso dà alla sua domanda insensata.
“La gran parte dei fedeli non potrebbe seguire
la Messa, celebrata in latino.”
La lingua batte dove il dente duole!
Dal momento che a Messa non ci va quasi piú nessuno, non
resta altro che inventare la favoletta della Messa antica, in latino, che
nessuno avrebbe mai capito.
Ora, se la S. Messa è il cuore e il culmine della vita della
Chiesa - come dice anche il Concilio -, e se per secoli, a causa di quel
cattivo del latino, i fedeli non hanno mai potuto immedesimarsi con questo
cuore e con questo culmine: che razza di cattolici abbiamo avuto per duemila
anni? E i figli di questi cattolici mancati o monchi, che saremmo noi,
che razza di sottospecie di subcattolici sono?
Vuoi vedere che, in fondo in fondo, i cattolici di oggi non credono
piú a niente di quello che ci ha insegnato Nostro Signore, a causa
di duemila anni di Messa in latino?
E il Concilio? In questi trentacinque anni di improvvisa illuminazione,
come ha rimediato a tanto disastro?
Che cosa hanno concluso in questi anni i tanti preti modernisti che
si sono sbracciati e continuano a sbracciarsi in difesa dell’uso del volgare
nella liturgia?
Tranne che aver brutalmente soppresso la cattiva Messa latina di un
tempo, il postconcilio e i suoi sostenitori, che cosa hanno prodotto di
cosí luminoso che ci faccia constatare come le chiese siano piene
zeppe di fedeli che capiscono tutto di tutto?
La verità è che l’autore mente sapendo di mentire, poiché
è impossibile che abbia dimenticato l’affollamento delle chiese
di prima del Concilio e la partecipazione corale dei fedeli alla liturgia
e al canto, per non parlare delle devozioni popolari che sono quasi sparite
a partire proprio dal Concilio.
E continua.
“I consigli parrocchiali non esistevano né
molte organizzazioni di laici oggi presenti e vive.”
Per i consigli parrocchiali ha ragione, infatti sarebbe
meglio che venissero súbito aboliti, cosí che i vescovi modernisti
non abbiano piú scusanti per le loro eresie.
Per le organizzazioni di laici, l’autore sembra nato ieri, perché
altrimenti o è un bugiardo matricolato o è uno che ha perso
del tutto la memoria, poverino.
Ha forse dimenticato, il nostro amico, che il mondo cattolico era pieno
di “confraternite” tutte rigorosamente fatte di laici
che si dedicavano ai piú diversi impegni caritatevoli, praticando
quelle opere di misericordia che oggi non vengono neanche piú ricordate
dai novelli catechisti?
Ha forse dimenticato, il nostro amico, che queste “confraternite”
in due millenni hanno costruito e gestito migliaia e migliaia di ospedali,
di ricoveri, di asili, di società di mutuo soccorso, ecc.?
Ha forse dimenticato, il nostro amico, che queste “confraternite”
hanno assistito per duemila anni i poveri, gli indigenti, i carcerati,
i dementi, gli emarginati e i traviati?
Ha forse dimenticato, il nostro amico, che queste “confraternite”
hanno curato per duemila anni le madri bisognose e i bambini abbandonati?
Ha forse dimenticato, il nostro amico, che queste “confraternite”
sono state contrastate, confiscate, distrutte, a partire dal Concilio,
da quegli stessi preti modernisti e da quegli stessi laici “impegnati”
che oggi ci raccontano un mucchio di sciocchezze?
“Molti movimenti costituiti democraticamente, responsabili,
autonomi, con una missione e degli obiettivi scelti da loro stessi non
troverebbero spazio in seno alla Chiesa.”
Grazie a Dio le cose stavano cosí fino all’arrivo dello
sconquasso conciliare.
I movimenti non erano costituiti “democraticamente”, cioè dal
basso, ma se ne sanciva la costituzione a partire dall’alto, cioè
a partire dalla verifica della loro rispondenza con la dottrina e la morale
cattoliche, verifica che veniva esercitata da chi era in grado di esprimere
un giudizio fondato: la Chiesa.
Oggi invece “chiunque” si può permettere di inventare qualsiasi
cosa, basti che frequenti qualche parrocchia e il giuoco è fatto.
Anche perché, col vuoto che continua a caratterizzare le parrocchie
a partire dal Concilio, i preti sono diventati di bocca buona, quando non
sono complici delle piú ignobili eresie o dei comportamenti piú
discutibili.
I movimenti, oggi, sarebbero “responsabili”. Come se per duemila
anni i gruppi cattolici esistenti non fossero stati altro che dei covi
di irresponsabili.
I movimenti, oggi, sono “autonomi”. Appunto! Autonomi: cioè
fanno quello che passa loro per la testa, in totale autonomia rispetto
agli insegnamenti di Cristo. Una volta, invece, i movimenti sentivano il
bisogno di vincolarsi all’insegnamento del Signore e per far questo si
affidavano alla direzione spirituale e morale di uomini di chiesa che si
riteneva fossero a conoscenza della volontà della Chiesa in ossequio
alla volontà di Dio. Oggi, purtroppo, ciò che piú
conta, anche grazie al Concilio, non è la volontà della Chiesa
e la volontà di Dio, ma la volontà dei movimenti e dei loro
capetti carismatici.
I movimenti, oggi, hanno “una missione e degli obiettivi scelti
da loro stessi”. Torniamo cosí sempre al punto di partenza,
e il punto di partenza è l’IO, cosí come l’IO è anche
il punto d’arrivo. Questi moderni gruppi ecclesiali si fondano sulla presunzione
di essere qualcuno e pretendono di darsi perfino da loro stessi lo “scopo”.
Missione ed obiettivi vengono scelti liberamente, sulla base della stessa
presunzione di libertà che fa dire ad ognuno: io sono!
Resta poi da spiegare in che cosa potranno mai consistere queste missioni
e questi obiettivi fondati sul piú becero e puerile degli individualismi.
Ed ecco la controprova del vizietto di “presunzione di onniscienza” che
si è perniciosamente diffuso a partire dal concilio.
“Una Chiesa governata autoritariamente giudica la
democrazia e i diritti umani con sospetto e li teme come una minaccia.”
Quale profondità di pensiero, quale brillante intuizione,
quale vertigine speculativa!
Caspita!
Questo poveretto, ripetendo a pappagallo le stupidaggini che vanno
di moda da un po’ di tempo anche in seno alla Chiesa, e che purtroppo circolano
liberamente negli oratori, nelle parrocchie e nelle curie, crede di fare
la bella figura di colui che “sa quello che dice”.
Una Chiesa autoritaria! Ecco l’incubo del cattolico moderno.
L’autorità? Non sia mai!
L’unica autorità che egli riconosce è quella che non
si tocca, non si sente e non si vede: quella ideologica e fantasiosa che
usa l’alibi dello “spirito che soffia dove vuole”!
Guai a parlare della necessaria mediazione della Chiesa vade
retro! o di quella della famiglia cattolica quale assurdità!
L’unica autorità che oggi si riconosce è quella che
viene “liberamente” accettata da “me”!
Questa è la conquista prodotta dal Concilio!
Il rifiuto di ogni autorità, a partire dalla famiglia, passando
per la Chiesa, per giungere inevitabilmente alla dottrina cattolica e agli
insegnamenti di Nostro Signore.
Tutto bello, tutto buono, per il cattolico moderno, ma a condizione
che sia “io” a decidere dov’è la verità e dov’è l’errore!
Oh, conquista! oh, splendore del Concilio!
La democrazia e i diritti umani!
Ma, di grazia, per questo non c’è già l’ONU, la massoneria,
l’etica laica e altre diavolerie simili? A che serve ancora la Chiesa?
Se ciò che piú conta, tanto da fare la differenza tra
la Chiesa bella e giusta - di oggi - e la Chiesa brutta e ingiusta - di
ieri -, sono la democrazia e i diritti umani, basta iscriversi ad una qualsiasi
società filantropica… lasciando in pace la Chiesa e i cattolici.
E questo valga, non solo per tutti i sedicenti cattolici, ma per tanti
preti e per tanti vescovi che continuano ad avallare e ad alimentare questa
diabolica confusione tra le lusinghe e le illusioni del mondo e la Chiesa.
Altro che autorità! - dice l’autore del pezzo - senza il Concilio:
“Non avremmo il rispetto apertamente dichiarato per
le altre religioni e ideologie, né celebrazioni ecumeniche. Inoltre,
non avremmo la libertà di coscienza dei fedeli.”
Una perla! Un frutto maturo del concilio! Che bontà!
Pensate, neanche il Concilio, con tutte le sue ambiguità,
si era spinto fino a parlare di “rispetto delle ideologie”. Ma era inevitabile
che vi giungessero i suoi figli.
Noi, saremo pure dei retrogradi e degli integralisti (cosa
della quale meniamo vanto, peraltro), ma non possiamo riconoscerci in una
compagine ecclesiale che produce tanta offesa all’intelligenza.
Lasciamo stare il rispetto della dottrina, ché
con certa gente non è neanche il caso di accennarne, ma sicuramente
non possiamo riconoscerci in un ambiente che ha educato i suoi figli fino
a far confondere loro la Rivelazione con l’opinione di qualche cretino
di turno.
Le ideologie! Che sciocchezza!
Ma l’intelligenza resta offesa soprattutto per l’insistenza su quella
deleteria conseguenza della mentalità libertaria che si etichetta
ancora come “libertà di coscienza”!
Di quale coscienza? Della coscienza di questi personaggi con la mente
offuscata dall’ignoranza e dalla supponenza?
Uno che non sa neanche che cosa sia la Rivelazione e la scambia
con una qualsiasi opinione umana: che razza di coscienza avrà mai?
Piuttosto, dal momento che lui e quelli come lui si permettono anche di
pontificare, si potrà parlare semmai di “incoscienza” e di libertà
di incoscienza e di libera ed incontrollata incoscienza.
Se ne ha la riprova nell’incredibile elogio del “rispetto apertamente
dichiarato per le altre religioni”. Beninteso, nulla da eccepire circa
il rispetto che si deve alla buona fede di coloro che non hanno mai conosciuto
il Vangelo del Signore - è quello che ha sempre insegnato la Santa
Chiesa -, ma cosa ben diversa è la moderna equiparazione tra le
“diverse religioni”, così che la vera Religione, quella cattolica,
diventerebbe pari alle false religioni. Falso ecumenismo che maschera malamente
il pregiudizio indifferentista basato sull’incredibile convincimento che
l’errore abbia gli stessi diritti della Verità.
Non solo, ma non basta credere all’indifferentismo, occorre praticarlo,
ed ecco allora le famose “celebrazioni ecumeniche”, dove ognuno prega bellamente
il proprio dio, incurante del fatto che possa trattarsi del Dio vero o
di un dio falso.
Ci son volute generazioni di martiri e di santi per debellare l’indifferentismo
greco-romano, per demolire la presunzione pagana e laica di un Pantheon
in cui trovavano posto tutti i falsi dei: ed ecco che dopo duemila anni,
con il colpo di mano di un Concilio pastorale, tornano in voga le celebrazioni
ecumeniche.
Dopo questo panegirico incredibile dei frutti del concilio, l’autore
ci presenta le sue perplessità.
Non tutto il concilio ha lo stesso vigore in tutto il mondo - ci rivela
il nostro.
“Restano certamente delle questioni aperte.”
“Questa Chiesa è realmente divenuta in tutte
le circostanze ed azioni una Chiesa fraterna del ‘Popolo di Dio’ di fratelli
e sorelle?”
Incredibile! Prima ci si viene a raccontare di questa strana
cosa come di una conquista, poi ci si vuol far credere che era tutto uno
scherzo!
Ma davvero questa Chiesa è una “Chiesa fraterna del Popolo di
Dio”?
Ma caro amico, se non lo sa Lei!
Noi, a dire il vero, dopo anni di apprendimento della dottrina cattolica,
non sappiamo neanche di cosa stia parlando! Possiamo solo ringraziare Iddio
per queste sue perplessità, anzi preghiamo il Signore perché
diventino altissime grida di dolore, per il fallimento di tutti i progetti
anticattolici.
Per aiutare l’autore, possiamo solo ricordargli che, lungo questa china
affollata di supposti fratelli e di supposte sorelle, tutti all’opera per
costruire la fantastica chiesa del popolo di Dio, la cosa certa è
uno scivolone gigantesco, per il quale tutta questa folla si trasformerà
in una valanga inarrestabile che volerà diritta entro le fauci spalancate
di quel famelico di Lucifero, ispiratore di tanti preti modernisti.
Intendiamoci! Non è che una cosa del genere debba essere necessariamente
considerata come una disgrazia! Scherziamo! Tutto dipende dalla coscienza
e dalla libertà di opinione di ciascuno di noi!
Altrimenti il Concilio che l’abbiamo fatto a fare?
Papa Montini, per dare un’idea concisa del grande Concilio, diceva,
bontà sua, che “il culto di Dio che si è fatto uomo è
andato incontro al culto dell’uomo che si è fatto Dio”.
Noi, dopo questi altri anni di esperienza del postconcilio, possiamo
aggiungere che questo montiniano culto di Dio, conciliare e sessantottino,
dopo essergli “andato incontro” , si è innamorato del culto dell’uomo,
se l’è sposato e ha fatto un mucchio di figli dementi e deformi.
Che il Signore possa avere pietà delle loro ànime.
(aprile 2004)
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