IOANNES  PAULUS  PP  II

Requiescat In Pace



Elevato al Soglio Pontificio il 16 ottobre del 1978, Giovanni Paolo II ha concluso il suo pontificato con la morte avvenuta il 2 aprile del 2005: quasi 26 anni e 6 mesi, 9741 giorni, uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa.

Come è sempre accaduto, anche in questi ultimi cento anni, alla morte del Papa ha corrisposto il larghissimo cordoglio dei fedeli, che si è manifestato secondo i modi e i mezzi coevi.
Ciò che si è visto di nuovo in questa occasione è il vastissimo interesse dimostrato dai mezzi di informazione insieme all’attenzione manifestata dai personaggi e dalle figure pubbliche più diverse. Ovviamente, le due cose sono correlate, poiché l’interesse dei mezzi di informazione ha costretto molti personaggi pubblici a non mancare l’occasione.

L’opera di questo Papa sarà giudicata dai frutti reali che essa ha prodotto e forse ancora produrrà, ma fin da ora non v’è dubbio che questo Papa ha segnato il suo pontificato con uno stile tutto personale e molto attento all’aspetto pubblicistico. 
Uomo capace di attrarre una forte attenzione su di sé, Karol Wojtyla resterà nella storia come il papa dai gesti di successo, fino alla morte: non s’era mai visto un tale spiegamento di forze e d’impegni e di presenze e di dichiarazioni intorno ad un papa e soprattutto a favore di un papa. La ressa di commentatori improvvisamente diventati competenti in questioni di Chiesa si è addirittura verificata ancor prima che il Papa morisse: una sorta di corsa al primo della classe che ha rivelato tutti i limiti e tutti gli aspetti diseducativi dei mezzi di comunicazione moderni.
Ad assistere a quanto accaduto, c’è da chiedersi dove si trovavano fino ad ora tutti questi estimatori dell’opera di Giovanni Paolo II: dagli atei agli gnostici, dagli scientisti ai pensatori deboli, dai politici ai filantropici agli storici. E c’è da chiedersi dove saremo costretti ad andarli a cercare una volta passata l’ubriacatura “mediatica”.

Ma non si può nascondere che in parte è stato Giovanni Paolo II a volere questa sorta di sovraesposizione pubblicistica: convinto dell’importanza prevalente della figura umana, egli si è industriato fino alla fine in questa direzione, credendo che il suo mostrarsi dovesse per forza corrispondere alla instaurazione di un qualche rapporto dialogico che non fosse solo emotivo, apparente e contingente.

Una delle cose che ci siamo sempre chiesti è il senso vero della dichiarata simpatia del mondo per il Capo della Chiesa Cattolica: in un mondo che ha diffusamente rifiutato Dio, anche a detta dello stesso Papa, su che cosa si basava la simpatia suscitata da Giovanni Paolo II? 
E la possibile risposta è davvero tremenda: perché se questa simpatia era prevalentemente una simpatia “umana”, ci troveremmo a dover prendere davvero le distanze da essa, poiché il consenso del mondo non è il corretto metro di misura della validità della predicazione cristiana. Come non sarà mai un corretto metro di misura l’adunarsi attorno al papa di folle oceaniche, in seno alle quali il fattore prevalente sarà sempre l’emotività e il trascinamento incontrollato. 
Non a caso Nostro Signore ha sempre rifuggito dalle folle (Gv 6,14-15).
Il fatto poi che il mondo intero sembra aver voluto rendere omaggio a Giovanni Paolo II non deve suscitare chissà quali pensieri irreali: il mondo attuale si accompagna in ogni occasione alla sua pulzella preferita: l’ipocrisia.
Senza contare, ovviamente, le parole del Vangelo: "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti." (Lc 6, 26).

Non deve sembrare irriverente verso il Papa una tale constatazione, poiché se appena si volesse abbozzare un primo bilancio di ciò che è seguito all’azione e alla predicazione del Papa in questi 27 anni, non crediamo che si potrebbero elencare degli importanti relativi cambiamenti in seno alla compagine umana in generale e, soprattutto, in seno alla compagine cristiana in particolare.

Giovanni Paolo II aveva particolarmente a cuore alcuni punti importanti relativi al vivere civile in generale e al vivere religioso in particolare.

L’idea della pace era una sua costante, eppure, al di là dei giudizi che si potranno dare sul senso realistico e sulla portata dottrinale delle sue affermazioni e delle sue esortazioni, nei 27 anni del suo pontificato si sono verificate e hanno perdurato un numero incredibile di guerre che hanno prodotto milioni di morti: un Papa osannato e bellamente inascoltato, quasi fossero solo in pochi a prenderlo sul serio.

L’idea della convivenza universale lo ha spinto a muoversi incessantemente per ogni parte del mondo, convinto di diffondere meglio il messaggio evangelico. 250 viaggi, quasi uno ogni 40 giorni, con grande consenso di popoli e di governi; più di 1000 incontri politici ad alto livello, quasi uno ogni dieci giorni, con grandi scambi di simpatica condivisione; eppure non s’è visto un solo seguito a tanto lavoro di ricucitura: il mondo ha continuato a muoversi come se la Chiesa e il Papa non ci fossero.

L’idea della prevalenza della morale nella religione lo ha spinto a dare impulso a quello che è stato chiamato ecumenismo interreligioso, dove il primato della pace, della difesa della vita e della dignità dell’uomo avrebbero dovuto essere i leganti principali capaci di porre in secondo piano le differenze dottrinali. 
Il clamore e l’impatto pubblicistico degli incontri di Assisi e dei tantissimi altri incontri sostenuti dal Papa, non hanno spostato di una virgola le rispettive e divergenti posizioni dottrinali e, soprattutto, non hanno prodotto alcun risultato appena apprezzabile presso i veri detentori del potere mondiale: governi e organismi supergovernativi. Anzi, proprio sul fronte della morale e di quella che si usa chiamare “etica”, la Chiesa cattolica ha subito le più clamorose sconfessioni: dall’aborto alla manipolazione genetica, dal commercio di organi umani all’eutanasia, dal disconoscimento della famiglia alla depravazione pubblica e privata (… etc. …). 
La voce della Chiesa non solo è rimasta inascoltata, ma le è stato imposto di tacere pena l’accusa di ingerenza e di fondamentalismo.

L’idea profondamente sentita della necessità dell’abbraccio fraterno tra cristianesimo, ebraismo e islamismo, non ha prodotto grandi condivisioni, nonostante le incredibili prove di umiltà, talvolta perfino ingiustificate, prodotte in maniera del tutto unilaterale dalla Chiesa cattolica. 
Di fronte al diffuso riconoscimento della volontà di ridimensionamento della propria identità da parte della Chiesa cattolica (volontà elogiata come fattore di crescita e di ampliata consapevolezza), non s’è visto alcunché di simile da parte dei “fratelli” musulmani, né, soprattutto, da parte dei “fratelli maggiori” ebrei, che hanno invece continuato a perseguire una linea di condotta rivendicativa nella propria insostituibile specificità. 
Ed era prevedibile, ed era inevitabile. 
Si badi, non si trattava certo di contare le conversioni dall’islamismo e dall’ebraismo, cosa peraltro già definita inaccettabile dal famoso Concilio Vaticano II, ma certo non si trattava neanche del processo indifferentista che invece si è diffuso in seno alla compagine cattolica.

La convinzione profonda dell’ut unum sint inteso come necessità storica prima ancora che come tensione soprannaturale, aspetta ancora un qualche riscontro apprezzabile da parte dei “fratelli separati” e lascia sul terreno del confronto fenomeni di clamorosa sconfessione: come l’ordinazione delle donne e degli omosessuali tra i protestanti e il rifiuto di ogni incontro da parte del Patriarca russo.

Al lento e sostenuto tentativo di correggere molte delle deviazioni prodottesi in seno alla Chiesa a partire dal Vaticano II, attuato con ripetuti richiami orali e soprattutto scritti, non ha fatto riscontro l’auspicato ripensamento dei responsabili: nessun mea culpa per gli errori del presente si è levato dai tanti ambienti cattolici interessati, come peraltro sono mancati i necessari provvedimenti autorevoli da parte della Curia papale.

Ciò che si è primariamente riscontrato, soprattutto in relazione a quanto inteso dalla cosiddetta opinione pubblica, cattolica e non, è l’eccessiva enfatizzazione della dimensione umana della predicazione cattolica: quasi si fosse scoperto solo adesso che il Cristo è anche una persona.
Questo profondo convincimento dell’importanza primaria della persona umana e, inevitabilmente, della stessa condizione umana e mondana, spiega per esempio perché nel corso di questo pontificato si siano svolte ben 147 cerimonie di beatificazione, per un totale di 1338 beati, e 51 cerimonie di canonizzazione per l’elevazione di 482 santi, ad un ritmo che non sembra azzardato definire frenetico: uno ogni 5,5 giorni.

Sia ben chiaro che qui non si vuole avanzare minimamente alcun giudizio definitivo sulla persona e sull’opera di Giovanni Paolo II, siamo del tutto inidonei per una tale incombenza, che è essenzialmente demandata a Dio e non all’uomo; e d’altronde non si può certo dire che abbiamo aspettato fino ad ora per esprimere il nostro dissenso nei confronti di certi aspetti relativi all’azione dello stesso Papa a cui abbiamo ripetutamente dichiarata la nostra fedeltà e la nostra sottomissione. 
Qui non si tratta della volontà di giudicare, ma piuttosto del nostro dovere di cattolici di sforzarci di dire sempre la verità di ciò che pensiamo, pur nella piena consapevolezza delle nostre limitazioni e debolezze e della nostra totale dipendenza dall’insegnamento millenario della Chiesa.
Certo avremmo potuto ricordare tanti opportuni interventi correttivi di Giovanni Paolo II, come abbiamo avuto modo di fare qualche volta, ma abbiamo pensato di poter rendere ugualmente omaggio al Sommo Pontefice scomparso segnalando alcuni punti problematici del suo pontificato, quasi a rendergli meglio giustizia a fronte dell’ingiustificata sequela di elogi superficiali o più o meno interessati prodottisi in occasione della sua morte.

D’altronde non saremo certo noi a dimenticare che è nella natura stessa del mondo rifiutare l’insegnamento della Chiesa: quindi nessuna meraviglia che l’azione di Giovanni Paolo II non abbia prodotto i risultati sperati.
Noi non sappiamo bene se il Pontefice si illudesse più di tanto circa i risultati concreti dei suoi interventi pubblici, soprattutto se rivolti al mondo dei non credenti, ma abbiamo sentiti troppi applausi indiscriminati per non pensare che qualcuno questa illusione l’abbia coltivata e continui a coltivarla.
Dio ci guardi dalle illusioni e dagli illusionisti, soprattutto in questo mondo moderno dove ciò che conta in fondo sono gli effetti speciali che, insieme alle impressioni emotive, conducono inesorabilmente a quella che oggi si usa chiamare “realtà virtuale”, che non è altro che quella che si è sempre chiamata “menzogna”.

CC


(giugno 2005)


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