IL DIRITTO ALLA CELEBRAZIONE
DELLA S. MESSA
SECONDO IL MESSALE DEL 1962
Qualche precisazione
Continua a porsi, con forza, l’interrogativo sui poteri della Commissione
Ecclesia
Dei, con particolare riferimento alla possibilità che essa
possa svolgere un qualche ruolo attivo in ordine all’applicazione delle
disposizioni contenute nel Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988.
Poco più di due anni fa (27 settembre 2002), il Segretario di
detta Commissione, il Rev.mo Mons. Camille Perl, in una sua lettera di
risposta ai quesiti posti da un fedele, ha avuto modo di precisare che:
"Questa Pontificia Commissione non ha l’autorità
per costringere i Vescovi a concedere la celebrazione della messa secondo
il Messale romano del 1962. Nondimeno, noi siamo frequentemente in contatto
con i Vescovi e facciamo tutto quello che ci è possibile perché
si giunga a questa decisione. Tuttavia, questa possibilità dipende
anche dal numero di persone che desiderano la messa “tradizionale”, dalle
loro motivazioni e dalla disponibilità dei preti che possono celebrarla.
"Nella vostra lettera, affermate anche che il Santo Padre
vi ha dato un “diritto” alla messa col Messale romano del 1962. Questo
è scorretto. È vero che egli ha chiesto ai suoi fratelli
Vescovi di essere generosi nel concedere la celebrazione di questa messa,
ma non ha affermato che si tratta di un “diritto”. Attualmente costituisce
una eccezione alla legge della Chiesa è può essere permessa
quando il Vescovo locale giudica che si tratti di un servizio pastorale
valido e quando vi sono dei preti che sono disponibili per celebrarla.
Ogni cattolico ha diritto ai Sacramenti (cfr. Canone 843), ma non ne ha
diritto in base al rito di sua scelta."
L’anno scorso, in una intervista rilasciata al quotidiano Il Giornale
(31
maggio 2004), S. Em. Rev.ma il Card. Castrillon Hoyos, Presidente della
Commissione Ecclesia Dei, ha dichiarato:
"Giovanni Paolo II nel 1988 ha voluto tutelare
questa particolare sensibilità all’interno della Chiesa, chiedendo
che venga concessa “un’ampia e generosa applicazione” dell’uso dell’antico
messale.
………
"Certo, non sempre si può subito concedere un
luogo speciale per tale liturgia o la possibilità di una Messa nel
rito di San Pio V, vuoi per il numero troppo basso dei fedeli, vuoi per
la mancanza del sacerdote. In tutte le cose ci vuole pazienza. Così
occorre avere pazienza anche con quei vescovi che non si aprono con facilità
alla realtà di questi loro fedeli legati alla precedente tradizione,
perché fino adesso non la considerano opportuna per l’unità
pastorale delle loro diocesi."
Partendo da questi elementi, cercheremo di capire qual è
l’effettivo stato della questione, precisando subito che qui considereremo
solo gli aspetti che possiamo chiamare “pastorali”, mentre per quanto riguarda
gli aspetti più propriamente tecnici occorre rifarsi all’articolo
di Niketas (qui pubblicato a pag. 21).
Mons. Perl sostiene che la “Pontificia Commissione non ha l’autorità
per costringere i Vescovi a concedere la celebrazione della messa secondo
il Messale romano del 1962.”
Ci siamo più volti chiesti come mai il Santo Padre avesse istituita
una apposita Commissione, nel 1988, senza fornirla dei necessarii poteri
per operare secondo le sue proprie finalità, e in effetti la Commissione
i poteri ce li ha, o dovrebbe averceli, stando a quanto deciso dallo stesso
Papa nel “Rescritto” del 18 ottobre del 1988. Pare però che avendo
il suo Presidente di allora, il card. Mayer, rinunciato ad esercitarli
essi siano misteriosamente svaniti.
Ora, se può considerarsi corretto che la Commissione non può
“costringere i Vescovi”, deve notarsi che, a maggior ragione,
questa stessa Commissione dovrebbe esercitare quei poteri che le sono stati
concessi dal Papa. Ci rendiamo conto che il card. Mayer, a suo tempo, e
in seguito i suoi successori, abbiano dovuto cedere alle pressioni dei
Vescovi tanto da rinunciare a svolgere il loro compito, e comprendiamo
benissimo che questo loro venir meno al proprio dovere abbia coinciso con
la volontà rinunciataria dello stesso Papa, ma questo non autorizza
nessuno a trattare i fedeli legati alla Tradizione come fossero degli sprovveduti.
La Commissione invece sembra muoversi con una certa disinvoltura lungo
questo percorso, abbracciando perfino le tesi più discutibili dei
Vescovi e dimostrando così di non avere veramente a cuore gli interessi
dei fedeli legati alla Tradizione, nonostante la sua stessa ragion d’essere.
Nelle risposte che abbiamo riportate prima si dice:
1 - Che il permesso dei Vescovi per la celebrazione
della S. Messa tradizionale sarebbe subordinata al numero dei fedeli richiedenti.
Ora, non v’è dubbio che si tratta di una incredibile
e risibile “scusa” avanzata dai Vescovi che sono contrari, per principio
e in maniera del tutto ingiustificata, alla celebrazione.
In realtà, anche se i fedeli si contassero sulle punte delle
dita non comprendiamo perché i Vescovi sarebbero autorizzati a trascurarli.
Forse che i Vescovi hanno il dovere di “aver cura” delle esigenze dei loro
fedeli solo se il loro numero supera una certa cifra?
È davvero incredibile! Le esigenze di quanti fedeli possono
costituire oggetto della cura pastorale del Vescovo? Cinque, dieci, cento,
mille? E se sono meno di una di queste cifre: possono andare all’inferno?
Ma come si fa a fare affermazioni come queste!
2 - Che altrettanto importanti sarebbero le “motivazioni”.
Quali motivazioni?
La celebrazione della S. Messa è richiesta dai fedeli che
si “sentono legati alla tradizione liturgica latina”: è questa la
motivazione, non ve ne sono altre. È questa la motivazione segnalata
in esclusiva nel Motu Proprio Ecclesia Dei: non si parla di altro! Non
si richiede altro!
Ora, se i Vescovi pretendono che i fedeli richiedenti debbano essere
in grado di sostenere preventivamente una sorta di esame di teologia dogmatica,
è ammissibile che un tale assurdità venga avallata dalla
stessa Commissione?
Vediamo: in una affermazione siffatta sembra si possa leggere che
i fedeli che richiedono la celebrazione della S. Messa tradizionale debbano
essere delle persone colte e preparate teologicamente. Come dire che nessun
fedele un po’ ignorante ha il diritto di vedere esaudita tale richiesta:
se non è in grado di addurre delle motivazioni che soddisfino il
Vescovo, vada pure all’inferno!
3 - Che la possibilità di concedere la celebrazione,
da parte del Vescovo, dipenderebbe anche dalla disponibilità dei
preti alla celebrazione stessa.
È chiaro che si tratta di una condizione del tutto campata
in aria, che non trova giustificazione alcuna, se non nella cattiva volontà
di certi Vescovi. Ma certo lascia alquanto sconcertati il fatto che la
Commissione la faccia sua.
Intanto si tratta di una supposta condizione del tutta contraddittoria
con quanto detto prima. Poiché, se ci fossero mille firme, accompagnate
da delle giustificazioni ineccepibili, per il solo fatto che non ci sarebbero
preti disponibili il Vescovo sarebbe legittimato a negare il permesso?
Forse, nella foga della diatriba, qualcuno dimentica che si sta
parlando della S. Messa, e non di uno spettacolo televisivo.
A parte il fatto che in mancanza di preti disponibili si potrebbe subito
osservare che sia il Vescovo a dire Messa, ma affermare che non vi sono
preti “disponibili” a celebrare col Messale del 1962 equivale a confessare
che i Vescovi hanno autorità e potere solo per negare la celebrazione
della S. Messa tradizionale: per il resto, nella Chiesa, ognuno fa come
gli pare.
Aggiungiamo solo una piccola cosa insignificante, col permesso dei
Vescovi e della Commissione.
I Vescovi che dichiarano di non avere dei “preti disponibili” sono
pregati di rivolgersi agli stessi fedeli richiedenti che saranno in grado
di fornire loro una “rosa di nomi”, con buona pace della Commissione.
4 - Che la celebrazione della S. Messa tradizionale
può essere concessa solo quando il Vescovo giudichi che si tratti
di “un valido servizio pastorale” o un elemento opportuno “per l’unità
pastorale delle loro diocesi.”
Anche qui si tratta di una giustificazione che non ha niente
a che vedere con quanto stabilito dal Santo Padre: come dire che la Commissione,
motu proprio, ha smesso di essere Pontificia per diventare Episcopale e
quindi servire la volontà dei Vescovi piuttosto che quella del Papa.
Ma anche a voler ammettere una simile giustificazione non v’è
dubbio che si pone il problema di capire in che cosa consista realmente
questo servizio pastorale e questa unità pastorale evocate.
In merito vi sono solo due possibili letture. O la celebrazione
della S. Messa tradizionale in una qualche Diocesi conduce inevitabilmente
allo sconvolgimento della vita della Diocesi stessa: e in questo caso si
deve pensare che questa Diocesi si regge su niente; o la celebrazione della
S. Messa tradizionale suscita delle forti proteste in seno alla Diocesi:
e in questo caso il Vescovo avrebbe l’obbligo di spiegare come mai nella
sua Diocesi la volontà del Pontefice venga subordinata alle opinioni
dei fedeli, magari della sua e di altri monsignori di Curia.
È incredibile che si possa ritenere che l’uso della liturgia
tradizionale non possa essere un servizio pastorale valido: come dire che
celebrare con la liturgia che la Chiesa ha usata per duemila anni può
solo portare del danno a questa stessa Chiesa.
È possibile che la Commissione non si renda conto che l’avallo
di posizioni come queste corrisponde all’avallo del rifiuto della liturgia
e della dottrina millenaria della Chiesa, e quindi al rifiuto della Chiesa
stessa?
5 - Che i fedeli non avrebbero alcun “diritto”
alla Messa tradizionale e che una tale affermazione sarebbe “scorretta”.
Col permesso di Mons. Perl ci permettiamo di affermare altrettanto
categoricamente che “è scorretto” quanto sostenuto da lui.
Nel Motu Proprio Ecclesia Dei sta scritto:
"6. Tenuto conto dell’importanza e complessità
dei problemi accennati in questo documento, in virtù della mia Autorità
Apostolica, stabilisco quanto segue:
c) inoltre, dovrà essere ovunque rispettato l’animo
di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina,
mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da
tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l’uso del Messale Romano secondo
l’edizione tipica del 1962 (9).”
Se, a rigore di testo, non si può parlare di “affermazione esplicita
di un diritto”, è del tutto indubitabile che il testo “costituisce
esplicitamente un dovere”: il dovere dei Vescovi a rispettare l’animo dei
fedeli “mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive…”, e
cioè con un’ampia e generosa concessione della celebrazione della
S. Messa tradizionale.
Che la Commissione non abbia alcun potere per “costringere i Vescovi”
non significa che abbia il diritto di cambiare le carte in tavola: a favore
dei Vescovi ribelli, contro le intenzioni del Santo Padre e avverso “l’animo
di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina”.
E da questo “dovere” esplicitamente “stabilito” dal Santo
Padre è del tutto inevitabile che derivi il “diritto” dei fedeli
ad ottenere dal Vescovo la piú “ampia e generosa” concessione per
la celebrazione della S. Messa tradizionale.
Altro che di semplice “richiesta” si tratta: il Santo Padre, nei confronti
dei Vescovi, “in virtù della sua Autorità Apostolica”, ha
“stabilito” che “dovrà essere ovunque rispettato”, con “un’ampia
e generosa applicazione” quello che di conseguenza può chiamarsi
solo un “diritto” dei fedeli che si “sentono legati alla tradizione liturgica
latina”.
Le cose stanno in maniera del tutto opposta a come sostenuto da Mons.
Perl.
Non solo, ma allorché i Vescovi decidono di “non rispettare”
quanto “disposto” dal Santo Padre mettono in essere un comportamento “illecito”,
passibile di censura, nei confronti del quale sarebbe stato interessante
ascoltare, anche solo qualche volta, una voce autorevole.
Visto che la Commissione afferma di non avere alcuna competenza, perché
non si astiene dal diffondere informazioni inesatte e contrarie alla espressa
volontà del Santo Padre?
6 - Che i cattolici non hanno diritto di ricevere
i Sacramenti in base al Rito di loro scelta.
In effetti, fino al Concilio le cose stavano così, per
il semplice fatto che per ogni àmbito ecclesiale esisteva un solo
Rito. Ma a partire dal Concilio la Chiesa Cattolica di Rito romano ha avuto
due Riti diversi, entrambi praticati con tanto di beneplacito del Papa:
il Rito tradizionale e il Rito riformato da Paolo VI.
Fino al 2002 il Rito tradizionale è stato praticato con alterne
vicende: in maniera contrastata e con i più ampi sospetti. A partire
dal 2002, con la costituzione dell’Amministrazione Apostolica San Giovanni
Maria Vianney, esso ha ripreso a godere appieno della legittimità
canonica.
La cosa più importante, però, che sconfessa quanto
affermato da Mons. Perl, è che i fedeli possono “scegliere” il Rito
in base al quale ricevere i Sacramenti: è quanto stabilito dal decreto
di erezione dell’Amministrazione Apostolica (Animarum bonum, IX, §
1), per cui i laici che riconoscono “di aderire alle peculiarità
di questa Amministrazione Apostolica” possono chiedere di farne parte manifestando
per iscritto la propria scelta.
Per concludere, corre l’obbligo di precisare che la Commissione
Ecclesia Dei sa benissimo che dal 1984, e poi dal 1988, è pur cambiato
qualcosa in seno alla Chiesa circa l’uso della liturgia tradizionale, anche
se molti hanno continuato a far finta di niente; e sa anche che a partire
dal gennaio del 2002 la situazione dell’uso dei libri liturgici del
1962 in seno alla Chiesa Cattolica di Rito Romano non è piú
di tipo “eccezionale”, come sostiene Mons. Perl. Con la costituzione dell’Amministrazione
Apostolica di Campos, la liturgia tradizionale (e non solo la S. Messa)
ha ripreso la sua posizione di “legittimità” e di “normalità”
all’interno della Chiesa.
Vero è che si potrebbe obiettare che nel caso di Campos si tratterebbe
di una situazione particolare, ma è proprio in forza di questa situazione
particolare eppure definitiva che oggi non è piú possibile
affermare che l’uso della liturgia tradizionale “attualmente costituisce
una eccezione alla legge della Chiesa”, come se si trattasse di una situazione
transitoria e contingente, magari in attesa di essere definitivamente superata,
come a volte ha avuto modo di dichiarare questa stessa Commissione.
Al contrario, oggi si può affermare legittimamente che la presunta
eccezionalità dell’uso della liturgia tradizionale è stata
del tutto risolta e definita canonicamente, così che oggi tale uso
fa parte, a pieno titolo, della legge della Chiesa. Semmai si potrà
parlare di una inspiegabile mancanza di apposite norme che ne regolino
l’applicazione; e in questo senso si può legittimamente chiamare
in causa la Commissione stessa che, in base al suo dovere d’ufficio, avrebbe
dovuto preoccuparsi di elaborare e comunque di sollecitare l’emanazione
di tali norme.
Concludiamo precisando che, contrariamente a quanto comunemente si
crede e a quanto saltuariamente e ingiustamente si cerca di far credere,
ambienti competenti della Curia romana sono convinti che, in ordine a questa
spinosa questione dell’uso dei libri liturgici del 1962, la Chiesa abbia
una precisa e chiara “legge”, la quale non viene applicata correttamente
dai Vescovi.
La Commissione Ecclesia Dei farebbe bene ad approfondire tale aspetto
della questione, comportandosi finalmente in maniera tale da aiutare concretamente
i fedeli ad esigere dai Vescovi l’applicazione di tale “legge”; e se davvero
si ritenesse che la “legge” attuale non sia sufficiente, la Commissione
dovrebbe adoperarsi in tutti i modi per giungere alla definizione di uno
stato giuridico tale da imporre ai Vescovi il compimento di un loro dovere.
(giugno 2005)
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