Scismatici ed eretici?

Un’accusa contro la Fraternità San Pio X

Seconda parte



Articolo di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Seconda parte
Prima parte


Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X

La Porte Latine

Fonte: Courrier de Rome, n° 674, aprile 2024





Altare della Cappella Notre Dame du Carmel


Tradovacantismo?

Dell’obbedienza ben intesa


1. L’obbedienza – anche se dovuta al Vicario di Cristo – è una virtù morale che fa parte della giustizia, e come tale si colloca nel giusto mezzo (14). Infatti, la virtù morale è alla base di un’azione propriamente umana, compiuta secondo tutta la perfezione richiesta, perfezione di un essere dotato di ragione – e noi sappiamo che «la perfetta ragione rifugge da ogni estremo».
L’obbedienza occupa quindi il posto di mezzo, dice l’Aquinate «tra l’eccesso e il difetto». Il suo oggetto è né più né meno che il precetto (o il comandamento) legittimo di un superiore umano (15). Questo precetto richiede l’obbedienza come una cosa che gli è dovuta – e l’obbedienza attua allora un’opera di giustizia – nella misura in cui è legittima, cioè nella misura in cui è l’espressione del governo di Dio, che governa le creature inferiori non direttamente da Sé, ma tramite creature superiori (16). Quando il precetto non è più l’esatta espressione di tale governo divino, l’obbedienza cessa, per mancanza dell’oggetto. Esigere o dare la sottomissione della volontà ad un precetto simile costituirebbe allora un comportamento vizioso, opposto per eccesso al bene della vera obbedienza.

2. L’obbedienza ben intesa, l’obbedienza virtuosa, esclude dunque di per sé, come scrive Don Hilaire Vernier (17), «la sottomissione agli abusi di potere», foss’anche provenienti dalla gerarchia ecclesiastica. Abusi di potere che, come spiega San Tommaso, possono presentarsi in due modi (18).
In primo luogo, quando il precetto di un superiore umano contraddice un precetto di un superiore di un ordine più elevato, per esempio quando il comandamento dell’uomo contraddice quello di Dio: non vi è alcuna obbedienza possibile nei confronti di un governo che legittimasse degli atti contrari alla legge divina naturale del Decalogo, per esempio l’eutanasia o l’aborto.
In secondo luogo, quando il precetto del superiore umano riguarda un ambito che non gli appartiene, poiché violerebbe la sfera privata e l’autonomia fisica o morale dell’individuo: così, non vi è alcuna obbedienza possibile nei confronti di un governo che vorrebbe imporre alle famiglie una limitazione delle nascite entro un numero determinato di figli o il controllo della loro vita privata attraverso l’installazione di telecamere nel loro domicilio (compresi i bagni).
San Tommaso ricorre qui, come Seneca, all’autorità del buon senso: «« Errat si quis existimat servitutem in totum hominem descendere – Sarebbe errato voler imporre il peso della propria autorità su l’uomo nelle sua interezza», su tutti gli ambiti e tutte le zone della vita dell’individuo.


Delle diverse posizioni male intese

3. Qual è allora la differenza tra la posizione 1, che Don Vernier presenta come quella delle Comunità  Ecclesia Dei, e la posizione 2, che sarebbe seguita dalla Fraternità San Pio X? Quale differenza vi è tra l’obbedienza della Fraternità San Pietro, ritenuta virtuosa perché esclude «la sottomissione agli abusi di potere» e la posizione dei discepoli di Mons. Lefebvre, per i quali il principio dell’obbedienza permane, ma non deve applicarsi nei fatti «nel caso di crisi provocata dalla gerarchia»?
Siamo seri: il reverendo qui giuoca con le parole; o più esattamente, la Fraternità San Pio X va fino al fondo della virtù, non applicando il principio dell’obbedienza di fronte all’abuso generalizzato di potere che dilaga in maniera abituale nella santa Chiesa di Dio a partire dal concilio Vaticano II, mentre la Fraternità San Pietro, pur ammettendo in teoria i giusti limiti dell’obbedienza, li oltrepassa nella pratica. Più profondamente ancora, tutto dipende dalla natura precisa di questa «crisi provocata dalla gerarchia»; essa rappresenta o no un abuso di potere sufficientemente grave e abituale, perché l’obbedienza si scontri con seri limiti?

4. Ancora molto più radicalmente, non si tratta, nell’intenzione della Fraternità San Pio X, di un principio che rimane in teoria, ma che non deve applicarsi nella pratica. E’ il principio stesso che non cessa, ma che continua al contrario ad essere applicato nella pratica, fino in fondo, e questo in ragione di tutte le sue esigenze.
Poiché è lo stesso principio della virtù che rifiuta tutti i difetti e tutti gli eccessi che gli si oppongono, ed è quindi l’obbedienza stessa che impone di rifiutare tutte le novità introdotte nella Chiesa nel corso dell’ultimo Concilio.
Così si esprimeva Mons. Lefebvre in una conferenza spirituale dara ad Ecône il 10 aprile 1981: «Non vi è nessuno come noi che sia attaccato all’obbedienza al Magistero del Papa, dei concilii e dei vescovi. Noi siamo i più  attaccati della Chiesa, io penso, io spero, e vogliamo esserlo, all’obbedienza al Magistero dei Papi, dei concilii e dei vescovi. Ed è perché siamo giustamente attaccati a questo Magistero che non possiamo accettare un magistero che non è fedele al Magistero di sempre» (19).

5. Questa capacità di discernere, all’interno stesso di un principio, tutte le virtualità di cui esso è portatore e di dedurne le conclusioni pratiche appropriate alle circostanze eccezionali è una forma particolare di prudenza, analizzata come tale da San Tommaso: «Giustamente, talvolta accade che si debba agire senza osservare le comuni regole dell’azione. Questo perché bisogna giudicare questi casi secondo dei principi più elevati delle regole comuni […] E secondo questi principi più elevati è richiesta una più alta virtù» (20). E San Tommaso aggiunge: «Considerare la totalità delle cose che possono presentarsi al di fuori del corso comune appartiene solo alla Provvidenza divina. Ma tra gli uomini, colui che è più perspicace può giudicare con la sua ragione un più alto numero di questi casi. E tale è il ruolo della gnômè [giudicare], che implica una certa perspicacia di giudizio» (21). Ne dipende tutta la valutazione di questa «crisi provocata dalla gerarchia»; e questo ha tutta la sua importanza.

6. Poiché, per l’esattezza, le diverse posizioni elencate da Don Vernier nascono nel contesto del dopo Vaticano II, cioè in una circostanza che tutti concordano nel riconoscere come una eccezione – e sempre più con Papa Francesco. Ed è per questo che giustamente queste posizioni non potrebbero trovare la loro spiegazione profonda in motivi puramente dottrinali.
In effetti, una cosa è manifesta: nessuna delle posizioni elencate intende mettere in discussione i dogmi fondamentali relativi alla natura e alle proprietà della Chiesa, che il nostro reverendo ricorda con tutta l’ingenuità di chi sfonda le porte aperte. Tutti i sostenitori delle posizioni elencate professano la fede nel dogma cattolico della indefettibilità della Chiesa; ed è anche in nome di essa che intendono giustificare, in un modo o in un altro, il loro modo di agire nel contesto straordinario citato prima.

7. Sarebbe allora vano, per non dire ridicolo, brandire la torta alla crema dell’“ecclesiovacantismo» e di agitare lo spettro dell’eresia o dello scisma. Poiché i fatti sono quelli che sono e sono semplici e chiari. Dopo aver introdotto, col pretesto dell’ecumenismo e della libertà religiosa, l’indifferentismo e il liberalismo nella predicazione e nella pastorale della gerarchia ecclesiastica, il Papa attuale e la maggioranza dei vescovi sono sul punto di estendere questo liberalismo nel dominio della morale.
La gravità della situazione appare tale agli occhi di più d’uno tra i cattolici di obbedienza ufficiale, ed è ormai lontano il tempo in cui solo il defunto Mons. Lefebvre e i suoi giovani discepoli denunciavano la «Roma neomodernista e neoprotestante».
Per due volte, dei cardinali conservatori hanno presentato a Papa Francesco dei dubia, la prima volta nel 2016 su delle proposizioni di Amoris laetitia, giudicate sospette; la seconda volta nel 2023, sulle diverse proposizioni che rendono problematico il rapporto fra la Rivelazione divina e il Magistero ecclesiastico.
Ad esse si aggiunge, nel 2017, la Correctio filialis firmata da sessantadue personalità cattoliche, chierici e laici, che denunciava come eretiche sette proposizioni presentate in Amoris laetitia, e che chiedeva al Santo Padre di emettere una pronta e chiara condanna.
E che dire delle recenti alla Dichiarazione Fiducia supplicans (22)? 
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Papa Francesco ritiene che questo documento ha «suscitato molte vive reazioni» e che quindi «dovrà essere oggetto di un esame più approfondito».
Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ex Prefetto dell’ex Congregazione per la Dottrina della Fede, ritiene che «benedire una realtà contraria alla creazione è, non solo impossibile, è una blasfemia», e che quindi un prete che benedicesse una coppia omosessuale commetterebbe un «sacrilegio».
Il cardinale Robert Sarah ha detto che questa Dichiarazione costituisce «un’eresia che mina gravemente la Chiesa».
Il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, suggerisce le dimissioni dell’autore del testo: il cardinale Víctor Manuel Fernández.
Da parte loro, i Domenicani della provincia di Tolosa hanno esposto le loro critiche nella Revue thomiste.
Il testo di Fiducia supplicans è giudicato dal Padre Emmanuel Perrier «incoerente, in contraddizione col Magistero e generatore di confusione» (23), e questo giudizio non è passato inosservato alla stampa cattolica ufficiale, poiché il giornalista Matthieu Lasserre ha sentito l’obbligo di parlarne nel giornale La Croix (24).
Quanto al Padre Thomas Michelet, professore di teologia alla Pontificia Università dell’Angelicum, si è fatto eco delle riserve di Padre Perrier nell’analisi che fatto della Dichiarazione (25) ed ha anche espresso delle riserve molto ben fondate, per usare un eufemismo.


Dell’eccesso di zelo

8. Lo zelo di Don vernier ha indubbiamente qualcosa di cavalleresco, e l’ardore con cui si dispone a distruggere tutto ciò che poteva sembrare mettere in dubbio e mettere in pericolo il dogma dell’indefettibilità della Chiesa, nonché la sua visibilità, avrebbe meritato, in altre circostanze, un’approvazione senza riserve.
Sfortunatamente, questo zelo e questa foga appaiono chiaramente fuori misura, viste le circostanze della crisi che ancora imperversa, e di male in peggio, in seno alla Chiesa. In questo contesto, il teologo, come anche il semplice fedele, deve evitare un duplice pericolo (26).
Ed è il pericolo in cui incappa il buon servitore del Vangelo. Questi, scrivevamo (27), «è lodato dal Signore per essere stato non solo fedele ma prudente».
La fede e la prudenza, lungi dall’escludersi, devono prestarsi un mutuo appoggio. L’una non potrebbe essere perfetta, e neanche vera, senza l’altra. La fede senza la prudenza degenera in fanatismo». Il fanatismo di una fede priva della prudenza trova la sua espressione in tutti coloro che misconoscono l’intera portata delle circostanze nelle quali i principii necessari – e qui si tratta di dogmi come quello dell’indefettibilità della Chiesa – devono trovare la loro verifica. Fanatismo di coloro che, per misurare tutta la gravità degli errori introdotti nella predicazione e nella pastorale degli uomini Chiesa, in occasione del concilio Vaticano II, misconoscono le circostanze eccezionali in cui si trovano proprio i titolari dell’autorità che si fanno fautori di queste eresie: ed allora essi si precipitano a concludere che il Papa non è più Papa, come fanno i sedecavantisti, o che deve essere rifiutato ogni contatto con la Roma attuale, come pretendono i sostenitori della supposta «Resistenza».
Fanatismo anche di coloro che per valutare che sono proprio i titolari dell’autorità che avallano tutte le novità introdotte nel corso del concilio e dopo, misconoscono sia ogni pregiudizio che costoro arrecano alla fede dei cattolici, sia la gravità assoluta degli errori a cui aprono la via: questi allora si precipitano a concludere che nessuna opposizione deve trovare la sua espressione di fronte agli atti abusivi dell’autorità ritenuta legittima; e questa è la precipitazione che sottintendono le argomentazioni Don Vernier.

9. Questi ha voglia a dire, ma non è meno vero che le circostanze attuali nelle quali i cattolici sono chiamati a professare la loro fede presentano una duplice difficoltà apparentemente insolubile, che il solo richiamo al dogma dell’indefettibilità della Chiesa non basta ad eludere.. «Se il Papa, scrivevamo (28), cade nell’eresia o quanto meno apre abitualmente la porta all’eresia, delle due l’una. O cessa di essere Papa e i cattolici riconoscono come Chiesa di Cristo una Chiesa priva del capo visibile; o egli rimane Papa e i cattolici riconoscono come Chiesa di Cristo una Chiesa il cui capo visibile compromette gravemente, e in maniera abituale, la fede cattolica.
Sul piano della dottrina, cioè dal punto di vista della conformità con i dati della Rivelazione, nessuna di queste due conclusioni è accettabile. In pura teoria e per conformarsi ai dati elementari del suo Catechismo, il cattolico non può riconoscere come vera Chiesa di Cristo: né una Chiesa abitualmente priva del capo visibile, né una Chiesa provvista di un Capo visibile che spiana la strada all’eresia».
Come dire che il dogma dell’indefettibilità della Chiesa deve andare di pari passo con quello della sua santità, principalmente la santità della sua dottrina. E le circostanze attuali sembrano obbligare il cattolico a concludere che l’uno escluderebbe l’altro, cosa evidentemente assurda.

10. E’ per questo che noi abbiamo parlato volutamente di «precipitazione» per qualificare l’attitudine di coloro che, come il nostro reverendo della Fraternità San Pietro, vorrebbero in nome del dogma suggerire delle soluzioni troppo semplici – o quanto meno anatemizzare delle posizioni ispirate da una riflessione anche solo un poco attenta alle circostanze. La precipitazione è infatti un’attitudine viziosa opposta alla virtù della prudenza (29), e ha radici in un’altra attitudine viziosa che è la sconsideratezza, cioè (30) nella misconoscenza delle circostanze concrete dell’agire. Sono queste ultime che, in questo marasma del dopo Vaticano II, devono dettare per una parte non trascurabile le riflessioni del teologo e del semplice fedele.


Del sedevacantismo

11. Ecco perché, se si vuol dare una valutazione la più giusta possibile della tesi del «sedevacantismo», nel senso più ampio del termine – e tale che implichi non solo la tendenza assoluta ma anche la tendenza mitigata -  è necessario fare alcune distinzioni (31).

12. Senza dubbio sì, a lungo andare, la posizione che rifiuta di riconoscere, anche solo momentaneamente, a causa di circostanze straordinarie, la realtà di un Capo visibile a capo di tutta la Chiesa, conduce allo scisma e all’eresia. Ma conduce solamente e non equivale direttamente ad esse.
Infatti, scrivevamo (32), «la posizione sedevacantista equivale ad un rifiuto non di principio ma di fatto, poiché essa si spiega in ragione delle circostanze successive al concilio Vaticano II». Il sedevacantismo si definisce precisamente come «il rifiuto di essere in comunione con l’attuale occupante della Santa Sede a Roma, cioè non con ogni occupante della Santa Sede, ma con quegli occupanti che si ritiene abbiano attualmente una intenzione abituale ed oggettiva contraria al bene comune della Chiesa».
Una tale attitudine quindi non è propriamente e formalmente uno scisma. Essa rappresenta a prima vista e formalmente, in maniera diretta, un peccato contro la prudenza. Non rappresenta un peccato diretto e immediato contro l’unità della Chiesa, frutto della carità, anche se, in chi lo adotta, può portare a uno stato d’animo scismatico e a lungo andare causare uno scisma vero e proprio.

13. Ancora senza dubbio, l’eresia consiste nel rifiutare di professare che il vescovo di Roma è il Capo di tutta la Chiesa, ed essa corrisponde ad un peccato grave contro la fede. Tuttavia, sottolineiamo che l’eresia, se ve n’è una in maniera diretta, formale e immediata, deve consistere a negare una proposizione universale e necessaria, poiché, come tale, deve professare che nessun vescovo di Roma è Capo di tutta la Chiesa.
«La posizione sedevacantista in effetti nega una proposizione particolare e contingente, poiché esprime un giudizio relativo a delle circostanze. L’eresia afferma per principio che il vescovo di Roma non può essere il Capo della Chiesa. Il sedecavantismo afferma che di fatto un certo eletto designato vescovo di Roma non ha ricevuto il Sommo Pontificato. Esso non nega che egli possa riceverlo in seguito, né che altri l’abbiano potuto ricevere e in effetti l’abbiano ricevuto» (33).
Una tale proposizione quindi non è direttamente eretica, in maniera immediata e formale. essa rappresenta tutt’al più un peccato contro la prudenza, non un peccato contro la fede.

14. in ogni caso, il peccato è certo grave e perfino gravissimo. Mons. Lefebvre non mancò di sottolinearlo. «La questione della visibilità della Chiesa è troppo necessaria alla sua esistenza perché Dio possa ometterla per decenni» e diceva ai suoi seminaristi degli anni prima del Concilio: «Il ragionamento di coloro che affermano l’inesistenza del Papa mette la Chiesa in una situazione inestricabile» (34). Egli scrisse perfino un giorno a Padre Guérard des Lauriers per dirgli perché non approvava la di lui attitudine. «Nel mio comportamento pratico non è l’inesistenza del Papa che fonda la mia condotta, ma la difesa della mia fede cattolica. Ora, Lei crede in coscienza di doversi attenere alla prima, che purtroppo getta lo scompiglio e causa delle violente divisioni, cosa che io ci tengo ad evitare» (35). E ciò che Mons. Lefebvre gli rimproverava era per prima e innanzi tutto la mancanza di prudenza: «Se lei ha l’evidenza della decadenza giuridica di Papa Paolo VI, io comprendo la sua logica conseguente; ma personalmente io ho un dubbio serio e non una evidenza assoluta» (36).
Si vede bene come l’attitudine di Mons. Lefebvre, che perdura oggi nella Fraternità San Pio X, sia stata sempre ispirata innanzi tutto dalla prudenza: «Finché non avrò l’evidenza che il Papa non è Papa» - diceva ancora Mons. Lefebvre - «io presumo che sia Papa, io non dico che non si possano avere degli argomenti che possano creare un dubbio in certi casi, ma bisogna avere l’evidenza, che non sia solo un dubbio, un dubbio valido. Se l’argomento è un dubbio non si ha il diritto di trarne delle conseguenze enormi!» (37).

15. Mons. Lefebvre ha quindi rifiutato la tesi sedevacantista. Egli vi vedeva un errore grave, ma che ai suoi occhi era innanzi tutto un errore di imprudenza. Il passo in cui Mons. Lefebvre si spiega sull’argomento nella maniera più esplicita è nella conferenza del 5 ottobre 1978. Egli vi afferma che la sua posizione è dettata dalla prudenza, non da ciò che sarebbe una posizione dogmatica assoluta. Dopo aver enunciato la sua posizione dice: «Questo non vuol dire che io sia assolutamente certo di avere ragione nel prendere la mia posizione. Io la prendo soprattutto in una maniera, direi, prudenziale, prudenza che spero sia la saggezza di Dio, che spero sia il dono del consiglio, in definitiva prudenza soprannaturale. E’ piuttosto in tale ambito che io mi colloco, e direi, forse più che nell’ambito puramente teologico e puramente teorico».
Con questo il dubbio resta sempre possibile, poiché sul piano pratico non è sempre possibile agire con delle certezze assolute. Malgrado tutto resta un certo margine di incertezza, una certa parte di esitazione, ma insufficienti per rimettere in discussione la parte giudicata «sicura», la parte più sicura, date le circostanze.

16. Da dove viene allora questo margine di esitazione, e con essa il dubbio?
Il dubbio sorge da tutta la nuova predicazione, da tutta la nuova pastorale che, a partire dal concilio Vaticano II, negano sempre più nei fatti la Tradizione della Chiesa e aprono sempre più le porte all’eresia e all’apostasia. Di fronte a questi fatti, il riconoscimento pacifico dell’elezione del Papa resta quello che è: non la causa, ma il segno della legittimità del Papa. Non può dare più di una probabilità ed esprime solo la certezza di una prudenza, tenuto conto di tutte le altre circostanze. Ed è qui che l’esitazione (perché il dubbio è né più né meno che un’esitazione, e non certo la probabilità dell’ipotesi contraria) rimane legittima, proprio in considerazione di queste circostanze esterne all’elezione e della sua accettazione apparentemente pacifica.
Anche in questo caso, l’argomentazione perentoria di Don Vernier rimane troppo miope, non riuscendo a valutare l’importanza di queste circostanze.


Della Fraternità San Pio X

17. La «posizione» 2, che secondo Don Vernier avrebbe sempre seguito la Fraternità San Pio X, non è una. Poiché non si tratta precisamente di una «posizione», nel senso in cui si potrebbe intendere con questo un principio dogmatico. E’ qui che fin dall’inizio della sua analisi il turiferario del movimento Ecclesia Dei fraintende – originariamente si potrebbe dire - sulla natura esatta della difficoltà da risolvere.
Pertanto, la soluzione non sarà quella di rivendicare un principio dogmatico, quello dell’indefettibilità della Chiesa, contro un altro, quello di una «posizione» che negherebbe, anche se solo in pratica o implicitamente, tale principio.
La soluzione è falsa, poiché i dati del problema sono stati falsati in anticipo, falsati perché mal compresi.
Di un problema che agli occhi della Fraternità San Pio X si pone essenzialmente da un punto di vista pratico e prudenziale, il reverendo della Fraternità San Pietro fa un problema dogmatico. A partire da là, la sua analisi può solo sfiorare la vera attitudine di Mons. Lefebvre e dei suoi continuatori.
In termini consolidati questo si chiama «irrilevanza». Il buon Aristotele vi vedeva il sofismo della «ignoratio elenchi», quello in cui l’argomentatore misconosce la vera natura del problema che si pone.

18. «Noi non rifiutiamo l’autorità del Papa, ma ciò che egli fa» (38).
Vi è qui una grande differenza tra il dire che il Papa non è Papa e dire che il Papa  non agisce come Papa.
La prima affermazione è quella del sedevacantismo ed è radicale, poiché essa non ammette la possibilità dell’agire del Papa, non ammettendo l’esistenza stessa del Papa da cui deve derivare il suo agire.
La seconda affermazione è quella della Fraternità San Pio X ed è l’espressione di una prudenza che tiene conto dei fatti, poiché ammette la possibilità dell’agire del Papa, ammettendo l’esistenza del Papa, anche se tiene conto del fatto che il Papa, essendo infettato dagli errori del neo modernismo, non agisce come Papa. Anche se questo agire modernista del Papa, che paralizza il suo agire da Papa, resta prevalente al punto che il Papa non agisce quasi mai come Papa; la ragione per la quale la Fraternità è portata a non obbedire al Papa è fondamentalmente diversa da quella del sedevacantismo.

19. La torta alla crema dell’«ecclesiovacantismo» potrebbe facilmente – financo troppo facilmente – ritorcersi contro il suo autore.
A furia di voler evitare la vacatio della Chiesa, si finisce con l’avallare, certo inconsciamente, la vacatio della sua dottrina, la vacatio della Tradizione; e oggi con Papa Francesco perfino la vacatio della sua teologia morale.
E’ questo il rischio che corrono i teologi del movimento Ecclesia Dei, ma è il rischio che è inscritto nell’atto di nascita di queste Comunità dette di «tendenza tradizionale», che si trova nel motu proprio Ecclesia Dei Adflicta del 2 luglio 1988 (39), che ha dato loro il nome.

20. Nel suo trattato sulla virtù dell’ubbidienza, San Tommaso d’Aquino osserva che l’uomo può considerare la ricerca di due benefici molto diversi (40).
Tra questi due vi è il vantaggio che l’uomo è necessariamente tenuto ad ottenere, come per esempio amare Dio «o qualcosa del genere» - e si pensa qui alla necessità della professione della fede cattolica, così come alla necessità di riconoscere alla testa della Chiesa un Capo visibile. E l’Aquinate dichiara con ragione che un tale vantaggio non può in alcun modo essere omesso con l’obbedienza…  Noi lasciamo ai lettori del Courrier de Rome la cura di giudicare quale sarebbe la migliore attitudine da seguire per non tralasciare, nemmeno per obbedienza, né l’uno né l’altro di questi due vantaggi, quello della fede integra e quello della visibilità del Papa.
In ogni caso ci sembra indubitabile che la teologia di Don Vernier non riesca in questo intento.



NOTE

14Somme théologique, 2a2ae, questione 104, articolo 2, ad 2.
15 - Somme théologique, 2a2ae, questione 104, articolo 2, corpus.
16 - Somme théologique, 2a2ae, questione 104, articolo 1, corpus.
17 - Si veda l’articolo « Et schismatiques et hérétiques » nel presente numero del Courrier de Rome.
18Somme théologique, 2a2ae, questione 104, articolo 5, corpus.
19 - Vatican II : l’autorité d’un concile en question, capitolo XVIII, Rivista «Vu de haut» n° 13, p. 50.
20 - Somme théologique, 2a2ae, questione 51, articolo 4, corpus.
21 - Ibidem, ad 3.
22 - Cf. « Fiducia supplicans » sull’Encyclopédie numérique Wikipédia, https://fr.wikipedia.org/wiki/Fiducia_supplicans nonché la pag del 25 gennaio 2024 del sito Fsspx Actualités : https://fsspx.ch/fr/news/la-revue-thomiste-critique-severement-fiducia-supplicans-42090
23 - Emmanuel Perrier, op, « Fiducia supplicans face au sens de la foi », articolo pubblicato sulla pag del 23 gennaio 2024 del sito della la Revue thomiste
https://revuethomiste.fr/contenu-editorial/chroniques/lumieres-et-grains-de-sel/
fiducia-supplicans-face-au-sens-de-la-foi

24 - Matthieu Lasserre, « Bénédiction des couples homosexuels : les dominicains de Toulouse entrent dans le débat » nel giornale La Croix,‎ du 24 gennaio 2024
25 - Thomas Michelet, op, « Peut-on bénir Fiducia supplicans ? » articolo pubblicato sulla pag del 23 gennaio 2024 del sito della Revue thomiste
https://revuethomiste.fr/contenu-editorial/chroniques/
lumieres-et-grains-de-sel/peut-on-benir-fiducia-supplicans
26 - Cfr gli articoli apparsi nel numero di agosto-settembre del Courrier de Rome : «Les cornes d’un dilemme » ; « Réfutations » ; « L’Eglise est-elle visible ? », nonché l’articolo « Fidelis servus et prudens » apparso nel numero di maggio 2019 dello stesso.
27 -Articolo « Fidelis servus et prudens » nel numero di maggio 2019 del Courrier de Rome, n° 1.
28 - Articolo « Les cornes d’un dilemme » nel numero di agosto-settembre 2020 del Courrier de Rome, n° 17.
29 - Somme théologique, questione 53, articolo 3.
30 - Somme théologique, questione 53, articolo 4.
31 - Si veda l’articolo « L’occupant du du Saint-Siège de Rome est-il aujourd’hui réellement Pape ? » nel numero di febbraio 2016 del Courrier de Rome.
32 - Articolo « L’occupant du du Saint-Siège de Rome est-il aujourd’hui réellement Pape ? » nel numero de febbraio 2016 del Courrier de Rome, n° 18.
33 - Articolo « L’occupant du Saint-Siège de Rome est-il aujourd’hui réellement Pape ? » nel numero di febbraio 2016 del Courrier de Rome, n° 19.
34 - Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône del 5 ottobre 1978.
35 - Mons. Lefebvre, Réponse écrite au Père Guérard des Lauriers.
36 - Mons. Lefebvre, Réponse écrite au Père Guérard des Lauriers.
37 - Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône del 16 gennaio 1979.
38 - Mons. Lefebvre, « La visibilité de l’Eglise et la situation actuelle » in  Fideliter n° 66 del novembre-dicembre 1988.
39 - Si veda l’articolo « Et schismatiques et hérétiques » nel presente numero del Courrier de Rome [qui].
40 - Somme théologique, 2a2ae, questione 104, articolo 3, ad 3.






Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011.




 
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