Perché la Fraternità San Pio X non può, né deve riconciliarsi con la Roma attuale

di Albert Laurent


Per prendere in considerazione un dialogo fecondo, bisogna attendere che le autorità romane smaltiscano la sbornia delle idee conciliari.


Articolo pubblicato sul sito francese Boulevard Voltaire, il 21 ottobre 2014






Per prendere in considerazione un dialogo fecondo, bisogna attendere che le autorità romane smaltiscano la sbornia delle idee conciliari.

Se la ripresa ufficiale dei negoziati fra il Vaticano e la Fraternità San Pio X, fondata da Mons. Lefebvre, è stata segnalata da diversi media, pochi osservatori sembrano valutarne tutta la portata.
Il comunicato della Santa Sede pubblicato dopo l’incontro tra le autorità della Fraternità e il cardinale Müller, Prefetto della Congregazione della Fede, indica che i colloquii hanno lo scopo di giungere alla «piena riconciliazione» tra le parti. Il comunicato della Fraternità parla invece di «chiarire i punti di divergenza che sussistono».
Al di là del carattere diplomatico dei termini impiegati, il problema è veramente ben posto da una parte e dall’altra?

In effetti, tutta l’opera della Fraternità San Pio X e delle comunità che ad essa sono associate, poggia su una salvaguardia e una battaglia.
Innanzi tutto la salvaguardia: di fronte alla rivoluzione operata dal Vaticano II nella liturgia, nell’insegnamento della fede, nel governo della Chiesa, nei rapporti della Chiesa col mondo, è stato necessario mettersi insieme per conservare intatte la Messa e la dottrina, per trasmettere fedelmente il sacerdozio, in una parola: per conservare la fede di sempre.
E questo è anche una battaglia:  questo mettersi insieme, realizzato negli anni ’60 e che dura da 50 anni, non è né sentimentale, né nostalgico di un passato superato; esso è innanzi tutto dottrinale. È fondato sul seguente convincimento: la maggior parte degli uomini di Chiesa, soprattutto in occasione del concilio Vaticano II, si sono lasciati impregnare da un pensiero liberale, naturalista e umanista che non è quello di Gesù Cristo. Da dove viene questo convincimento? Non unicamente dall’osservazione dei frutti del Concilio («l’albero si giudica dai frutti», dice il Vangelo), ma anche dal fatto che la Chiesa, ancor prima della tempesta, aveva preavvisato i suoi figli. Morto cento anni fa, il Papa San Pio X aveva magnificamente diagnosticato il male e gli aveva dato un nome: modernismo.

La Fraternità San Pio X, dunque, si definisce come salvaguardia della fede, dei sacramenti, del sacerdozio e della vita religiosa, e combattente, per Cristo, contro gli errori che ne allontanano le anime; questi due elementi, strettamente connessi, formano, per così dire, il suo DNA.

Ne deriva che, a meno di rinunciare a ciò che costituisce il suo proprio essere, la Fraternità San Pio X non saprebbe che farsene di un pezzo di carta che sancisse una pretesa «riconciliazione».
Ciò che conta per la Fraternità è il bene di tutta la Chiesa. Ciò che conta è esistere ed agire in modo che la Chiesa, voltando infine la pagina del Concilio, ritrovi la sua tradizione piena ed intera. Porre nella prospettiva di questi contatti romani il «ristabilimento dell’amicizia tra persone che hanno litigato» (“riconciliazione” secondo il Littré [vocabolario francese]), significa non essere all’altezza delle gravi obiezioni sollevate dalla Fraternità fin dal suo nascere e rimaste senza una reale risposta.

Ma questo significa che Roma e la Fraternità sono condannate a non intendersi mai?
Per prendere in considerazione un dialogo fecondo, bisogna attendere che le autorità romane smaltiscano la sbornia delle idee conciliari. Ora, è gioco forza constatare che a tutt’oggi il Vaticano II resta la magna carta del papa e dei vescovi. Basta leggere un’enciclica e osservare che le referenze si richiamano quasi esclusivamente al magistero conciliare. Basta sottolineare lo zelo nel voler canonizzare tutti i papi del Concilio e del post-Concilio, malgrado – talvolta – gli ostacoli serii che si presentano (come Giovanni Paolo II che bacia il Corano). Basta valutare certe dichiarazioni di papa Francesco.

Tutto questo indica che Roma non è ancora pronta ad ascoltare la voce della tradizione apostolica, che tuttavia è la sua voce.

In questa storia, bisogna armarsi di pazienza, pregare, e predicare «in tempo opportuno e inopportuno».



ottobre 2014

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