COMUNIONE
AI DIVORZIATI RISPOSATI
E
SCOMUNICA
AI CATTOLICI TRADIZIONALI



di A. Nonim

A scanso di equivoci premetto che io non sono né un aderente, né un simpatizzante della Fraternità S. Pio X.

E’ di pochi giorni fa la Notificazione ai Parroci sulla “Fraternità S. Pio X” del Vescovo di Albano Mons. Marcello Semeraro che qui allego [fondo pagina].

Non ho nulla da obiettare sulla irregolarità canonica della Fraternità e sulla illegittimità del ministero esercitato dai suoi ministri.
Mi sembra invece assolutamente fuori luogo, parlare di rottura della comunione con la Chiesa cattolica, come ritiene Mons. Semeraro, citando una vecchissima Nota pastorale di un suo Predecessore, il Vescovo Dante Bernini, per quanto questi sia stato un degnissimo e santo vescovo.

Arrivare poi addirittura a diffidare i fedeli dal richiedere e ricevere i Sacramenti nella Fraternità S. Pio X, ammonendoli che altrimenti si metterebbero fuori della comunione con la Chiesa cattolica, lascia stupefatti e si potrebbe ipotizzare per il Vescovo uno sconfinamento dall’ambito di esercizio della sua potestà.

La Fraternità S. Pio X non è stata mai scomunicata e mai sono state dichiarate invalide né le ordinazioni sacerdotali, né quelle episcopali, né le celebrazioni eucaristiche, né l’amministrazione dei Sacramenti. Sono stati scomunicati soltanto Mons. M. Lefebvre, per le illecite consacrazioni episcopali, e i vescovi da lui consacrati. Tali scomuniche sono state poi revocate da Benedetto XVI.
Ora se scomunicare significa estromettere dalla comunione, per conseguenza logica revocare la scomunica significa riammettere nella comunione.
Se a ciò poi si aggiunge che la S. Sede riconosce come veri vescovi quelli consacrati (illegittimamente, ma validamente) da Mons. Lefebvre, si capisce fin troppo chiaramente come sia del tutto contraddittorio e inammissibile considerare, come sancisce Mons. Semeraro, che siano fuori della comunione della Chiesa cattolica coloro che vanno a Messa o ricevono i sacramenti nella Fraternità S. Pio X.

Essere fuori della comunione significa essere scomunicati; ma se scomunicata non è la Fraternità S. Pio X, non lo sono nemmeno i fedeli che la frequentano. Si tratta soltanto di illegittimità e di irregolarità. In altre parole è solo questione di indisciplina.
Ma quanta indisciplina c’è stata e c’è ancora nella Chiesa, nonostante i severi richiami dall’Alto, da parte di tanti preti, che manomettono la Liturgia a loro piacimento, fino ad atti che rasentano la profanazione, senza mai che i Vescovi intervengano? 

D’altra parte considerare come un delitto degno di scomunica il rimanere nella dottrina, nella liturgia e nella tradizione della Chiesa così come questa era ed è stata per secoli, significherebbe ripudiare la Chiesa come è sempre stata, e questo sì che sarebbe un fatto gravissimo gravido di pericoli di scisma.

Lo dice chiaramente anche Benedetto XVI nella Lettera ai Vescovi con la quale accompagna il suo Motu proprio Summorum Pontificum: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può improvvisamente essere proibito o, addirittura, giudicato dannoso».
Mons. Semeraro nel proibire, e con ciò giudicando dannosa la frequentazione sacramentale nella Fraternità S. Pio X, al punto da considerare scomunicati coloro che in essa ricevono i sacramenti e assistono alla S. Messa celebrata secondo il venerando e secolare rito tridentino, mette in non cale, se non addirittura contesta le succitate parole di Benedetto XVI, per quanto ciò possa essere al di là delle sue intenzioni.
   
Io ho sempre avuto un debole per la Liturgia così come veniva celebrata prima della riforma scaturita dal Conc. Vat. II, perciò ho esultato di gioia per la decisione di Benedetto XVI di concedere ad ogni sacerdote la facoltà di celebrare Messa con il messale di S. Pio V, tant’è che ogni volta che posso, ben volentieri e con gran profitto spirituale, mi avvalgo della celebrazione con tale messale. Per cui, se io avessi desiderio di partecipare a qualche Vespro solenne (o anche a una solenne Messa) celebrato in latino e canto gregoriano nell’antica ritualità, e non ci fosse nessuna chiesa o comunità dove si celebra tale liturgia, e quindi io mi recassi nella chiesa della Fraternità S. Pio X (ancorché non ne condivida la posizione canonica), secondo Mons. Semeraro io sarei fuori della comunione con la Chiesa cattolica?!
Assurdo!

Significherebbe che con una santissima celebrazione io mi metterei fuori della comunione dei Santi!
Rottura della comunione con la Chiesa cattolica per aver partecipato a una Santa Messa! Rottura della comunione con la Chiesa cattolica per aver partecipato a un Vespro solenne! Rottura della comunione con la Chiesa cattolica per aver pregato insieme a dei fratelli, che sono solo in situazione canonicamente irregolare!

Ma la preghiera non è il primo passo da fare in campo ecumenico? Abbracci e baci con i non cattolici, ma diffida per quelli che vogliono pregare insieme a dei fratelli cattolici, che sono soltanto (se si vuole) “indisciplinati”?!
 
Tutto il rispetto e l’obbedienza al Vescovo, e anche la comprensione per le sue sollecitudini pastorali, ma non mi sembra che rientri nell’ambito della sua potestà il proibire di pregare insieme ad altri fratelli cattolici (anzi cattolicissimi), tanto più in considerazione del fatto che il pregare insieme è il primo passo da fare in campo ecumenico.

Se il Papa, abbracciando e baciando Ebrei (che rifiutano il Cristo), mussulmani (che non credono alla divinità di Cristo e si propongono di eliminare gli “infedeli” e condannare a morte chi si converte al cristianesimo), ortodossi (che non riconoscono il primato giurisdizionale del Papa) e protestanti (che non credono alla verginità di Maria e rifiutano alcuni sacramenti), ci vuole invitare a rapporti fraterni con costoro, esortando anche a pregare insieme, senza dimenticare che lui si è persino inchinato per ricevere la benedizione  dal Primate anglicano, la cui ordinazione sacerdotale ed episcopale è invalida, e quindi è un laico, come si potrebbero per coerenza ripudiare dei cattolici, che sono soltanto indisciplinati, per la loro ferma volontà di rimanere legati alla Chiesa come è stata per secoli fino al Concilio Vat. II?

Di che cosa vengono accusati gli aderenti alla Fraternità S. Pio X, per doverli tenere a distanza e nemmeno pregare con loro?
Di essere rimasti fermi alla Chiesa preconciliare?
O grave delitto nel quale i cattolici hanno perseverato per secoli! 
Abbracci e baci agli eretici, ma alla larga da costoro!
Con buona pace della conciliare Unitatis redintegratio!
   
C’è bisogno di aggiungere altro?




Diocesi suburbicaria di Albano

NOTIFICAZIONE AI PARROCI SULLA “FRATERNITA’ SAN PIO X”


Nelle ultime settimane sono pervenute alla Curia Diocesana richieste di chiarimento circa la celebrazione dei Sacramenti presso la «Fraternità San Pio X» di Albano Laziale.

Al riguardo si ritiene doveroso precisare che la suddetta “Fraternità” non è una istituzione (né parrocchia, né associazione) della Chiesa Cattolica.

Ciò vale anche successivamente al decreto della Congregazione dei Vescovi del 21 gennaio 2009 con cui il Santo Padre Benedetto XVI, andando benignamente incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della Fraternità San Pio X, revocava la scomunica nella quale fin dal 30 giugno 1988 erano incorsi quattro Presuli della stessa Fraternità.

Ciò è stato sottolineato da Benedetto XVI con la sua Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica del 10 marzo 2009: «la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» (in AAS CI [2009], n. 4, p. 272). Lo stesso Benedetto XVI, nella successiva Lettera m.p. Ecclesiae Unitatem del 2 luglio 2009 ha ribadito: «la remissione della scomunica è stata un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica per liberare le persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente rimangono e, finché non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun ministero» (in AAS CI [2009], p.710-711).

A seguito di quanto sopra, è doveroso ribadire quanto già formulato nella Nota Pastorale sulla Fraternità San Pio X del Vescovo Dante Bernini, dove si legge:

I fedeli cattolici non possono partecipare alla Messa, né richiedere o/e ricevere sacramenti dalla o nella Fraternità. Agire diversamente significherebbe rompere la comunione con la Chiesa cattolica.

Pertanto qualunque fedele cattolico che richiede e riceve Sacramenti nella Fraternità San Pio X si porrà di fatto nella condizione di non essere in comunione con la Chiesa Cattolica. Una riammissione nella Chiesa Cattolica dovrà essere preceduta da un adeguato percorso personale di riconciliazione, secondo la disciplina ecclesiastica stabilita dal Vescovo.

Spiace sinceramente che talune opzioni, specialmente se riferite all’Iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, siano in contrasto con gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana e con le scelte conseguenti della Diocesi di Albano, dove sono privilegiati percorsi formativi per la crescita e la maturazione della vita di fede.

Ai Parroci il compito di dare adeguata informazione ai fedeli.

Dalla Curia di Albano, 14 ottobre 2014, Prot. 235/14.


                                                                                                       Marcello Semeraro, vescovo





ottobre 2014

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