È arrivata la normalizzazione forzata

di Belvecchio



 
Qua e là è stata riportata la notizia che i genitori di una bambina sono stati condannati al carcere per non aver mandato la figlia a scuola.
È accaduto in Germania e non si è trattato di un caso isolato, ma di un episodio che rientra in una prassi ordinaria. Non volendo far sottostare la loro figlia alla propaganda sessuale, che comprende lo spettacolo di ogni genere di atto sessuale, normale e anormale, e l’istigazione ad accettare come cosa ordinaria il rifiuto del genere sessuale naturale a favore della libera scelta dello stesso (!?), il padre e la madre sono stati condannati al carcere per non aver adempiuto all’obbligo dell’istruzione obbligatoria dei figli.

Per quanto la cosa possa apparire grottesca, c’è un elemento di base che sfugge a tanti commentatori.
L’attenzione infatti si sofferma sull’aspetto della cosiddetta “educazione sessuale”, che di primo acchito appare evidentemente una forzatura ed un’abominevole stortura; ma a questo punto un certo rifiuto genitoriale è tardivo.
Il male non sta nell’obbligatorietà dell’educazione sessuale, ma semplicemente nell’obbligatorietà in sé, disposta da uno Stato, non solo il tedesco, che intende sottoporre i bambini e i ragazzi ad un’inculturazione partigiana: coerente col pensiero moderno, ma decisamente e violentemente volta a trasformare i giovani in adepti della guerra contro Dio, che è la cifra caratteristica di questo mondo anomalo e votato all’autodistruzione.

Già l’idea dell’istruzione scolastica vista come fattore indispensabile di crescita, è una stortura macroscopica che sottrae i figli all’educazione dei genitori e li consegna all’educazione di massa, come fossero polli in batteria. Ma questo non è un caso, perché così si ottiene un risultato importante che, unito all’uso della moderna tecnologia – giornali, radio, televisione, computer e internet – riesce a monopolizzare il pensiero e il sentire dei giovani, facendone dei perfetti esecutori del piano di sovversione che guida il mondo moderno.
Ovviamente, tutto questo passa attraverso una parola d’ordine che, pur essendo una totale contraddizione, serve a far credere all’uomo moderno di essere “libero”: l’istruzione statale di massa è fattore di crescita e di libertà.

Se noi uomini moderni non fossimo accecati dalla martellante pubblicità, ci accorgeremmo che non c’è mai stato un tempo e una civiltà nelle quali l’uomo sia mai stato così totalmente asservito al pensiero unico dominante. Nessuna meraviglia, dunque, se questo stesso mondo ricorra ai mezzi coercitivi per impedire che qualcuno pensi di potersi “liberare” di tale schiavitù.
La coerenza del mondo e degli Stati è a suo modo più che legittima e fondata, è l’incoerenza dei singoli che non presenta alcuna giustificazione e determina dei cortocircuiti tali da far perdere il minimo di raziocinio rimasto.

Lo stesso insegnamento cattolico, per quel poco che è rimasto di esso, si esime dal rifiutare l’educazione di Stato e di sostenere l’educazione familiare. Si battaglia per l’istruzione privata, che non è accessibile a tutti per i suoi costi ingiustificati, e ci si dimentica di sostenere l’istruzione familiare, che potrebbe essere condotta dagli stessi genitori o da persone disponibili e di loro fiducia.
Che razza di libertà è mai questa che vieta ai genitori di educare i proprii figli?

A nulla vale l’obiezione che tanti genitori non sarebbero in grado di assolvere questo compito, sia per mancanza di preparazione, sia per mancanza di tempo, perché si tratta solo di una scappatoia, visto che i cattolici potrebbero organizzarsi in modo da provvedere a questa necessità. La struttura organizzativa della Chiesa potrebbe benissimo sostenere un impegno del genere, sempre che si volesse farlo. Il problema vero è, invece, che nessuno intende educare i giovani cattolici al cattolicesimo, e meno che mai la nuova gerarchia ecclesiastica, ormai appiattita sulle direttive di questo mondo senza Dio.

Ci rendiamo conto che questo nostro argomentare ha più connotazioni ideali che ancoraggi pratici, ma come si può pretendere minimamente di criticare l’imposizione di Stato e la suggestione di massa, senza prima aver delineato un quadro ideale di riferimento nel quale far rientrare la critica e, se necessario, il rifiuto e la lotta?

Il caso dei genitori incarcerati in Germania è decisamente aberrante, ma non si può denunciarlo e combatterlo sulla base del “principio di libertà”, poiché è proprio sulla base di questo principio che il mondo moderno impone le aberrazioni e il divieto di rifiutarle.
Non è la coercizione volta a fare accettare ogni porcheria che va combattuta, ma i cattolici possono e debbono combattere questo mondo fin dai suoi presupposti, perché è su di essi che si fonda la coercizione lamentata.

Ed è ozioso richiamarsi alla immaginaria possibilità di discutere la problematica, il metodo della discussione e del confronto serve solo a questo mondo per imporre a tutti, più o meno subdolamente, i suoi principii e le sue direttive: i nostri padri non si misero a discutere se fosse più o meno possibile e corretto adorare gli idoli, si rifiutarono semplicemente di farlo.
Ma questo comporta una sorta di istigazione al martirio!
Di grazia, cosa è possibile praticare in questo mondo alla rovescia se non il rifiuto di esso con tutte le conseguenze relative?
E se poi si conclude che non si può predicare il martirio, anche perché quasi più nessuno è disposto a perseguirlo e tanto meno a subirlo, allora non si perda tempo, ipocritamente, a far finta di ribellarsi di fronte alla galera ammannita ai genitori tedeschi: chi pecora si fa il lupo se la mangia.





novembre 2014

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