Alfredo Ottaviani

“Il Baluardo”



recensione di Don Curzio Nitoglia





Le Edizioni Effedieffe (info@effedieffe.com) hanno ristampato, novembre 2014, la seconda edizione de Il Baluardo del card. Alfredo Ottaviani  (Roma, Ares, 1961).
In questo libro (250 pagine, 14 euro) si trovano raccolte le omelie e le conferenze del porporato apparse dal 1951 al 1960, cioè durante gli anni in cui iniziava la penetrazione del neomodernismo nel vertice della Chiesa”, il quale si proponeva di abbattere i bastioni che separavano la Chiesa  dalla Modernità soggettivista e relativista.

Contro questa mentalità di resa al Mondo moderno Ottaviani si eresse come un Baluardo, proprio come lo Stendardo di Cristo si erge contro quello di Lucifero negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio da Loyola (nn. 136-148, I due Stendardi).
Nell’omelia, che pronunciò il dì di Pentecoste del 1960 nella Basilica di S. Marco in Venezia, Ottaviani disse: “Che dire della profondità di grazia concessa al Capo della Chiesa con la incomparabile assistenza dello Spirito Santo? Gli Apostoli uniti col primo Papa, in quello che fu il primo Concilio ecumenico di Gerusalemme, potevano  suggellare con l’impronta del Divino le loro decisioni: è sembrato allo Spirito Santo e a noi. E lo stesso potrà ripetere Giovanni XXIII assieme ai Vescovi adunati nel prossimo Concilio Ecumenico: è sembrato allo Spirito Santo e a noi” (Il Baluardo, cit. p. 105).

Nel 1960, però, era ancora il S. Uffizio, con Ottaviani a capo, che dirigeva e redigeva gli Schemi preparatori (i quali inizialmente avrebbero dovuto essere dogmatici e definitori) del futuro Concilio, che si aprì due anni dopo: l’11 ottobre del 1962. Dunque il cardinale poteva pregare e insistere nel far pregare per Giovanni XXIII, come ha ripetuto più volte nel corso della sua omelia: “supplicate per lui ogni giorno, starei per dire ogni ora” (Il Baluardo, cit. p. 107), dacché conosceva le inclinazioni modernistiche del card. Angelo Roncalli, affinché lo Spirito Santo lo assistesse come Pietro nelle definizioni dogmatiche della dottrina cattolica.
Infatti, avrebbe dovuto essere dogmatico anche il futuro Concilio, il quale invece nel 1962 fu trasformato in pastorale. Così, senza l’assistenza specifica del Paraclito (dovuta alle definizioni infallibili) si produsse un allontanamento dagli Schemi preparatori di Ottaviani per giungere agli Schemi pastorali dei “nuovi teologi” (già condannati da Pio XII e dallo stesso Ottaviani nel 1940/1950), intrisi di neomodernismo, contro i quali egli combatté con tutte le sue forze sino alla fine del Vaticano II.  

Alfredo Ottaviani nacque nel 1890 a Roma. A diciotto anni entrò nel Pontificio Seminario Romano dell’Apollinare. Nel 1916 venne ordinato sacerdote e fu nominato professore di filosofia scolastica al Pontificio Collegio Urbaniano “de Propaganda Fide” e di Diritto Pubblico Ecclesiastico, che diverrà la sua materia preferita, nell’Ateneo Giuridico dell’Apollinare.
Nel 1921 venne chiamato come sostituto alla Segreteria di Stato, dopo quattordici anni di lavoro presso la diplomazia vaticana, nel 1935 passò alla Suprema Congregazione del S. Uffizio come assessore. Dopo diciassette anni nel 1947 ne divenne Pro-Prefetto, nel 1967 si dimise e nel 1968 le sue dimissioni furono accolte, ma ne restò membro “emerito” sino al 1969. Morì il 3 agosto del 1979.

Emilio Cavaterra nel 1990, per il 100° anniversario della nascita del “carabiniere della Chiesa” (come Ottaviani amava definirsi), ha potuto consultare il diario, che il cardinale aveva iniziato a compilare sin dai primi anni di seminario e ne ha ricavato un interessante libro Il prefetto del Sant’Offizio. Le opere e i giorni del cardinale Ottaviani, (Milano, Mursia, 1990), che cito qui di séguito.

Sin da giovane seminarista Alfredo è ben orientato non solo filosoficamente e teologicamente, ma anche nella lotta contro i nemici della Chiesa (vedi cap. 3°, pp. 37-55, “Chiesa e antichiesa”, del 1956). Infatti nel suo diario scriveva già nel 1915, appena venticinquenne, un anno prima della sua ordinazione sacerdotale: «la massoneria e l’ebraismo imperano per mezzo del Ministro Sidnei Sonnino» (E. Cavaterra, cit., p. 19).
Nel 1935 Pio XI chiama Ottaviani come assessore al S. Uffizio e se ne serve nel 1937, essendo egli già ammalato di tumore, per la stesura dell’Enciclica sul comunismo ateo, materialista e “intrinsecamente perverso” Divini Redemptoris missio del 19 marzo 1937 (E. Cavaterra, cit., p. 27).
Il 16 giugno del 1941 apprende la notizia «di un prossimo attacco tedesco all’Urss» e annota nel suo diario «Finis Bolscevismi» (E. Cavaterra,  p. 41), ma non per questo era un “nazi-cattolico”.
Il 4 marzo del 1948 Pio XII lo convoca in gran segreto per formare una ‘Commissione preparatoria’ di un futuro Concilio ecumenico per la «ridefinizione dei vari punti della dottrina cattolica minacciati da errori non soltanto teologici, ma anche morali e filosofici, e perfino da abbagli sociologici. Egli è preoccupato per i gravi problemi che il comunismo pone alla Chiesa ad ovest […] e per gli irenismi e i compromessi di alcune frange del mondo cattolico occidentale, che ha imboccato la via in discesa dell’opulenza» (E. Cavaterra, p. 6).
All’interno della Chiesa c’è il neo-modernismo. Papa Pacelli ordina a mons. Ottaviani di iniziare i lavori preliminari nel massimo riserbo. Ma «via via che si procede nell’elaborazione della fase preparatoria del futuro Concilio, le cose si complicano, le vedute divergono, i rapporti si incrinano in seno alla Commissione medesima» (E. Cavaterra, p. 7). Pio XII allora blocca tutto (E. Cavaterra, ivi).

Le omelie, conferenze e articoli del card. Ottaviani raccolti nel presente volume (Il Baluardo, Roma, Ares, 1961; II ed., Viterbo/Milano, Effedieffe, 2014) trattano di questi argomenti, che già agitavano gli animi del medesimo Ottaviani e di Pio XII, i quali erano in piena sintonia nella lotta contro il neomodernismo.

Il 1° luglio del 1949 viene promulgato il Decreto di scomunica per coloro che professano la dottrina atea e materialistica del marxismo comunista, Decreto riconfermato il 4 aprile del 1959 e ritenuto da Ottaviani ancora in vigore in una intervista che rilasciò nel 1975 (E. Cavaterra, p. 59).
Nel 1950 collabora alla stesura della Humani generis (12 agosto 1950) che condanna la “nouvelle théologie” lanciata da Teilhard de Chardin, così definito dal Nostro: «non è un teologo, ma un poeta che fa teologia e talvolta è un panteista che identifica Gesù con il cosmo, […] volendo naturalizzare il soprannaturale» (E. Cavaterra,  p. 54 e 55).

Durante il Concilio Vaticano II è celebre la battaglia riguardo alla “Libertà religiosa” (Dignitatis humanae) nella quale il card. Agostino Bea si scontrò col card. Ottaviani il 19 giugno del 1962, che era specialista in materia, avendo insegnato alla Lateranense ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’ per numerosi anni durante i quali pubblicò le famose Institutiones Juris Publici Ecclesiastici in 3 volumi (Roma, 1936) ed inoltre anche Doveri dello Stato cattolico verso la Religione (Città del Vaticano, Libreria del Pontificio Ateneo Lateranense, 2 marzo 1953), che sarà ripubblicato integralmente su sì sì no no prossimamente.

Ottaviani difendeva la Tesi bellarminiana insegnata comunemente e ininterrottamente dai Padri ecclesiastici sino a Pio XII sulla cooperazione subordinata dello Stato rispetto alla Chiesa, data la gerarchia del fine (naturale per lo Stato e soprannaturale per la Chiesa) (1), mentre Bea presentò un documento (De Libertate religiosa) diametralmente opposto per principio a quello del card. Ottaviani (De Tolerantia religiosa) e all’insegnamento comune e costante della Tradizione.

Il 19 giugno del 1962 alla vigilia del Concilio (11 ottobre), durante l’ultima seduta della ‘Commissione preparatoria’, vi fu uno scontro verbale violento tra i due; mons. Marcel Lefebvre che assistette al duello narra: «il card. Ottaviani si alza e, segnandolo col dito, dice al card. Bea: “Eminenza, lei non aveva il diritto di fare questo schema, perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della Commissione di Teologia”. E il card. Bea alzandosi dice: “Scusi, avevo il diritto di fare questo schema come presidente della Commissione per l’Unità: se c’è una cosa che interessa l’unità è proprio la libertà religiosa”, e aggiunse rivolto al card. Ottaviani: “Mi oppongo radicalmente a quanto dite nel vostro schema De Tolerantia religiosa”» (2). Il cardinal Ruffini dovette constatare il grave dissenso tra i due porporati e riferire a Papa Giovanni, che avocò a sé la questione dibattuta e permise allo schema di Bea di continuare il suo iter, per il quale si giunse alla Dichiarazione conciliare sulla Libertà religiosa (Dignitatis humane personae).
Inoltre Giovanni XXIII il 20 novembre del 1962, dopo la discussione e votazione sulle “Fonti della Rivelazione”, dietro richiesta del card. Frings concesse una deroga al regolamento del Concilio, che prevedeva i 2/3 dei voti per bocciare uno Schema della ‘Commissione preparatoria’ e ne abbassò la quota al 50% + 1. Roncalli «superando la lettera del Regolamento […], sbloccò una crisi estremamente complessa, decidendo che la votazione riguardante lo schema “De fontibus Revelationis”, che era stato elaborato in prospettiva interamente “romana”, equivaleva ad un respingimento del testo (20 novembre 1962). Qualche giorno dopo il Papa affidò la rielaborazione dello schema in questione a una commissione mista. […]. Con questa decisione papa Giovanni liberò il Concilio appena iniziato dalla duplice ipoteca che gli oratori della scuola romana avevano cercato di imporre alla corrente maggioritaria: abolì il divieto di respingere gli schemi preparatori […], e inoltre tolse l’ipoteca del monopolio dottrinale che il card. Ottaviani non aveva mai cessato di reclamare per la propria commissione preparatoria» (3) .

Storico è anche l’altro scontro (8 novembre 1963) che Ottaviani ebbe con il card. Frings sulla collegialità. Ottaviani in quell’occasione disse a Frings che “chi vuol essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da Pietro che è il Pastore, e non sono le pecore [i vescovi] che debbono dirigere Pietro, ma è Pietro che deve guidare la pecore [i vescovi] e gli agnelli [i fedeli]”.
Il caso più eclatante è quello del 30 ottobre del 1962 quando al card. Ottaviani, che parlava in aula sulla liturgia ed aveva superato i 10 minuti di tempo, venne spento il microfono dal card. Alfrink tra gli applausi dei neomodernisti (4). Ogni commento è superfluo, il ‘maggio del 1968 francese’ è iniziato in Vaticano già nel 1962.
Il card. Giuseppe Siri commenta: «in lui [Ottaviani], la fermezza delle decisioni si esprimeva in aspetti oratori piuttosto forti: non aveva paura di niente, il suo temperamento in difesa della verità lo rendeva molto battagliero» (5).

Inoltre ancora attende una risposta la “Lettera di presentazione del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” dei cardinali Ottaviani e Bacci (6), nel quale è detto che il nuovo Rito rappresenta «sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della S. Messa, quale formulata nella Sessione XIII del Concilio di Trento. […]. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere al legislatore l’abrogazione della legge stessa». Un altro insigne giurista e canonista, il card. Alfons Maria Stickler, ha sempre detto che tale ‘Lettera di presentazione’ attende ancora una risposta che le è dovuta.
Nell’estate del 1965 Ottaviani scrive nel suo diario: «prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno morirò cattolico» (7).

Il 18 novembre del 1965 Paolo VI tramite il “motu proprio” “Regimini Ecclesiae Universae” cancella l’aggettivo di “Suprema” che aveva caratterizzato la “Congregazione del S. Uffizio”. Al vertice della Chiesa vi è oramai la Segreteria di Stato: la politica prevale sulla purezza della Fede.
Mons. Simicic ha raccontato che «Ottaviani commentò il fatto dinanzi a un gruppo dei suoi collaboratori: “Ricordatevi, questo è un giorno nero per la Storia della Chiesa, perché non si tratta di titoli, bensì di sostanza. Infatti, finora il supremo principio di governo della Chiesa era la dottrina rivelata, la cui custodia e retta interpretazione nella Chiesa è affidata in primo luogo al Papa, che si serviva della Suprema Congregazione del S. Uffizio. Ora temo che, come criterio ispiratore del governo della Chiesa, prevarrà quello diplomatico e contingente. Prevedo che la Chiesa ne subirà molti danni» (8).

Nel 1967 il cardinale rassegna le dimissioni per non contribuire allo smantellamento del S. Uffizio, le dimissioni sono accolte nel 1968, ma il cardinale resta “Prefetto emerito” e quindi sempre membro della neo Congregazione, nella quale può ancora far ascoltare la sua voce sino al 1969, quando sarà dimesso totalmente per limiti di età.
Nel 1969 «subisce tutto il suo crepuscolo esistenziale […], ma non si lascia vincere dallo scoramento, anche perché sa perfettamente di essere da parte della verità» (9).
Ancora il card. Siri scrive: «Può darsi che qualche volta a lui abbia nuociuto un po’ il suo carattere; direi che si infiammava. Parlava con convinzione, il che lo portava a parlare anche forte. Ma la strada fu sempre giusta. Sempre» (10).

Il 23 novembre del 1970 esce il “motu proprio” di Paolo VI che esclude gli ottantenni dal Conclave. Ottaviani rilascia delle interviste in cui dice che tale provvedimento non ha forza di legge, poiché contrario al diritto naturale. La cosa non piace al card. Garrone che scrive ad Ottaviani, il quale annota nel suo diario: «lettera al cestino» (11).

Il 20 novembre muore la sorella Rosvilde che era stata sempre al suo fianco quale “perpetua” e il cardinale resta solo. Gli rimane l’Oasi di S. Rita in Frascati, da lui fondata per l’educazione delle ragazze abbandonate. Molte volte vi si recherà per incoraggiare le sue allieve e per trovare conforto a tanta solitudine.

Nel 1972 il cardinale ritorna sulla qualifica della “pastoralità” del Vaticano II e annota nel diario: «L’arte pastorale consiste nel saper applicare i principi ai casi concreti» (12). Quindi il Vaticano II non ha voluto enunciare o definire principi di Fede e Morale, ma si è limitato a dire come questi avrebbero dovuto essere applicati nelle circostanze del mondo contemporaneo degli anni Sessanta.

Nel 1973 risponde con una lettera al sacerdote messicano don Salvador Abascal, che gli aveva inviato il suo libro intitolato Sede vacante. Il cardinale che vedeva bene i problemi nati col Vaticano II non approvava tale soluzione sedevacantista totale, poiché le sue conseguenze giuridiche avrebbero portato alla annichilazione della Chiesa gerarchica, come l’ha fondata Gesù (13).

Nel 1974 trova ancora la forza, benché ottantaquattrenne, di sostenere la “crociata del referendum abrogativo della legge sul divorzio” passata in Italia nel 1969. Purtroppo l’indecisione di Paolo VI e dell’Episcopato italiano impediranno la vittoria: «Paolo VI era in dubbio se l’iniziativa dovesse partire dall’Episcopato o dai laici». Ottaviani qualifica tale dubbio, annotato sempre nel suo diario, come «ragionamento di lana caprina» (14). Soprattutto papa Montini non voleva che si presentasse il referendum abrogativo come una “Crociata” e quindi fu una resa o una “Caporetto” (come la definì Ottaviani) prima ancora di combattere. Da lì scaturirono moltissimi altri disastri antropologici e morali in Italia (l’aborto diverrà “legale” nel 1978).

Nel 1975 l’America abbandona il Vietnam e il Nostro annota: “Guai a confidare negli uomini” (15). L’8 dicembre 1975 cadono i dieci anni della chiusura del Vaticano II, «Ottaviani non va (e lo scrive nel suo diario) alla funzione» (16). L’ultima speranza umana si riaccende in lui quando Giovanni Paolo II il 19 novembre del 1978 riceve mons. Lefebvre e sembra voler sistemare la situazione, ma non se ne farà nulla. Oramai il cardinale si prepara all’incontro con la morte, che lo coglierà il 3 agosto del 1979. Le sue spoglie riposano nella chiesa di San Salvatore in ossibus accanto a quella del suo maestro card. Borgongini Duca.

La vita e le opere del cardinale Alfredo Ottaviani ci insegnano l’amore della Verità, che animò il porporato e che sola ci “farà liberi” (Gv., VIII, 31) e l’accettazione delle umiliazioni, dalle quali sole nasce la vera umiltà di cuore (S. Ignazio da Loyola, Esercizi spirituali, nn. 165-167, I tre gradi di umiltà).
Secondo il card. Pietro Palazzini, nella “Presentazione” al libro in questione, «la verità liberatrice, potrebbe essere la categoria fondamentale, la chiave di lettura dell’essere e dell’operare del cardinale Alfredo Ottaviani» (17). Egli ha saputo percepire «con eccezionale acume e con impressionante lungimiranza l’intimo disordine e gli amari sviluppi» (18) delle novità che iniziavano a serpeggiare già negli anni Quaranta e che esplosero durante il Vaticano II.
La Chiesa durante la vita del porporato era aggredita ad extra dal comunismo sovietico e ad intra dal neo-modernismo, che fu condannato nel 1950 da Pio XII coadiuvato dal porporato, ma che si riprese la rivincita contro il cardinale dopo la morte di papa Pacelli, quando nell’assise conciliare il porporato venne «isolato e mal tollerato» (19) dai modernisti condannati da Pio XII e promossi da Giovanni XXIII. Il primo dovere della attività del cardinale fu «l’amore per la purezza e l’integrità dottrinale» (20). Egli ha cercato nel corso della sua attività curiale di «offrire la linea della giusta direttiva del cammino, nella continua lotta tra il bene e il male. […]. Non rifuggì dalla lotta quando questa si palesava dura e delicata insieme; dovette quindi servire la Chiesa da posizioni spesso scomode, talvolta di isolamento»  (21).

Gli avvenimenti del post-concilio «sembrano rendere giustizia al cardinale “cecuziente” [come lo chiamava, non senza un pizzico di malizia, Giovanni XXIII], ma soprannaturalmente illuminato. Il tempo è il miglior giudice della storia!» (22). Mentre gli “apostoli dell’ottimismo forsennato”, anche se naturalmente provvisti di buona vista, hanno clamorosamente sbagliato la “profezia di ottima ventura”, che prevedeva l’accordo pacifico tra il mondo contemporaneo e la Chiesa di Cristo. Mai previsione fu tanto errata e smentita dai fatti.

Il cardinale Ottaviani può essere paragonato ad un altro grande porporato, che dopo la morte di s. Pio X ebbe a soffrire molto da parte dei modernisti, Raffaele Merry del Val, il quale nelle “Litanie dell’umiltà” ci ha lasciato il quadro di ciò che aspetta coloro che vogliono servire Cristo e non il Mondo: “essere dimenticati, isolati, messi da parte, calunniati, scherniti, disprezzati, non consultati, non ricercati”. Così è stato per i due cardinali, così è per “coloro che vogliono piamente servire Cristo: persecutionem patientur” (s. Paolo). Ma come diceva s. Filippo Neri: “Preferisco il Paradiso! Vanità di vanità, ogni cosa è vanità. Tutto il Mondo e ciò che ha, ogni cosa è vanità. Se tu avessi ogni linguaggio, e tenuto fossi saggio, alla morte che sarà? Ogni cosa è vanità».
Il motto del card. Ottaviani era “semper idem / sempre lo stesso”. Che Egli ci aiuti a restare fedeli alla immutabilità sostanziale del dogma, della morale naturale e della Liturgia di Tradizione apostolica per sentirci dire il giorno del Giudizio: “Euge, serve bone et fidelis, quia in pauca fuisti fidelis intra in Gaudium Domini tui / Orsù, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco entra nella Gioia del tuo Signore”.

NOTE
1 -
Vedi inoltre l’intervento del card. A. Ottaviani del 23 settembre 1964, in A. S., lib. III, cap. 2, p. 283 e l’intervento del 17 settembre 1965 in A. S., lib. IV, cap. 1, p. 179. Ottaviani parlava di “tolleranza pratica” delle false religioni, poiché solo il vero ha diritti, mentre Bea insisteva sulla “libertà di diritto” di tutte le religioni. Ora se vero e falso, male e bene hanno pari diritti, teoreticamente si nega la sinderesi (“malum vitandum, bonum faciendum”) e praticamente il principio di identità e non contraddizione, secondo il quale “il vero è il vero, il falso è il falso e il vero non è il falso”.
2 -  M. Lefebvre, Il colpo da maestro di satana, Milano, Il Falco, 1978, pp. 13-14.
3 -  J. Grootaers, cit., p. 37; cfr. anche G. Alberigo, Jean XXIII et Vatican II, in “Jean XXIII devant l’histoire”, Parigi, 1989, p. 193-195.
4 -  T. Oostveen, Bernard Alfrink vescovo cattolico, Assisi, Cittadella editrice, 1973, p. 76.
5 -  Citato in E. Cavaterra, Ibidem, p. 70.
6 -  Quando il card. Antonio Bacci muore nel 1971, Paolo VI non si reca ai suoi funerali, come abitualmente fa il Papa per ogni cardinale di Curia, poiché Bacci nel 1970 aveva prefato il libro di Tito Casini La tunica stracciata, fortemente critico nei confronti della Nuova Messa (v. E. Cavaterra, Ib., p. 95).
7 -  Citato in E. Cavaterra, Ib., p. 80.
8 -  Citato in E. Cavaterra, Ib., p. 85.
9Ib., p. 114.
10 -  Citato in E. Cavaterra, Ib., p. 114.
11Ib., p. 125.
12Ib., p. 135.
13Ib., p. 142.
14Ib., p. 148.
15Ib., p. 153.
16 Ib., p. 154.
17Ib., p. V.
18Ivi.
19Ivi.
20Ivi.
21Ib., p. VI.
22Ivi.




novembre 2014

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