LETTERA AL PAPA EMERITO


di L. P.

AL PAPA EMERITO
CARDINAL JOSEPH RATZINGER
00120 CITTA’ DEL VATICANO

Oggetto: questioni di fede


Eminenza rev.ma.:
                               con sommo, devoto e filiale rispetto quale a Lei si deve, con pari sincera umiltà ma con altrettale deferente franchezza mi permetto rappresentarLe alcune mie riflessioni in merito ad alcune sue esternazioni apparse, in questi giorni, sulla stampa internazionale, su temi di attualità già posti all’o. d. g. dell’ultimo Sinodo straordinario  tenutosi l’ottobre scorso, in ordine, cioè, all’accesso dei divorziati risposati al sacramento dell’Eucaristìa e al ruolo ecclesiale di costoro in quanto tali.

Nell’intervista concessa al giornalista Joerg Bremer del Frankfurter Allgemeine – ripresa da quasi tutti i grandi organi di informazione – Lei ha palesemente puntualizzato la propria attuale ortodossa convinzione e, nel contempo, ha dichiarato immutata la dottrina della Chiesa che vieta l’accesso alla Comunione dei divorziati risposati. In un momento come questo, in cui la confusione lacera le certezze dogmatiche e la profluvie logo/grafomaniaca di molti eminenti uomini di Chiesa – tv, giornali, rete, editoria - creano disorientamento tra i fedeli, la sua netta e chiara affermazione in tema dirada queste nebbie, ci conforta ma non ci rassicura del tutto. E Le spiego.
Già nel 1972 (Sulla questione dell’indissolubilità del matrimonio) a proposito delle coppie divorziate e risposate, Lei, secondo un’interpretazione da “nuova teologìa”, dichiarava che “l’apertura alla comunione (ai divorziati) dopo un certo tempo di prova è in linea con la tradizione della Chiesa”. Questa sua tèsi, smentita successivamente dal suo stesso magistero di Prefetto della SCDF e cassata da una sua personale “retractatio” presente nella nuova edizione 2014,  è stata tuttavia adottata e fatta propria da alcuni prelati, contigui al Papa e molto ascoltati, una tèsi  non codificata dal Sinodo ma in predicato di essere riproposta nel prossimo e, Dio non voglia, approvata.

La sua puntualizzazione ha evidenziato, però, un aspetto contraddittorio: se, da un lato Lei oggi ribadisce il divieto per i divorziati sposati, lo fa in quanto ritiene costoro, sì, figli di Dio e nel seno materno della Chiesa ma, tuttavia, nella condizione peccaminosa tale da interdir loro il sacramento della Comunione. In pratica, chi ha violato l’indissolubilità del matrimonio religioso, è fuori del sacramento della  Comunione, fuori fin quando non si restauri lo status originario rientrando legittimamente nella pienezza ecclesiale attraverso il sacramento della penitenza. Ciò vale anche per il coniuge innocente che subisce la separazione ma che convola, poi, a seconde nozze.
Per tutta questa materia non mi permetto  segnalarle i paragrafi del Catechismo del 1992 poiché Lei, che ne fu il coordinatore, ne conosce a menadito i contenuti e le formulazioni e sa bene che tràttasi di inconcussa dottrina dettata dallo stesso Gesù, Capo della Chiesa.

Ora, aprendo un altro scenario, vorrei considerare lo stato canonico  dei protestanti, storicamente staccatisi dalla Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana, fratelli cosiddetti separati che non possiamo non considerare, “de facto et de jure” scismatici, eretici fuori, perciò, della Comunione con Cristo, pecore fuori dell’unico ovile, la Chiesa cattolica, avversi e ostili all’unico pastore, il Papa.
La Chiesa cattolica prescrive, per questi, il formale e secco divieto di accedere al sacramento eucaristico senza una previa conversione e pena il sacrilegio, perché l’Eucaristìa, loro eventualmente amministrata, sarebbe non solo inefficace ma dannosa e aggravante e per loro stessi e per chi l’amministra.

Noi sappiamo, Eminenza, che Lei, l’8 aprile del 2005, in occasione delle solenni esequie del defunto Giovanni Paolo II, amministrò la Santa Comunione al protestante calvinista Frère Roger Schutz, fondatore e direttore della “Comunità di Taizé”. E sappiamo ancora che costui, in quanto protestante ed eretico, non ha mai creduto alla presenza reale di Cristo Eucaristìa e, pertanto, in condizioni ostative alla ricezione del Sacramento.

Ciò che, allora, mi turba e mi infastidisce è questa Sua diversa gestione della dottrina che, mentre da una parte afferma il divieto di amministrare il Sacramento al divorziato cattolico il quale, pur “separato” per il suo persistere nello stato trasgressivo, crede a Cristo presente nell’ostia in “Corpo, Sangue, Anima e Divinità”, e resta nel seno della Chiesa nella possibilità di rientravi, dall’altra ignora il medesimo divieto, permettendo che uno scettico, scismatico, eretico – in condizione, quindi, di peccato mortale -  possa, ed anche in occasione di una solenne cerimonia davanti a tutta la cattolicità e per non si sa quale privilegio, percepire l’Eucaristìa. Circostanza che anche Giovanni Paolo II ripeté con lo stesso Frère trasgredendo così, entrambi, il monito di Gesù che diffida dal gettare le cose sante ai cani e le perle davanti ai maiali (Mt, 7, 6).

Taluno sostiene che il defunto Roger Schutz si fosse convertito alla Chiesa Cattolica, del che viene fatta smentita, in un’intervista del 25 agosto 2008, dal cardinale W. Kasper. Nell’ipotesi, però, che ciò sia vero, noi avremmo davanti un personaggio di stampo nicodemita che, mentre singolarmente e di nascosto crede alla Vera Chiesa, in quanto però rettore della sua Comunità scismatica egli persiste palesemente nell’apostasìa e nell’eresìa calvinista, colpevolmente lasciando nell’errore e nel peccato i suoi fedeli. Una doppia vita, come è evidente, e un pessimo esempio.

Quale, allora, la differenza tra un divorziato risposato e costui? Nessuna e tanta.
Nessuna, in quanto entrambi in peccato mortale; tanta, dacché il divorziato “cattolico” è ancora nella Chiesa pur se escluso dai “Sacramenti dei vivi”, mentre il protestante calvinista scismatico/eretico è ramo secco, tralcio staccato dalla vite, fuori della Chiesa di Cristo, scomunicato.
Ora, se a ragione Lei conferma il divieto di Comunione al divorziato, a massima ragione ne dovrebbe essere escluso il protestante. Cosa che, storicamente non è avvenuta, né con Lei né con Papa Giovanni Paolo II.

Da queste considerazioni discende un altro discorso il cui tema è stato sviluppato tanto da Lei che da Papa Francesco I, entrambi in termini di concordanza. Dico, cioè, del ruolo che siffatte persone – i divorziati - possono e devono svolgere in ambito ecclesiale in qualità di laici.

Nell’intervista, che Papa Bergoglio ha rilasciato, giorni or sono, alla vaticanista Elisabetta Piquet, corrispondente del quotidiano La Nación, si legge testualmente: «Perché non possono (i divorziati risposati) essere padrini? Si chiede Francesco, ed ipotizza la risposta di un parroco “No, guarda! Che testimonianza vanno a dare al figlioccio?”. La testimonianza – replica Francesco – di un uomo e di una donna che dicono “Guarda, caro, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti!» (7/12/2014).

Mi permetto di definire questa riflessione come non solo debolissima di logica ma in piena deriva eretica, checché ne possano dire i moderni teologi. Intanto mi appare quanto mai deprimente, priva di carità e tinta di un che di disprezzo, l’escussione della figura di un “parroco” che, nel contesto del discorso papale viene a porsi, con la sua obiezione, come un povero curato di tipo rurale, privo di cultura, di sapienza, di misericordia e, soprattutto, antiquario legato al catechismo di san Pio X, un povero parroco che ignora Rahner, De Chardin, Kasper, Balthasar, Buber o Heidegger . E pensare che parroci simili – e mi riferisco, ad esempio, al santo G.B. Vianney, il curato d’Ars – di palese ignoranza ma pieni di Dio e della sua sapienza, hanno operato miracoli e conversioni che, a dirla con schiettezza, gli uomini della Chiesa postconciliare, intenti a stilare pile di documenti, a prestarsi ad interviste patinate e ad organizzare convegni sulla “nuova evangelizzazione” – védasi il buon cardinale Salvatore (Rino) Fisichella, esempio di vuoto pneumatico – nemmeno riescono ad immaginare.

Ciò detto, nel valutare il pensiero papale ne vien fuori che chiunque può svolgere la funzione delicata ed impegnativa di padrino nei riti del Battesimo e della Cresima. Tale è, infatti, la conclusione a cui arriva il Papa che pone in bocca al divorziato parole auto-giustificative che, in termini di buon senso e di teologìa, niente dicono in onore della verità, espressione essendo di una presunzione di tipo luterano, quella cioè di sentirsi a posto con Dio per il solo riconoscere di aver sbagliato.
Va bene confessare ed ammettere di aver errato, di essere scivolato su quel punto, ma niente risolve se tutto rimane in questa semplice riflessione. Che Dio ami il peccatore, come afferma l’ipotetico divorziato di cui sopra, è del tutto ovvio, fede facendo la parabola del figliolo prodigo, ma mi sembra presuntuoso ed ulteriormente offensivo pretendere di seguire il Signore persistendo nello stato di peccato. Uscirsene con un “il peccato non mi ha vinto, vado avanti” non solo è una menzogna con cui si gabella il sentirsi tranquilli perché “Dio mi ama” con l’assoluzione dalla colpa, ma è pericolosa illusione perché il peccato, in quello stato, ha vinto e continua a vincere finché quello stato dura.

Affermare che, al postutto, si può andare avanti continuando nell’errore, è operazione di natura satanica perché non si può mentire allo Spirito Santo (Atti  5, 3-9). Se un divorziato, quand’anche fosse la parte che ha subìto la separazione (CCC 2386), vive uno stato di peccato, in qual modo, si domanda quel parroco, saprà dare al figlioccio, più che insegnamenti verbali, degli esempî di sequela cristiana? Non è forse un cieco che vuol fare da guida? Come si giustifica o si può accogliere  un’eventuale sua esortazione alla fedeltà coniugale se egli stesso ne rappresenta la violazione e la smentita?
Da un albero corrotto non vengono che frutti corrotti perché, come dice Gesù, da questi si riconosce la natura stessa dell’albero.
Non vede, Eminenza, in questa condizione, la tipica condotta ipocrita che Gesù rimproverò ai farisei?
Un padrino in stato di peccato è tale e quale a un pastore che fa intesa con il lupo. Un padrino in stato di peccato mortale è, paradossalmente, un angelo custode peccatore. Ma per meglio chiarire, mi permetto, Eminenza, di citare per intero l’articolo 1255 del CCC che così recita: “Perché la grazia battesimale possa svilupparsi è importante l’aiuto dei genitori. Questo è pure il ruolo del padrino o della madrina che devono essere credenti, solidi, capaci e pronti a sostenere nel cammino della vita cristiana il neo-battezzato, bambino o adulto. Il loro compito è una vera “funzione” ecclesiale (officium). L’intera comunità ecclesiale ha una parte di responsabilità nello sviluppo e nella conservazione della grazia ricevuta nel Battesimo”.
E ciò che vale per il sacramento del Battesimo vale anche per il sacramento della Cresima/Confermazione giusta art. 1311.
Alla luce della verità canonica non credo, pertanto, che vi sia spazio per introdurre, nell’edificio della Chiesa, altri mutamenti che ne intacchino l’esser suo divino ed intangibile.

Tale cultura di marca antropologico/modernista – l’apertura della Chiesa conciliare al mondo - ha permesso che, tanto nelle università cattoliche che nei seminarî o nei corsi di catechesi preparatoria ai Sacramenti della Comunione e della Cresima, ci siano docenti, direttori o catechisti atei, gnostici, comunisti, darwinisti, abortisti, eugenisti, conviventi e divorziati.
Quale messaggio si crede che costoro possano trasmettere alle giovani coscienze degli studenti, dei futuri sacerdoti, dei fanciulli?
Quale forza di fede potrà possedere la parola di quella catechista – e gliela narro come testimone diretto – in stato coniugale di convivenza laica che, mostrando ai fanciulli di prima Comunione la sua gravidanza, parla di questa come puro dono di Dio, ben sapendo, lei che è una catechista, di essere in peccato mortale?
Come spiegherà la grave ma chiara normativa del sesto comandamento?
Davanti a simile, documentata realtà, non si parli di arricchimento ecclesiale e non la si spacci per dialogo fertile e costruttivo perché le nulle conversioni dello sterile “Cortile dei Gentili” e la continua emorragìa di fedeli a cui le chiese sono sottoposte, stanno  a dimostrare che siffatto metodo  inquina e dissolve, nel relativismo e nel senso religioso sincretistico, la purezza e la centralità della parola di Cristo.
Non è evidente la spaventosa diaspora dei cristiani cattolici verso altre confessioni o filosofie? O si finge di non vedere?
Persistere in questa gestione dell’educazione cristiana solo per poter affermare di applicare lo spirito ecumenistico del Concilio è, prima di tutto, cesura netta con la santa Tradizione – altro che ermeneutica della continuità, Eminenza! -  e cedimento colpevole allo spirito del tempo, a quello spirito del mondo che non è, ovviamente, lo Spirito di Dio.

Insomma: dopo che Assisi 1986 e 2011 ha stabilito, sulla scorta del Concilio, che le religioni tutte sono pervase di Spirito Santo, siamo giunti, Eminenza, grazie anche alla sua collaborazione storica e incontestabile, alla cancellazione dal CJC della condanna esplicita della massoneria, allo sbiadimento del senso di colpa, e ora all’assunto secondo cui l’ufficio di padrino è cosa che può essere svolta da un pubblico peccatore, da un adultero.

Si convinca il Magistero, si convinca anche Lei, che la tanto sperata primavera della Chiesa altro non è, secondo le parole fuori tempo di Papa Paolo VI  che un inverno al cui rigido clima concorre l’opera di un clero che ha deciso di andare di pari passo col mondo, a braccetto con esso, convinto di poterne convertire l’intrinseca natura maligna.
Mi chiedo, allora, perché mai, nel Pater Noster, noi preghiamo il Signore che non c’induca in tentazione, se poi la tentazione andiamo a cercarcela? Se, Eminenza, Satana si è permesso di tentare Gesù, crede che abbia timore di un chierico o di prelato o di un papa?

Ciò che mi ha indotto a rivolgerLe questa mia doglianza è, prima di tutto, la divaricazione che ho notato tra la sua recente affermazione circa il divieto di somministrare la Comunione ai divorziati e la concessione della stessa ai protestanti e, poi, l’aver appreso che anche Lei consente con  Papa Francesco I  - e  non v’era motivo per dubitarne - sulla nuova, dannosa interpretazione del ruolo attivo del divorziato/convivente in àmbito ecclesiale.
Sicché, nell’accogliere con gioia la sua puntualizzazione pur tardiva sull’immodificabilità della dottrina cattolica in tema di Comunione/divorzio, dissento amareggiato  per questa sua accondiscendenza al disegno disgregatore che il magistero attuale sta apprestando col legittimare lo scandalo pubblico, cioè, l’adulterio.

Son forse questi i segni di quella generale apostasìa di che si sarebbe resa colpevole la stessa Gerarchìa, apostasìa che la Santa Vergine predisse a La Salette e a Fatima?

Con i sensi del mio filiale e devoto rispetto
                                                   In Christo semper et in Maria Matre ejus

8 dicembre 2014                          



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