POLITICA E VIRTÙ

POLITICA MODERNA E TRADIZIONALE  



di Don Curzio Nitoglia

Pubblicato sul sito dell'Autore


Parte prima - Parte seconda



Introduzione

Dopo gli ultimi avvenimenti della vita politica nel Comune di Roma (dicembre 2014) mi sembra opportuno porgere al lettore alcune riflessioni fatte da Aristotele, da san Tommaso d’Aquino e dagli scolastici della Controriforma sulla necessità dell’armonia tra politica come morale sociale e vita morale individuale.

Il buon senso stesso consiglia la vita virtuosa non solo nei singoli, ma soprattutto nei governanti, che non debbono rispondere solo di se stessi ma anche degli altri.

Quando san Pio V fu eletto Papa disse: “da semplice frate ero molto speranzoso della mia salvezza eterna, quando fui fatto vescovo cominciai a trepidare e adesso che debbo governare la Chiesa universale mi sentirei umanamente disperato se non avessi la speranza soprannaturale nell’onnipotenza ausiliatrice di Dio”.

Infatti il governante (civile  e soprattutto religioso) non deve solo rispondere dei suoi atti, ma anche di quelli dei suoi sudditi. Ecco la gravità della responsabilità del governo politico e religioso. Purtroppo la malizia umana è talmente grande che porta gli individui a ricercare il governo visto come appagamento dell’orgoglio e dell’avarizia e non come ònere riguardo all’arte di condurre i sudditi al loro fine temporale e spirituale.

Nella prima parte tratterò delle virtù necessarie al buon governo. Dopo seguiranno le considerazioni teoriche sul perché del distacco della politica moderna dalla morale individuale, distacco dovuto 1°) alla filosofia nominalista, soggettivista e individualista, che rinnega la morale oggettiva e naturale; 2°) alla ideologia naturalistica e a-morale di Machiavelli.




II PARTE

POLITICA MODERNA E TRADIZIONALE

Occam e Machiavelli

In filosofia politica la modernità individualista e soggettivista (G. Occam † 1349, N. Machiavelli † 1527, T. Hobbes † 1679, J. Locke † 1704) ribalta la dottrina sulla natura socievole dell’uomo e lo presenta come un individuo “apolitico” o “asociale” poiché la natura o l’essenza universale e stabile sono inesistenti per la modernità, che è figlia del nominalismo occamista. Quindi l’ordine sociale e politico non è più un dato naturale, ma un qualcosa di artificiale e soggetto a manipolazioni individuali e soggettivistiche umane.

Machiavelli (1469-1527) è il pensatore che ha teorizzato in maniera sistematica l’autonomia della politica dalla morale. Secondo Machiavelli politica e  morale non debbono combattersi, ma neppure essere subordinatamente coordinate (agnosticismo sociale).

Esse, per Machiavelli, esistono indipendentemente e separatamente l’una dall’altra e debbono ignorarsi senza farsi guerra. Il machiavellismo è un sorta di indifferentismo o agnosticismo politico. Non è la lotta contro la morale, ma è il non volersi porre il problema etico e dunque agire in società, ossia politicamente, come se la morale oggettiva non esistesse per il Principe

L’uomo di Stato o il Principe, secondo Machiavelli, dirigendo lo Stato verso il suo fine: la felicità e la sicurezza puramente naturali dei cittadini, deve prendere, in teoria e in pratica, soltanto quei mezzi che risultano migliori per il suo scopo, che è la “ragion di Stato”, indipendentemente dalla legge morale oggettiva e universale anche se non forzatamente contro di essa, ma eventualmente sì, ove esse entrino in contrasto. Secondo il Fiorentino esiste solo la natura e non la grazia, la quale tuttavia può aiutare i cittadini a vivere nell’obbedienza al Principe, mentre per Lutero solo la grazia può integrare la natura intrinsecamente corrotta e malvagia.

L’errore fondamentale della nuova politica machiavellica consiste nel voler sostituire alla morale oggettiva e naturale e alle  regole oggettive di essa gli interessi dello Stato e del Principe. Come Lutero ha introdotto il soggettivismo in religione, Cartesio in filosofia, Machiavelli lo introduce nella politica. La filosofia politica tradizionale voleva unire la Società a Dio, mentre quella moderna vuole una politica autonoma dalla morale e da Dio.

Aristotele e san Tommaso

Invece, secondo Aristotele e la scolastica, soltanto nella Società civile o politica e non da solo, individualisticamente o isolatamente, l’uomo perviene alla realizzazione piena e perfetta delle sue potenzialità. Onde l’uomo è “animale socievole per natura”.

Nel De regimine principum (lib. I, cap. 15) di san Tommaso si spiega che “la Società civile o politica è come una nave, la cui navigazione ha due aspetti: solcare il mare e portare i passeggeri in porto. Ossia la politica e il bene comune o sociale hanno un duplice compito: immanente (navigare) e trascendente (giungere al Cielo)”. La vera Civiltà ha come fine immediato il benessere comune temporale e sociale dei cittadini, ma il suo Fine ultimo è il Sommo Bene (De regimine principum, lib. I, cap. 16). La politica rappresenta il fine intermedio; perciò va coltivata, ma non bisogna fermarsi ad essa (S. Th., II-II, q. 58, a. 5). 

L’uomo non può vivere da solo, ma ha bisogno di altri esseri umani per formare prima una società imperfetta (la famiglia) e poi una Società perfetta (lo Stato, che è l’unione di più famiglie e di più villaggi). Naturalmente l’uomo è animale razionale e sociale (ossia intelligente, libero e vivente in società o pòlis). Rifiutare l’elemento politico o sociale dell’uomo è innanzi tutto un errore filosofico o antropologico, che ha una falsa concezione metafisica della natura dell’uomo. Infatti, se l’uomo in sé è intrinsecamente corrotto, la Società (familiare, sociale e religiosa), che risulta dall’unione di più uomini sotto un’autorità, è anch’essa intrinsecamente malvagia; inoltre anche la Chiesa nel suo aspetto giuridico e gerarchico è perversa come lo è lo Stato.

L’uomo è composto di anima e di corpo. Essendo la sua anima razionale, egli è fatto per vivere a contatto con gli altri, non è un animale solìvago. Egli deve avere Dio ‘al di sopra’, gli uomini ‘accanto’ e la terra ‘sotto i piedi’. Ossia deve essere realista (con i piedi per terra), religioso (Dio è il Fine ultimo) e socievole (vivere assieme agli altri uomini). La famiglia, per esempio, che è una Società imperfetta, suppone il corpo dell’uomo orientato alla generazione, fine primario del matrimonio, ma essa deve essere seguìta dall’educazione che sorpassa la vita animale e corporea in quanto riguarda quella razionale e ordinata ultimamente al fine spirituale.

Lo stesso si può dire della Società civile e dello Stato. San Tommaso d’Aquino spiega che “agli animali la natura ha dato i peli, i denti, le corna, la velocità per fuggire. L’uomo, invece, dalla natura non è stato formato con nessuno di questi mezzi già pronti; ma al posto di quelli gli è stata data la ragione, per mezzo della quale può procurarsi tutte queste difese. Ma per far ciò non basta il lavoro di un solo uomo, perché il singolo non basta a sé per vivere. Perciò è naturale all’uomo vivere in Società […] affinché uno aiuti l’altro, e diversi uomini siano occupati nella ricerca di cognizioni diverse” (4).

Conclusione

La conseguenza socio/politica di questi errori nominalisti e machiavellici è la negazione della bontà di ogni Società umana (famiglia/Stato). La radice di questo errore va ricercata nell’occamismo individualista secondo il quale non esistono essenze e nature, ma solo individui. Ora l’individualismo porta a propugnare la rivolta contro ogni autorità, non solo quella statale, ma anche umana e divina, per arrivare all’autonomia assoluta dell’individuo. La natura dell’individualismo è l’autonomia dell’individuo e la  società senza autorità umana e divina. Esso fa dell’individuo l’Assoluto, del mezzo il fine e della creatura il Creatore. Ma l’individualismo nominalista è contraddetto dagli stessi filosofi soggettivisti e idealisti almeno nella vita pratica. Essi in teoria propugnano l’idealismo o il soggettivismo individualista della conoscenza e dell’etica, ma in pratica agiscono, e quindi pensano, da realisti.

Conoscere significa apprendere qualcosa come un oggetto il quale sta davanti a me indipendentemente dal mio pensiero (ob-jacet). Non sono io  che produco col mio pensiero questo oggetto che giace (jacet) davanti (ob) a me. Ora “l’azione segue l’essere e il modo di agire segue il modo d’essere”. Quindi conosco e agisco in base ad una realtà e a leggi oggettive.

Ogni uomo normale si rende conto che non è il suo pensiero a produrre la realtà e la morale, ma si tratta di una realtà e di una regola morale già costituita in se stessa prima che egli la conosca.
Quindi lo Stato, essendo un insieme di famiglie che si uniscono e formano un villaggio e poi più villaggi formano una Civitas o una Polis, è conforme alla natura umana, che è fatta per vivere socialmente in unione con gli altri (famiglia, villaggio e Stato). Infatti l’uomo da solo non riuscirebbe a conseguire il suo fine temporale o naturale, ma ha bisogno della Società.


NOTE

 

4 - De Regimine principum, lib. I, cap. I



dicembre 2014

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