Il sinodo sulla “famiglia” di Francesco I
La rivincita di Bergson, Blondel e Teilhard


- di Thomas


Articolo di Thomas
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Il vitalismo

La filosofia postmoderna del Novecento è caratterizzata dal vitalismo che si divide sostanzialmente in due rami:
1°) il vitalismo neopagano, naturalistico, nichilistico e super-omistico di Nietzsche;
2°) il vitalismo meta-cristiano (1), spiritualistico, e panteistico di Bergson-Blondel-Teilhard.

Il vitalismo è quella corrente filosofica che prende come punto di partenza della ricerca filosofica la vita, in cui si ritrova una “forza vitale” ben distinta dalla materia passiva. La vita è intesa come mutamento incessante, divenire perenne, ascendente, auto-trascendente, come creatività infinita e quindi naturalisticamente panteistica: vivendo intensamente l’uomo si auto-divinizza con le sue forze naturali, senza bisogno della grazia divina.

Infatti, per il vitalismo, la vita contiene in sé dei germi che sono irriducibili alla materia, quale l’intuizione e l’azione o l’evoluzione spiritualistica, le quali dal basso risalgono dalla materia verso il trascendente, ove l’uomo trova il suo compimento necessariamente insito nella sua vita, nella sua azione ed evoluzione. Il panteismo dei vitalisti sale da sé, naturalmente e non per dono gratuito di Dio, dal basso verso l’alto mediante un’azione creatrice o un’evoluzione trascendente, al contrario di quello dei neoplatonici, secondo i quali la divinità scendeva per emanazione dall’alto verso il basso. Perciò la vita, per i vitalisti, non va studiata razionalmente, ma intuita e vissuta intensamente e attivamente poiché è solo partecipando al divenire della vita che si giunge alla propria realizzazione ultra-umana.

L’evoluzionismo è inteso dal vitalismo in maniera diversa di come lo pensava materialisticamente Darwin, secondo cui è l’evoluzione a determinare la vita; secondo il vitalismo, invece, è la vita a determinare spiritualisticamente l’evoluzione creatrice. Quindi non è più la scienza positiva (positivismo) ad avere il primato, ma è la filosofia dell’azione (vitalismo) a dirigere ogni cosa.

Il vitalismo neopagano di Nietzsche esalta il primato e la “onnipotenza” della vita dell’uomo, che vorrebbe uccidere (nichilismo) il vecchio Dio trascendente e prenderne il posto (volontà di potenza). La vita, per Nietzsche, è uno sforzo costante di auto-superamento mediante la potenza della volontà umana. Il suo Zaratustra annuncia: «la vita stessa mi ha detto: “io sono il continuo superamento di me stessa”. […]. Io vi insegno il super-uomo, l’uomo deve essere superato» (F. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, Milano, Bocca, 1906, p. 92 e 3) (2).

Il vitalismo neo-modernista o meta-cristiano, spiritualistico, intuizionista, irrazionalistico, volontaristico e impregnato di falso misticismo di Bergson, Blondel e Teilhard si fonda invece sul falso concetto della esigenza della grazia da parte della natura, la quale per il fatto stesso di esistere tende da sé alla divinità. Non si vuol uccidere Dio e prenderne il posto come Nietzsche, ma si ritiene di essere una parte, per essenza, della divinità indeterminata e non per partecipazione alla vita divina mediante il dono gratuito della grazia santificante da parte di un Dio trascendente e personale. 

In questo articolo studieremo soprattutto Bergson e Blondel per vedere quale influsso abbiano esercitato su Teilhard de Chardin, che è stato il padre della nouvelle théologie (3), la quale ha contribuito in larghissima parte alla genesi del Concilio Vaticano II, che in ultima istanza ci ha portati all’attuale teologia iper-pastorale o super-prassistica di Francesco I (4).

Il panteismo evoluzionista di Henri Bergson

Nato a Parigi nel 1859 da una famiglia israelitica di origine polacca è morto nel 1941. Avvicinatosi al cristianesimo modernista, preferì restare ebreo per solidarietà con gli israeliti che vivevano in Francia allora occupata dal III Reich germanico.
La sua filosofia speculativa è contenuta essenzialmente nella sua opera principale L’evoluzione creatrice terminata a Parigi nel 1907. Secondo Bergson la vita è uno slancio vitale (“élan vital”) o evoluzione creatrice (“évolution créatrice”), un divenire incessante, che si insinua nella  materia e la informa, ma ne rimane anche limitato.

Nella  realtà naturale e fisica, secondo Bergson, si  celano delle dimensioni profonde e trascendenti, che non sono conoscibili con il ragionamento e l’intelletto discorsivo, ma solo tramite l’intuizione e il misticismo. Infatti la ragione umana costringe la vita che è infinita dentro schemi limitati e fissi, i quali la deformano, mentre l’intuizione misticoide si apre al dinamismo della vita, dell’evoluzione creatrice e partecipa allo slancio vitale  in perpetuo movimento verso la divinità coessenziale all’uomo.

Bergson, già quando insegnava nel 1904 al Collège de France di Parigi, asseriva che il movimento non si deve spiegare, come Aristotele (Metafisica, lib. XII), con l’essere in atto (“omne quod movetur ab alio movetur; ens in potentia non reducitur ad actum nisi per ens in actu”/ “Tutto ciò che si muove è mosso da un altro ente; l’ente in potenza non passa all’atto se non per mezzo di un ente in atto”), ma lo si può spiegare col moto stesso. Ora ciò significa dire che vi è più in quel che diviene (essere in atto imperfetto) che in quel che è già in atto (essere in atto perfetto), il che è contraddittorio. Infatti l’essere imperfetto o il movimento verso l’essere è inferiore all’essere perfetto e compiuto ossia all’essere in atto (5).
L’errore di Bergson (L’evoluzione creatrice, Parigi, Alcan, 1907) è stato ripreso da E. Le Roy (Revue de Métaphisique et de Morale, luglio 1907, pp. 448-495) e prima ancora è stato insegnato da M. Blondel (L’Azione,1893, p. 297; 2a ed., 1937, rist. 1950; Id., Annnales de Philosophie chrétienne, 1906, p. 235). Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange riteneva che esso “conduce dritto dritto verso l’eresia” (Acta Academiae romanae S. Thomae, 1935, p. 51; Ibidem, 1944, pp. 174-178; Id., Sintesi tomistica, Brescia, Morcelliana, 1953, p. 442) (6).

La parte morale o pratica della filosofia di Bergson è contenuta nel libro Le due sorgenti della morale e della religione (Parigi, 1932, tr. it., Milano, Comunità, 1950), in cui egli distingue:
1°) la morale chiusa o conformista, ossia oggettiva, naturale e rivelata della religione positiva, determinata dalla legge e dalle norme, dal timore di un castigo e dalla speranza di una ricompensa eterna;
2°) la morale aperta o autentica, soggettivistica, intuitiva e misticoide, fondata sull’amore e sul beneficio dell’umanità, sull’intuizione dell’Assoluto e sull’unione connaturale all’uomo con Esso.

È a questa seconda morale aperta bergsoniana che si rifanno Kasper e Francesco I per giustificare la misericordia senza giustizia e la concessione dei Sacramenti ai peccatori impenitenti. In quest’ottica bisognerebbe togliere San Giovanni Battista dal catalogo dei Santi e mettere al suo posto Salomè ed Erodiade.
Infatti il Battista aveva rimproverato ad Erode di aver preso Salomè, che era la moglie di suo fratello e non la sua e con la quale, perciò, non gli era lecito convivere. Erodiade e Salomè si legarono al dito questa chiusura priva di misericordia pastorale del Battista e gli fecero tagliar la testa in nome della carità, della misericordia e del primato della pastorale aperta ed in continua evoluzione sulla morale chiusa (come ha fatto Francesco I con il card. Burke).

Come si vede il Sinodo di Bergoglio rappresenta un nuovo Vangelo, un Vangelo capovolto, ma S. Paolo ci ha avvertito: “anche se io stesso o un angelo del cielo vi annunziassimo un Vangelo diverso da quello insegnatovi sino ad ora, sia anatema” (Gal., I, 8 ss.).

Alla morale chiusa, sempre secondo Bergson, corrisponde la religione statica, che sarebbe quella falsa, ossia la religione rivelata e positiva (per esempio quella cattolica) e alla morale aperta corrisponde la religione dinamica, che sarebbe quella vera, del tutto spirituale, misticoide, non positiva, non rivelata né istituzionalizzata (7).

Se si valuta la filosofia di Bergson alla luce della filosofia perenne e della retta ragione si deve constatare quanto segue:
1°) Egli sostituisce l’essere con il divenire, la metafisica con l’evoluzione creatrice. Ora su ciò che è in movimento costante e perenne  non si può costruire nulla di saldo e stabile.  Per Bergson al di là del divenire non c’è nessuna sostanza, realtà o essere: “Ci sono dei cambiamenti, ma sotto ai cambiamenti non ci sono delle cose stabili che non mutano. Il divenire non ha bisogno di un sostegno” (La pensée et le mouvant, Parigi, [1934], Edition du centenaire, 1960, p. 185).
Infatti, se si concepisce il divenire come la suprema realtà, allora non c’è più bisogno di ricorrere alla sostanza (Aristotele, metafisica dell’essenza) e all’essere come atto ultimo di ogni essenza (S. Tommaso, metafisica dell’esse ut actus ultimus) per dargli un sostegno: “Tutto diviene, nulla è” (come per Eraclito). In breve la filosofia di Bergson è un panteismo evoluzionista, che è un ateismo mascherato da panteismo (nulla, quindi neppure Dio, è o esiste, ma diviene e si fa costantemente, continuamente e perennemente).
2°) L’uomo non è il fine dell’ evoluzione spiritualistica o creatrice. L’uomo è finalizzato ad auto-trascendersi mediante lo slancio vitale o l’evoluzione creatrice. Se per Nietsche l’uomo doveva diventare un super-uomo grazie alla sua volontà di potenza che lo portava a voler uccidere Dio e mettersi al suo posto (come l’Anticristo), per Bergson l’uomo deve diventare Dio (ma non il Dio personale e trascendente) poiché nella sua vita è insito, necessariamente e intrinsecamente, uno slancio verso la divinità e l’uomo può diventare un dio. La natura non è finalizzata all’uomo in quanto tale, ma l’uomo e la natura sono finalizzati naturalmente a deificarsi (L’évolution créatrice, Parigi, Edition du centenaire, 1948, p. 266; tr. it., Firenze, 1951).
3°) In questa prospettiva Bergson riprende l’errore averroistico della mortalità della singola anima e dell’immortalità della specie o dell’anima universale comune a tutti gli uomini e al mondo.

Quindi la filosofia bergsoniana è sostanzialmente incompatibile con la retta ragione, la filosofia perenne e la Rivelazione cristiana (8). Lo stesso Jacques Maritain ha scritto: “le tesi essenziali del bergsonismo si trovano, rispetto alla verità della filosofia perenne, in una opposizione anche troppo manifesta e irriducibile” (La philosophie bergsonienne, Parigi, 1913, p. 313). Tuttavia la filosofia bergsoniana ha esercitato un notevole influsso su Blondel e Teilhard (B. Mondin, Storia della Metafisica, Bologna, ESD, 1998, III vol., p. 536).

Il precursore del modernismo: Maurice Blondel

Nato a Digione nel 1861 si è imposto all’attenzione del pubblico con la sua opera L’Action (Parigi, Alcan, 1893; 2a ed. 1937; rist. Parigi, PUF, 1950; tr. it., Firenze, Sansoni, 1921; Cinisello Balsamo, San Paolo, II ed., 1997). In questo libro Blondel, approfondendo la linea tracciata dalla evoluzione creatrice di Bergson, precorre di un decennio il modernismo classico, condannato da S. Pio X (Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907), affermando la non-gratuità dell’Ordine Soprannaturale e precorre di un cinquantennio il neo-modernismo di Henri de Lubac (Surnaturel, Parigi, 1946) condannato da Pio XII (Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950).
Secondo Blondel la vita umana è inevitabilmente e  necessariamente aperta al soprannaturale e al trascendente. Infatti la vita e l’azione umana portano inevitabilmente all’ unione con Dio. La Chiesa condannò la sua opera e la mise all’Indice dei libri proibiti (9).

Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange nella Revue Thomiste (1913, pp. 351-371) rimprovera a Blondel di sostituire alla nozione realistica della verità (“conformità del pensiero alla realtà”, Aristotele) quella vitalistica della “conformità dell’intelletto alle esigenze della vita” (M. Blondel, Point de départ de la recherche philosophique, in Annales de Philosophie chrétienne, 15 giugno 1906, a. 1, p. 235).
Quello che l’evoluzione operava nella filosofia di Bergson lo fa la azione umana nella filosofia di Blondel. Mentre lo studio dell’evoluzione aveva portato Bergson ad affermare che il traguardo necessariamente conclusivo della vita è la divinizzazione indeterminata; lo studio dell’azione porta Blondel ad affermare che l’uomo ha diritto alla grazia e all’unione con Dio (10).
Blondel si discosta leggermente da Bergson perché mette l’uomo al posto del cosmo, la sua è una filosofia marcatamente antropocentrica (11), è l’uomo che è finalizzato alla divinità per la sua stessa natura e non per dono gratuito di Dio, infatti il desiderio di Dio è la radice stessa di ogni azione.
La filosofia vitalistica blondeliana ricalca quella criticistica kantiana, ma sostituisce il sensismo o fenomenismo kantiano coll’intuizionismo spiritualistico ed ontologistico. Infatti come per Kant il noumeno (o la cosa in sé, la realtà nella sua essenza) non è conoscibile dalla ragione umana (Critica della Ragion pura), ma è postulato dal bisogno o dal sentimento dell’uomo (Critica della Ragion pratica), e solo il fenomeno o l’apparenza delle sostanze è conosciuta dall’uomo, però non come è in sé, ma come appare a noi mediante le 12 categorie soggettive insite nel nostro cervello, così anche per Blondel la ragione umana si ferma solo alla conoscenza dei fenomeni o delle apparenze accidentali degli enti. Tuttavia per Blondel l’uomo in virtù dell’intuizione (che in realtà appartiene solo agli Angeli e non all’uomo) e non di sentimento come per Kant, sorpassa la finitezza del mondo sensibile o fenomenico e giunge con le sue forze puramente naturali ad intuire Dio.
Blondel distingue tra ‘volontà voluta’, ossia di superficie o spontanea, la quale è soltanto naturale e non è necessariamente ordinata alla divinità, e ‘volontà volente’, cioè profonda, riflessa e necessariamente ordinata al soprannaturale (L’ Action, Parigi, Alcan, 1893, p. 39; 2a ed. 1937; rist. Parigi, PUF, 1950).
Siccome l’uomo, nella sua ‘volontà voluta’, è totalmente indigente, postula, con la ‘volontà volente’, l’esistenza di Dio e necessita Dio ad andargli incontro dandogli l’Ordine Soprannaturale, il quale è un’ esigenza della natura umana estremamente debole, ma nello stesso tempo necessariamente tendente all’unione con Dio (L’Action, Parigi, Alcan, 1893, p. 338; 2a ed. 1937; rist. Parigi, PUF, 1950).

Questa teoria anticipa quella di de Lubac (Surnaturel, 1946) e di Gaudium et spes (22 e 24) del Concilio Vaticano II (1965), riprese da Giovanni Paolo II nelle sue due Encicliche (Dives in misericordia, 1981; Dominum et vivificantem, 1986).

Padre Battista Mondin scrive che “quel che ha fatto K. Rahner (12) con il dinamismo della conoscenza umana, lo aveva già tentato M. Blondel con l’azione umana protesa necessariamente al soprannaturale” (Storia dell’Antropologia filosofica, Bologna, ESD, 2002, vol. II, p. 364).

La fantascienza e la fantateologia di Pierre Teilhard de Chardin

Nato nel 1881 in Alvernia (Francia) e morto a New York nel 1955.
Nel 1923 fu inviato dai Gesuiti, presso i quali era entrato a 18 anni nel 1899, in missione in Cina ove effettuò degli scavi archeologici che lo portarono a trovare e limare il cranio di un animale per poter provare l’esistenza dell’uomo primitivo detto “sinantropo”, che avrebbe dovuto essere l’anello di congiunzione tra la scimmia e l’uomo.

Nel 1924, tornato in Europa, cominciò a tenere numerose conferenze sul tema dell’accordo tra scienza e fede, tra Cristo e l’evoluzione alla luce ell’evoluzionismo spiritualistico, che avrebbe portato a una “cristificazione cosmica o universale” (13); è per questo motivo che si parla di “pancristismo” teilhardiano, ossia di una forma più specifica e radicale di panteismo.

Nel 1926 fu richiamato all’ordine dai suoi superiori, poiché le sue dottrine fantascientifiche evoluzionistiche erano erronee anche dal punto di vista della fede e gli venne proibito di scrivere su questioni di fede (l’imbroglio del cranio limato venne scoperto solo verso il 1950 e il reperto “paleolitico” del “sinantropo” di Pierre Teilhard de Chardin – risalente in realtà al moderno anno 1924 – venne tolto dal British Museum).
Durante la seconda guerra mondiale fu rispedito in Cina in qualità di “scienziato” e scrisse il suo libro principale para-teologico /scientifico Le phénomène humain (Parigi, Ed. du Seuil,1955; tr. it. Milano, Il Saggiatore, 1968); la sua seconda opera è Le milieu divin (Parigi, Ed. du Seuil, 1957; tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1968).

Tornato in Francia nel 1946 gli fu rinnovata la proibizione di divulgare le sue teorie fantascientifiche e panteistiche o meglio pancrististiche. Nel 1950 venne inviato a New York in America per evitare che continuasse a dar conferenze e nel 1955 ivi morì (14).

Il fenomeno umano contiene la parte teoretica del teilhardismo, mentre L’ambiente divino contiene quella pratica o “etico/ascetica”.
Ne Il fenomeno umano Teilhard si ripropone di operare una sintesi tra Chiesa e mondo moderno, ossia tra fede e scienza evoluzionistica. Dalla materia o massa primordiale indifferenziata nascono gli atomi e poi le molecole, ma la materia teilhardiana contiene in germe, sin dall’inizio, una scintilla interiore di coscienza (“le dedans/l’interiore”) per cui si arriva, mediante l’evoluzione, alle soglie della vita o della biosfera con dei “primati” cefalizzati, cioè aventi un sistema nervoso e un encefalo. Poi si arriva allo spirito umano, che è il massimo livello di evoluzione raggiunto finora. Ma la vita umana non è ancora il termine supremo dell’evoluzione. Essa tende all’unione dell’umanità in una sorta di “Corpo Mistico” di Cristo in senso lato, che non è la Chiesa, ma è “Il Cristo totale o cosmico”, vale a dire la unione finale di tutti gli enti e gli spiriti con il “Cristo cosmico”. Cristo è il “Punto Omega” dell’evoluzione (anche del dogma cattolico (15)) in cui Dio sarà tutto in tutti. Questa teoria farraginosa è stata definita da p. Battista Mondin “una forma superiore di panteismo” (Storia della Teologia, Bologna, ESD, 1997, IV vol., p. 593) nel senso di un super-panteismo e dunque della peggior forma di esso.

Teilhard è il precursore, con Blondel, della coincidentia oppositorum tra antropocentrismo e teocentrismo, realizzata dal Concilio Vaticano II come ha scritto Giovanni Paolo II (Enciclica Dives in misericordia, 1980, n. 1).
Il teilhardismo è assieme antropocentrico e tendenzialmente teocentrico in quanto dalla materia si evolve lo spirito, da questo l’uomo e quindi si tende perennemente e costantemente al “Cristo cosmico”, al “Punto Omega” senza arrivarvi mai. Questo miscuglio contraddittorio di teo e antropo/centrismo si chiama anche pancristismo, poiché il “Punto Omega” della evoluzione teilhardiana è “Cristo”, ma non il Verbo Incarnato della Tradizione apostolica e della S. Scrittura, bensì una sorta di “Cristo cosmico” nel quale c’è di tutto: dalla materia alla divinità indeterminata e sempre in divenire.
Si noti come l’azione di Blondel e l’evoluzione creatrice di Bergson abbiano aperto la strada al “Cristo cosmico” o al “Punto Omega” di Teilhard e come tutti e tre abbiano aperto le porte alla nouvelle théologie e questa abbia elaborato l’essenza della “pastorale” del Vaticano II.

Oggi, con Francesco I, si è ritornati in pieno al teilhardismo (che con Benedetto XVI non era stato più evocato con forza) e specialmente all’evoluzione applicata indirettamente al dogma – tramite la super/pastorale del primato della prassi – e al connubio sempre più stretto con il mondo moderno e contemporaneo. E non solo in campo dogmatico e liturgico, come era avvenuto sino a Giovanni Paolo II e in maniera più moderata con Benedetto XVI, ma anche in campo morale, nel quale soprattutto Giovanni Paolo II, pur se con metodo personalistico, aveva riaffermato i valori della morale oggettiva e naturale. Con Francesco I persino la sinderesi viene smarrita: “Chi perde la fede perde la testa”.

La parte pratica, “ascetica” del teilhardismo è contenuta nel libro L’ambiente divino. In esso Teilhard spiega che il cristianesimo per farsi capire nel XX secolo deve iniziare a parlare con il linguaggio della modernità. Teoria, come si vede, ripresa da Giovanni XXIII che vi ha fondato la pastoralità del Concilio Vaticano II.

Questo cambiamento del linguaggio il quale esprime e coglie la realtà (e dunque, cambiando il linguaggio, cambia la dottrina filosofica, che da realista diventa soggettivista e relativista), deve portare, secondo Teilhard, ad una profonda revisione o capovolgimento della spiritualità. Quindi non più fuga dal mondo, ove “mondo”, secondo la spiritualità tradizionale, significa la filosofia di coloro che odiano i tre Consigli evangelici (continenza, povertà e umiltà obbediente) per vivere secondo le tre Concupiscenze (orgoglio, sensualità e avarizia) nelle quali “totus mundus positus est” (1a Giov., V, 19) ma equivoca identificazione tra “mondo fisico” creato da Dio e naturalmente buono e “mondo morale” ossia la schiera dei  mondani nemici della Croce di Cristo.

Il mondo fisico e morale, secondo Teilhard,  è “totalmente impregnato di Dio” e quindi occorre non fuggirlo ma immergervisi. Da qui il decadimento dalla morale e dell’ascetica cristiana, che è divenuta mondana, liberale, libertaria e libertina. Gli attuali disordini morali di una certa parte del clero sono da ascriversi a queste perniciose dottrine teilhardiane (16).

Un’altra conseguenza del teilhardismo pratico è la divinizzazione del lavoro umano: “La molla principale della spiritualità teilhardiana sta nella valorizzazione dell’azione, del lavoro, della professione, in una parola di tutte le azioni umane, che hanno il primato sulla contemplazione” (B. Mondin, Storia della Teologia, cit., p. 540).
Si noti come una teoria simile la si ritrova nell’Opus Dei.

Il S. Uffizio condannò Teilhard dopo la sua morte con un Monitum (30 giugno 1962) nel quale si dichiarava che “è assai evidente che l’opera di Teilhard, in materia filosofica e teologica, contiene tali ambiguità e gravi errori, da offendere la dottrina cattolica” (in L’Osservatore Romano, 30 giugno 1962).
Nell’articolo di commento che accompagnava il Monitum era spiegato che gli errori principali del teilhardismo consistevano:
1°) nella necessità della creazione da parte di Dio;
2°) nell’immanentismo che oscura la vera nozione della Trascendenza divina;
3°) nella esigenza dell’Ordine Soprannaturale da parte della natura;
4°) nella confusione tra materia e spirito;
5°) nell’evoluzione applicata al dogma, alla morale, alla liturgia, e a tutti i campi delle scienze religiose cattoliche.

Dal panteismo al pancristismo

Il padre gesuita Xavier Tilliette dell’Università Gregoriana di Roma parla esplicitamente di “pancristismo” riguardo a Blondel (17): “Blondel ci consegna una cristologia che è l’anima della sua opera, cioè il pancristismo (18). […]. Il pancristismo sta a dire che Cristo è tutto, che niente sfugge alla sua irradiazione, al suo potere, al suo regno. […]. La dottrina pancristista non è mai stata oggetto di esposizione formale e sistematica da parte di Blondel [come invece è avvenuto con Teilhard, ndr], ma è presente ovunque nel suo sistema. […]. Cristo è l’Azione per eccellenza, l’infinito finito cui tendiamo, la sinergia di Dio e dell’uomo, il parto di Dio in noi, il diventare Dio-del-suo-Dio (19). […].
La filosofia dell’Azione blondeliana è penetrata sino all’ultima fibra dal mistero dell’Unione Ipostatica, del Vincolo sostanziale…, che è l’incontro o l’abbraccio dell’uomo e di Dio, dell’umanità intera e del suo Dio. La frase [Verbum caro factum est] va rovesciata: caro Verbum facta (20). […]. La coscienza di Cristo, Uomo degli uomini, è composta da tutte le coscienze umane. L’umanità totale fa da schermo alla divinità (21)” (Cristo nella filosofia contemporanea, cit., p. 43, 45-46, 48).

Alla luce di quanto ha scritto Tilliette si capisce quanto Blondel, Bergson e Teilhard abbiano influito sul Concilio Vaticano II.
Infatti durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II”, il 7 dicembre del 1965, papa Montini giunse a proclamare: «la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo».

Giovanni Paolo II, a sua volta, nella sua prima Enciclica (del 1979) ‘Redemptor hominis’ al n. 13 scrive: «non si tratta dell’uomo astratto, ma reale concreto storico, si tratta di ciascun uomo, perché […] con ognuno Cristo si è unito per sempre […]. L’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché, con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero [della redenzione] del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre».

Nella sua seconda Enciclica (del 1980) “Dives in misericordia” al n. 1 Giovanni Paolo II afferma: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [del Concilio Vaticano II, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».

Nella sua terza Enciclica ‘Dominum et vivificantem’ (del 1986) Giovanni Paolo II  al n. 50 scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito ad ogni carne [creatura], specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal di dentro. […] l’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di … tutto il mondo visibile e materiale […]. Il Generato prima di ogni creatura, incarnandosisi unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] ed in essa con ogni carne, con tutta la creazione».

La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. […] Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo.

Questo è il succo concentrato del vitalismo bergsoniano/ blondeliano/ teilhardiano e fatto proprio dal Vaticano II: il culto dell’uomo, il panteismo e l’antropocentrismo idolatrico,  i cui frutti velenosi stanno maturando, o meglio marcendo, nell’attuale pontificato.

NOTE

1 - Teilhard de Chardin utilizzava esplicitamente questo termine: “meta-cristianesimo” per definire il suo sistema teologico, che avrebbe voluto rinnovare il cristianesimo tradizionale sposandolo con l’evoluzionismo scientistico e spiritualistico.
2 - Cfr. Gf. Morra, Il cane di Zarathustra. Tutto Nietsche per tutti, Milano, Ares, 2013.
3 - Cfr. R. Garrigou-Lagrange, La nouvelle théologie ou va-t-elle?, in Angelicum, n. 23, 1946, pp. 134-143: “Dove va la nuova teologia se non verso la via dello scetticismo, della fantasia romantica e dell’eresia ? essa ritorna al modernismo”; M. Labourdette, La théologie et ses sources, in Revue Thomiste, 1946, pp. 353-371: “Il movimento della nuova teologia è tutto intriso di relativismo”. Per una rassegna bibliografica degli interventi più significativi sulla nuova teologia cfr. Revista española de Teologia, 1949, pp. 303-318; 527-546.
4 - Siccome “sì sì no no” si è occupato già numerose volte del nichilismo nicciano, della nouvelle théologie e di Teilhard de Chardin (1881-1955), qui ci soffermiamo solo su Bergson (1859-1941) e Blondel (1861-1949), che hanno esercitato un influsso notevole su Teilhard e quindi indirettamente sul Vaticano II.
5 - Per esempio, un blocco di marmo (materia o potenza passiva di ricevere la forma di statua, colonna, architrave, rosone…) che sta diventando (fieri, divenire, atto imperfetto o passaggio dalla potenza all’atto) una statua (atto perfetto) di Giulio Cesare, in quanto viene scolpita da un artista (causa efficiente) per ornare una chiesa (causa finale), non spiega da sé la statua, ma richiede una causa efficiente già in atto (scultore), che faccia passare la materia (marmo) dalla potenza passiva (capacità di ricevere una forma) all’atto (essere in atto perfetto e formato ultimamente). La materia e il divenire da soli non spiegano l’atto ultimato come il meno perfetto (marmo/materia) non spiega il più perfetto (statua/uomo). Bergson vuol spiegare il più con il meno, l’effetto senza una causa efficiente, l’essere con il divenire. 
6 - Cfr. A. D. Sertillanges, Avec Henri Bergson, Parigi, Gallimard, 1941; Id., H. Bergson et le Catholicisme, Parigi, Flammarion, 1941; Ch. Boyer, Il pensiero religioso di Bergson, in Humanitas, n. 11, 1959, pp. 779-784; R. Jolivet, Philosophie chrétienne et bergsonisme, in Revue des Sciences Religieuses, n. 15, 1935, pp. 28-43. 
7 - B. Mondin, Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale, Milano, Massimo, ed. II, 1994, p. 100.
8 - Cfr. F. Olgiati, La filosofia di Henri Bergson, Torino, 1914; J. Maritain, La philosophie bergsonienne, Parigi, 1913.
9 - Cfr. Propositiones damnatae a S. Officio, 1 dicembre 1924, in Monitore ecclesiastico, 1925, p. 194; C. Tresmontant, Introduction à la metaphysique de Maurice Blondel, Parigi, 1963; R. Garrigou-Lagrange, La Sintesi tomistica, Brescia, Morcelliana, 1953, “La nozione realista della verità”, pp. 428-447; Id., Revue Thomiste, 1913, pp. 351-371; P. Schwalm, Revue Thomiste, 1896, pp. 36 ss.; 1897, pp. 62-627; 1898; pp. 578 ss.
10 - Blondel essendo cattolico, anche se modernista, quando parlava di Dio intendeva il Dio trascendente e personale (come Teilhard, de Lubac e Daniélou), mentre Bergson – che proveniva dall’ebraismo talmudico o postbiblico - intendeva una divinità indeterminata (chiamata En Sofh dalla cabala). Quindi il panteismo di Blondel è più vicino al pancristismo di Teilhard e alla nouvelle théologie condannata da Pio XII (Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950) e al panteismo del modernismo classico condannato da San Pio X (Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907).
11 - Anche in ciò Blondel è più vicino al neomodernismo immanentista del Vaticano II. Infatti la dottrina blondeliana dell’antropocentrismo si ritrova, pari pari, nella Costituzione pastorale  Gaudium et spes su “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (n. 24, § 4): «l’uomo è in terra la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa (“propter se ipsam”)». Cfr. Giovanni Paolo II n. 1 “Dives in misericordia” e “Dominum et vivicantem”, n. 50. Karol Wojtyla già nel 1976 da cardinale nel suo Segno di contraddizione. Meditazioni, (Milano, Vita & Pensiero, 1977) scriveva: «il testo conciliare [Gaudium et spes n. 22] spiega il carattere antropologico o perfino antropocentrico della Rivelazione offerta agli uomini in Cristo. Questa Rivelazione è concentrata sull’uomo […]. Il Figlio di Dio, attraverso la sua Incarnazione, si è unito ad ogni uomo, è diventato - come Uomo - uno di noi. […]. Ecco i punti centrali ai quali si potrebbe ridurre l’insegnamento conciliare sull’uomo e sul suo mistero» (pp. 115-116).
12 - Cfr. C. Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974.
13 - B. Mondin, Dizionario di filosofia, teologia e morale, cit., p. 843.
14 - Cfr. M. J. Nicolas, Evoluzione e cristianesimo. Da Teilhard de Chardin a S. Tommaso d’Aquino, Milano, 1978; H. De Lubac, Theilard de Chardin missionario del nostro tempo, Brescia, 1967.
15 - B. Mondin, Dizionario di filosofia, teologia e morale, cit., p. 844.
16 - Cfr. H. de Lubac, L’eterno femminino, Torino, 1969.
17 - Cfr. S. Zucal (a cura di), Cristo nella filosofia contemporanea, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2002, vol. II, Il Novecento, cap. II, X. Tilliette, Henri Bergson e Maurice Blondel, par. 2, Il pancristismo blondeliano, pp. 42-69.
18 - Cfr. H. de Lubac (a cura di), Maurice Blondel e Joannès Werhlé. Correspondance, Parigi, Aubier, 1969, pp. 390-391.
19 - Vale a dire che l’Uomo diventa il Dio di Dio creatore e fa con Lui una sola cosa, mediante Cristo che è “tutto in ogni cosa”, cfr. X. Tillliette, Maurice Blondel e il pancristismo, in Filosofi davanti a Cristo, Brescia, Queriniana, 1989, pp. 329-354; J. Wolinski, Le panchristisme de Maurice Blondel, in Teoresi, n. 17, 1962, pp. 97-120. Joseph Wolinski sembra essere stato il primo ad vera utilizzato il termine “pancristismo” riguardo a Blondel.
20 - Cfr. H. de Lubac (a cura di), Maurice Blondel et Pierre Teilhard de Chardin. Correspondance, Parigi, Beauchesne, 1965.
21 - Perciò il Verbo si è incarnato in tutta l’Umanità e non ha assunto la sua natura umana individua o Cristeitas.




settembre 2014

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