STRAVAGANZE PAPALI ED ALTRO
  
di L. P.




1 – Edizione aggiornata dei Vangeli – Mt. Lc.

Panta rei”, tutto scorre secondo Eraclito l’oscuro così come, secondo, lo spirito vaticansecondista, tutto si aggiorna, anche il Vangelo. E non tanto in termini teologici o morali e men che meno secondo chissà quale ermeneutica, quanto addirittura in termini storici e letterali. Fino a ieri, 17 dicembre 2014, abbiamo creduto che Gesù fosse nato a Bethleem di Giuda, stando a Matteo (2, 1), a Luca (2, 1/20) e fede prestando al profeta Michea (5, 2) che vaticinò, in nome di Dio, e sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, Bethleem quale luogo natale di Cristo. “ E tu, Bethleem-Efrata, tu sei piccola fra le migliaia di Giuda; ma da te mi uscirà Colui che deve regnare in Israele”.

Basta con le certezze, predica papa Bergoglio e con quanto sa di dogmatico, di sistematico, di rigido e di regola. La mente ceda il posto al cuore sicché la misericordia prevalga sulla ragione e questa si abbandoni al dubbio. Guai a colui che è troppo sicuro di aver trovato Dio, ammonisce nell’omelìa di Santa Marta del 15 dicembre scorso. Ora è tempo di rivedere anche la storia e la vita di Cristo nella prospettiva moderna.

Ieri, 17 dicembre, dicevamo, nell’udienza generale del mercoledì, tenutasi in Piazza San Pietro in occasione del suo 78° genetliaco, davanti a una massa oscillante di fedeli plaudenti più consona a un concertone rock, al cospetto di numerose coppie di “tangueros” argentini che disegnavano figure sinuose e sensuali fra una milonga e un  tango, Sua Santità ha rivelato la corretta edizione storica dei Vangeli.
Tema: la famiglia. Riferimento: la Sacra famiglia.
Quella di Nazareth non era una famiglia finta, irreale. Maria, la mamma, cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camicie, Giuseppe, il papà faceva il falegname. Gesù viene come un figlio di famiglia. Non nasce in una grande città come Roma, ma in una periferìa piuttosto malfamata, Nazareth. Ė un Dio sottomesso. Ha perso 30 anni lì, in quella periferìa malfamata. Non ha fatto guarigioni o altri prodigi in quegli anni. Quello che era importante lì era la famiglia, ma non è stato tempo sprecato: erano grandi santi, Maria Immacolata e Giuseppe. E Gesù mai in quel luogo si è scoraggiato” (Corriere della Sera on-line 17 dic. 2014).

Qualcuno, leggendo, potrebbe pensare che il quotidiano citato, di cultura laicista abbia, ad effetto, riportato le parole del pontefice forzandole nel senso di una distorta comunicazione. Ed allora, onde fugare qual che sia sospetto di manipolazione, vediamo come e qualmente le stesse dichiarazioni vengon trascritte sugli organi di stampa cattolica. Chiediamo al lettore un briciolo di pazienza con cui possa leggersi quanto in appresso riportiamo.
Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferìa dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la città capo dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferìa quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. Lo ricordano anche i vangeli, quasi come un modo di dire:«Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?» (Gv. 1, 46). . . Gesù è rimasto in quella periferìa per 30 anni. . . Ma uno dice. « Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso 30 anni, lì, in quella periferìa malfamata? Ha perso 30 anni!» E Lui ha voluto questo” (Avvenire on-line– Il compleanno del papa – 17 dic. 2014).

Sicché, non solo Gesù è nato a Nazareth, ma in quel risiedere per 30 anni in quel malfamato paese potrebbe aver perso tempo. Non si sa mai! Intanto la supposizione che papa Bergoglio mette in bocca a “uno” è tutta sua così come fu sua quella di “un parroco” che contestava la nomina di un divorziato a padrino di Battesimo - argomento di cui abbiamo parlato recentemente.
Sarebbe poi da precisare che, fatti rapidi conti, con i due anni intercorsi fra la nascita - a Bethleem sia chiaro, non a Nazareth - e la visita dei Magi, più quelli dell’esilio in Egitto, dovremmo concludere che gli anni passati a Nazareth non sarebbero 30 ma molti di meno. Facciamo 25.

La cosa che, poi, dà il segno della caratura culturale di questo papa venuto dalla fine del mondo, è quell’insistere, oramai stantìo, ossessivo, momotematico ed ecolalico, sulle “periferìe” che, abbinato all’altro delle “sfide”, sta segnalando questo papato come un annuncio continuo di riforma per una Chiesa che, fino al 1963 non  avrebbe combinato alcunché di buono. Parole, parole, annunci, interviste, discorsi, tweets, libri: una ridda di comunicazione che lascia storditi. E siamo a un anno e mezzo di pontificato.

Nazareth, poi, perché malfamata? Era forse un covo di banditi, di predoni, di bestemmiatori? La pericope di Gv. 1, 46 è un modo di dire che dà l’indicazione di un campanilismo provinciale, non ancora estinto ai nostri tempi – si pensi alle storielle su Cuneo – per il quale non si è autorizzati a definire “malfamato” un paese solo perché i suoi abitanti appaiono ad altre comunità come bizzarri, capricciosi, testoni o sciocchi. Tutto ma non malfamati. Se andiamo a sfrucoliare, vediamo che la tanto grande e santa Gerusalemme è, rispetto alla malfamata Nazareth, altro che malfamata! Diremmo di conio delinquenziale, tana di coloro che diventeranno assassini di Cristo.

La cosa, infine, che maggiormente deprime, in tutta questa vicenda, è la piaggerìa di che sono intrisi gli organi di stampa, e financo quelli cattolici, che non si premurano nemmeno di correggere le cappellate del pontefice tanta è la fede che si presta ad ogni sua parola e il delirio che si crea attorno ad ogni suo gesto.

Domanda: e questo papa sarebbe “il maestro in Israele?” (Gv. 3, 10).

2 – Giullari sull’ambone e cardinali in navata.

Non si è spenta l’eco di quella trasmissione televisiva di pochi giorni fa’ in cui il giullare nostrano Roberto Benigni, indossato il robone da teologo similmente al somaro di Fedro che si mise una pelle di leone, ha intrattenuto, dall’ambone della RAI, 9 milioni di spettatori svelando loro il significato del Decalogo.
Siamo disposti ad ammettere l’esistenza di tanti individui che riescono a riempire il tempo della propria esistenza standosene ad ascoltare il bercio e le stravaganze di un comico che, dopo aver fatto strame di Dante - e chi scrive si vanta di averne stroncato, nel luglio 2006, i commenti riportati su un diffuso quotidiano finanziario, bloccandone la profluvie di amenità e sconcezze alla quarta puntata delle tredici previste – ma non riusciamo a comprendere come eminenti uomini di Chiesa riescano a vedere in questi il sostituto di S. Agostino, di S. Tommaso Aquinate, di S. Bonaventura.
(Non ci si meravigli, ché non sono rare le celebrazioni eucaristiche in fogge da pagliacci in pieno rituale  carnevalesco, specialmente nelle chiese nordeuropee e sudamericane).

Sorpresa destò, nel 9 dicembre 2007, l’intervista in cui il cardinal Bertone definì “alta teologìa”  la cosiddetta “lectura Dantis” che il comico l’anno precedente tenne in Santa Croce di Firenze, una lettura infarcita di luoghi comuni, di passaggi allusivi, di bischerate estemporanee e di spropositi letterarï. In altra intervista, concessa ad Andrea Tornielli (Il Giornale 11 febb. 2008), lo stesso principe della Chiesa se ne venne fuori dicendo che il Benigni poteva senz’altro essere considerato uno dei più grandi teologi del ‘900.
Testimonianza di come sìasi degradata e impoverita la cultura in chi dovrebbe essere pastore, guida e maestro. Possiamo dire che questo è l’effetto del Vaticano II, quel Concilio che qualcuno ha detto stare alla Chiesa come il ’68 alla società?

Sembrava che, da quel tempo ad oggi, molto  conformismo che alligna nelle sacre stanze si fosse sbiadito lasciando il posto a un realismo logico e al buon senso. Ed, invece, eccoci ancora con un presule che, davanti alla telecamera o al taccuino di un giornalista, non sa trattenersi dall’intrupparsi con la massa liquida, gelatinosa ed amorfa dei 9 milioni di benignidipendenti. Diciamo di Mons. Rino Fisichella, l’arcivescovo delegato dall’emerito papa ex Benedetto XVI alla “nuova evangelizzazione” che – Il Giornale 18 dicembre 2014, pag 33 – definisce lo spettacolo del comico preso col commento ai 10 Comandamenti, come “un moderno elogio della verità”.
Frase del tutto roboante ma pseudo culturale, floscia, vanesia e vuota – come vuoto è il consuntivo dello stesso monsignore in termini di evangelizzazione - perché l’elogio della verità non è né antico né moderno, è elogio e basta. Cristo Via-Verità-Vita è ieri, oggi e domani: sempre.
E anticipando qualche obiezione in merito il Mons. dichiara, con una sdrucciola litote, che lo “spettacolo non è stato verboso ma nuovo modo per comunicare un ideale di vita”. Perciò, come non applaudire il guitto? domanda Fisichella. Costui ha, udite udite! citato anche il Talmud, l’accolta dei più indegni e vergognosi epiteti diretti a Gesù, alla Vergine e ai cristiani. Non per niente il rabbinato italico si è complimentato con questo pisquano, vedendo in quest’operazione di velenosa gnosi, il grimaldello, il piede di porco per scardinare le ultime resistenze del Cattolicesimo.
Ma vediamo, in breve, chi è costui che si pone come dispensatore di stili e di ideali di vita e di pensiero.

L’attore toscano fu colui che, in pieno festival canoro di Sanremo, anno 1980, riferendosi al papa GP II lo appellò “wojtylaccio”; colui che, in varie serate, negli studi RAI rete 1 intrattenne presenti e telespettatori saltabeccando da una parte all’altra del palco, ravanando nella patta degli uomini e manipolando la sottogonna delle signorine presenti accompagnando le “scoperte”, come un becero bordone, con un lessico da osteria che nemmeno il Belli; colui che, in serate successive se la prese con i San Pio da Pietrelcina, le Madonne, i Papi sganasciandosi in un torrenziale e fecale scilinguagnolo che mandò in visibilio i beoti dirigenti RAI, spettatori e chierici; colui che, successivamente, senza essersi purificata e sciacquata la bocca, declamava il  mistico ed altissimo “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio” (Par. XXXIII,1).
Nel 1982 anticipò qualcosa sui comandamenti  maggiormente irridendo il sesto e il nono, rimproverando a Dio il divieto di poter concupire anche le mogli altrui. Oggi, invece, con una capriola a 180 gradi si impanca a guru, a Dottore della Chiesa ed esegeta.
Un miscredente, un comunistello astuto, un circense, un affarista  che, fiutata l’aria e avvertito il cambio di vento, s’è guadagnato, in pochi mesi, fama così possente da scalzare anche quelle autorità dottrinarie che, fino al 1963, erano per la Chiesa i fondamenti  e i primipili della fede.

Una riflessione: Paolo, Agostino, Tommaso, Bonaventura, Bellarmino hanno dato testimonianza alla verità annunciata da Cristo, ma non crediamo che, come il guitto toscano, si siano intascati milioni di euri. Per quella testimonianza ebbero a soffrire. Perciò, cari prelati: finitela con questa indecorosa e languida pantomima e date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. E siate serî davanti a Dio e agli uomini.

3 -  Olimpiadi romane e Vaticano
   
Con commozione, enfasi e profonda convinzione, il cardinale Josè Saraiva Martins ha dichiarato che non ci sarebbero difficoltà a far disputare alcune gare olimpiche – quelle del 2024 a cui aspira Roma – come il tiro con l’arco, in Piazza San Pietro, con l’alternativa dei giardini vaticani o della villa di Castel Gandolfo.
Ė arrivato per il Vaticano il momento di scendere in gioco” ha affermato deciso e volitivo. (La Repubblica, 18/12/2014).
Noi non vogliamo postillare siffatta notizia, lasciando ai lettori la libertà di interpretarla e di trarne le conseguenze. Noi ricordiamo che i cristiani scesero nelle arene non per giocare ma per offrire la vita per amor di Dio e fedeltà alla sua legge.






dicembre 2014

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