“ASSE” OBAMA - FRANCESCO:
Cuba, Prestigitazione e confusione

di Armando F. Valladares.

Miami, Florida, 4 Gennaio 2015


Articolo inviatoci dall'Autore, pubblicato anche su El Nuevo Acción

Pubblichiamo un articolo diffuso dallo scrittore cattolico Armando Valladares, un esule cubano in Florida che da anni si batte per salvare l'identità cattolica del proprio paese.

Armando Valladares, scrittore, pittore e poeta.
Ha trasorso 22 anni nelle carceri politiche di Cuba.
È autore del noto libro Contra toda esperanza (Contro ogni speranza – Edizione italiana Spirali), dove narra l’orrore delle prigioni castriste.
È stato ambasciatore degli Stati Uniti nella Commissione dei Diritti Umani dell’ONU, sotto le amministrazioni Reagan e Bush.
Gli è stata conferita la Medaglia presidenziale al Cittadino ed è stato insignito del Superior Arward del Dipartimento di Stato.
Ha scritto numerosi articoli sulla riprovevole collaborazione ecclesiastica col comunismo cubano e sulla “ostpolitik” vaticana con Cuba.



È estremamente doloroso dirlo, ma l’oppressione con la quale Castro
continua a trattare i cubani sull’isola, ora ha un altissimo avallo.

Purtroppo, per quanto riguarda Cuba e l’America Latina, detti,
atti e gesti di Francesco vanno favorendo l’oppressione del popolo cubano
 e la sinistrizzazione del continente; sotto questi aspetti,
saremmo in presenza di un pontificato caratterizzato dalla confusione e anche dal caos,
con conseguenze inquietanti per il futuro politico, sociale e cristiano delle Americhe.



Cuba, la mia patria natale, ha appena compiuto 56 anni di martirio sotto la nefasta rivoluzione comunista. Per questo dramma gigantesco e in questo tragico anniversario, sulla faccia della terra non si sono udite voci di indignazione per una situazione che grida vendetta al cielo. Molti governi che anno dopo anno si sono stracciate le vesti all’ONU per condannare il cosiddetto “embargo esterno” statunitense, hanno inviato messaggi di saluto ai tiranni castristi e non hanno detto nemmeno una parola sull’implacabile “embargo interno” del regime contro i 12 milioni di abitanti dell’isola-carcere.
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Siamo al cospetto di uno dei maggiori esempii di prestigiazione pubblicitaria della storia: un regime che per decenni è stato la punta di diamante delle rivoluzioni sanguinose in America Latina e in Africa, e che oggi continua a tenere il cordone ombelicale ideologico nelle tre Americhe, è passato dalla meritata immagine di aggressore alla più mendace immagine di vittima.
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Sono innumerevoli i casi di aiuti internazionali al regime cubano, che hanno permesso e permettono la sua sopravvivenza. Dopo l’enorme sostegno finanziario dell’Unione Sovietica, fino al suo crollo; del Venezuela chavista, fino alla sua attuale disintegrazione; del Brasile lulista-dilmista, oggi con le casse vuote; ecco spuntare nelle Americhe l’insperato “asse” Obama-Francesco. Un “asse” politico-spirituale sui generis che, indipendentemente dalle intenzioni di personaggi tanto importanti, finirà col tradursi in fiumi di denaro e di prestigio propagandistico a favore dell’apparato repressivo del regime.
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Il 19 dicembre, due giorni dopo che a Roma, Washington e L’Avana era stato annunciato contemporaneamente il ripristino delle relazioni diplomatiche tra il governo degli Stati Uniti e la dittatura cubana, una nave della Guardia Costiera castrista, presumibilmente in acque internazionali, ha iniziato a speronare una barca con la quale fuggivano da Cuba 32 persone, tra cui sette donne e due bambini, fino ad affondare la fragile imbarcazione. Questi cubani erano semplicemente in cerca della libertà e intendevano rompere il famigerato “embargo interno” che la tirannia Castrista ha imposto agli abitanti.
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Masiel González Castellano, una sopravvissuta, moglie di Leosbel Díaz Beoto, che morì annegato, più tardi ha dichiarato al telefono: “Stavamo urlando, chiedevamo aiuto, che ci aiutassero perché la barca stava affondando. Ma non vollero ascoltare. Allora sono andata a prua. Alcune persone si gettarono in acqua, altre rimasero e la barca stava affondando”. “Sapevano che c’erano dei bambini, ma continuarono a venirci addosso. A loro non importava.
È stata l’azione brutale di un regime che si sente con le spalle coperte da potenti alleati. L’atto criminale, che avrebbe compromesso non poco il regime castrista, avrebbe meritato una clamorosa accusa mondiale e invece quasi non è stato richiamato dalla stampa internazionale, dai governi occidentali, dalle organizzazioni per la difesa dei “diritti umani” e – oh, dolore! – dagli ecclesiastici che dovrebbero imitare il Buon Pastore, pronti a dare la vita per le loro pecore.
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Il 31 dicembre, a L’Avana, in coincidenza con i 56 anni della rivoluzione, è stato attuato un giro di vite contro gli oppositori che intendevano semplicemente  riunirsi nella Piazza della Rivoluzione, il che illustra, senza dubbio alcuno, quali siano le reali
disposizioni del regime.
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Negli Stati Uniti, molti specialisti hanno dimostrato in maniera documentata come il riavvicinamento quasi incondizionato del governo statunitense, favorisca il regime cubano e pregiudichi la causa della libertà nell’isola, i cui abitanti tuttavia chiedono più comprensione ai tiranni; e quindi hanno criticato duramente il presidente Obama, (cfr. “Cuban dissidents blast Obama’s betrayal”, Marc A. Thiessen, Washington Post, Dic. 29, 2014; “Obama le da al régimen de Castro en Cuba un rescate inmerecido”, Editoriale in spagnolo e inglese, Washington Post, Dic. 17, 2014).
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Tuttavia, alcuni analisti segnalano l’aspetto più grave e tragico di quest’accordo: la responsabilità del suo artefice e mediatore più eminente, Papa Francesco.
Il 17 dicembre, lo stesso giorno dell’annuncio del ripristino delle relazioni diplomatiche, Francesco, ricordando il suo ruolo di mediazione, ha salutato il rilascio di “alcuni detenuti”, senza nemmeno accennare al fatto che il sistema comunista a Cuba mantiene soggiogati, non alcuni, ma 12 milioni di cubani.
È estremamente doloroso dirlo, ma l’oppressione con la quale Castro continua a trattare i miei fratelli nell’isola, ora ha un altissimo avallo.
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Occorre ricordare che per i castristi, i “detenuti” erano in realtà spie cubane processate e condannate dalla giustizia statunitense per complicità nell’omicidio dei giovani dell’organizzazione Hermanos al Rescate e per i piani che servivano ad introdurre esplosivi a Miami per compiere atti terroristici. Per questo, il capo dei “detenuti” castristi aveva due ergastoli.
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Non è la prima volta che Francesco, indipendentemente dalle sue intenzioni, adotta atteggiamenti che oggettivamente favoriscono le sinistre del continente, politiche ed ecclesiastiche. Ad esempio, si è tenuto a Roma dal 27 al 29 ottobre, l’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, che ha riunito 100 capi rivoluzionarii mondiali del mondo intero, compresi noti agitatori professionisti latino-americani, e a cui ha partecipato lo stesso Francesco. È come se si fosse realizzata una specie di “beatificazione” propagandistica, in vita, di tali figuri rivoluzionarii di ispirazione marxista, “beati” sui generis di una “Chiesa alla rovescia”, contraria alla dottrina sociale della Chiesa, che è stata difesa dai predecessori di Francesco (cfr. “Il Papa saluta e benedice”, L’Osservatore Romano, 28 ottobre 2014: “Francisco, ‘beatificación’ publicitaria de revolucionarios y ‘vendaval’ social”, Destaque Internacional, Nov. 02, 2014).
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Ho avuto occasione di commentare altri fatti dello stesso tenore, quando Francesco revocò la “sospensione a divinis” al sacerdote nicaraguense Miguel D’Escoto Brockmann, del famigerato ordine di Maryknoll, ex ministro degli esteri sandinista e una delle figure più pro-castriste della teologia della liberazione. Don D'Escoto era stato sanzionato dal Vaticano nel 1984 per il suo coinvolgimento nella persecuzione dei cattolici nicaraguensi durante il primo governo sandinista del Nicaragua (cf. “Francisco, procastristas y confusión”, Armando Valladares, Agosto 06, 2014).
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Purtroppo, per quanto riguarda Cuba e l’America Latina, queste parole, atti e gesti di Papa Francesco vanno favorendo direttamente o indirettamente l’oppressione del popolo cubano e lo spostamento a sinistra del continente. Aleggia la sensazione che, sotto i detti aspetti saremmo in presenza di un pontificato caratterizzato da confusione e perfino da caos, con conseguenze inquietanti per il futuro politico, sociale e cristiano delle Americhe.
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Come cattolico ed ex prigioniero politico cubano, che ha trascorso 22 anni nelle prigioni castriste, e che ha visto la sua fede rafforzata nell’udire le urla dei giovani cattolici che morivano davanti al “plotone di esecuzione” gridando “Viva Cristo Re, abbasso il comunismo”, devo dire che gli atti sopra descritti suscitano in me  perplessità, ansie e drammi interiori. Si tratta di una situazione la più dolorosa che possa esistere, perché attiene ai vincoli con la Santa Sede.  Ciò nonostante, come ho già avuto modo di dire, la fede dei cattolici deve rimanere intatta e perfino rafforzata di fronte a questi dilemmi, perché nelle questioni politiche e diplomatiche i papi non sono assistiti dall’infallibilità. E per i cattolici non esiste alcun obbligo di accettare quelle parole e quelle azioni, nella misura in cui esse si discostano dalla linea tradizionale adottata dalla Chiesa in relazione al comunismo.




gennaio 2015

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