Visita a Mons. Guido Pozzo

Pubblichiamo il resoconto dell'incontro tra Mons. Guido Pozzo
nuovo Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei,
e i Benedettini dell'Immacolata, di Villatalla

Questo resoconto è stato pubblicato sul sito degli stessi Benedettini
martedì 11 agosto 2009


(i neretti sono nostri)


Alcuni giorni dopo il nostro ritiro annuale, un altro avvenimento — importante per noi e le comunità tradizionali —, fu la visita al nuovo segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Mons. Pozzo, appena insediato nelle sue nuove mansioni.
Con fra' Ansgar Santogrossi e fra' Toussaint, siamo stati ricevuti, martedì 11 agosto, nel modo più amabile che si può.

Abbiamo citato semplicemente ed in modo diretto la nostra situazione a Villatalla e l’accoglienza di Mons. Olivieri nel rispetto del nostro diritto proprio, il quale prevede l’uso esclusivo del rito tradizionale della Messa.

Successivamente abbiamo affrontato l’argomento sulla ricezione dei documenti conciliari in vista delle imminenti discussioni che stavano per aver luogo tra Vaticano e Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Ecco un riassunto di questo colloquio che manifesta un’apertura ed un passo in avanti verso il riconoscimento dei valori che tutto il movimento tradizionale difende, anche se non condividiamo tutte le sue affermazioni.

1. Mons. Pozzo ha voluto precisare che, secondo la lettera di accompagnamento al Motu Proprio Summorum Pontificum, il rito romano esiste nelle due forme e che nessun sacerdote “può rifiutare per principio di celebrare secondo l’una o l’altra forma”.

Concretamente ciò implica, per lui, che se un sacerdote, che normalmente celebra secondo la forma straordinaria, si trovasse in una situazione di necessità pastorale nella quale l’autorità competente esiga una celebrazione secondo la forma ordinaria, egli dovrebbe accettare di farlo.
Mons. Pozzo ha tuttavia ascoltato l’opinione che Mons. Stankiewicz, decano del tribunale della Sacra Rota, aveva espresso a P. Jehan, dopo avere attentamente letto le costituzioni di Le Barroux, e secondo la quale un monaco prete di Le Barroux non ha diritto di celebrare secondo il Novus Ordo Missae, sia all’esterno che all’interno del monastero. In questo modo l’obbligo di celebrare secondo l’antico rito sarebbe un diritto-dovere particolare che si applica ai monaci di Le Barroux e questo è vero in qualsiasi posto si trovino.

Mons. Pozzo ha detto che conosceva Mons. Stankiewicz. Da parte sua, egli aggiunse che, anche se la lettera pontificia di accompagnamento al Summorum Pontificum precisa che i sacerdoti che celebrano l’antico rito non possono rifiutare per principio la celebrazione del nuovo, questo lascia tuttavia aperta la possibilità di un diritto proprio per certe società i cui membri celebrerebbero esclusivamente secondo l’antico rito.

2. Per quanto concerne il Concilio Vaticano II, per Mons. Pozzo, il problema non è tanto nei testi quanto nella loro interpretazione e nelle applicazioni abusive, secondo il famoso “spirito del Concilio”. Ma, dopo tanti e tanti anni di quasi monopolio di espressione pubblica nei media e nella Chiesa, è ora molto difficile separare questo “spirito del concilio” dai testi stessi. Bisogna dunque far comprendere questa distinzione alla FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X) e così i suoi membri potranno accettare i testi del Concilio.

Quando gli è stato risposto che la FSSPX conosceva bene questo discorso è persisteva nel sostenere che vi sono gravi problemi nei testi stessi del Concilio, Mons. Pozzo ha modificato la sua posizione:
— È vero, ha aggiunto, che ci sono passi mal formulati e poco chiari in tali testi. Ciò è dovuto al fatto che i padri conciliari volevano evitare il linguaggio teologico troppo classico, per parlare in un modo “più accessibile agli uomini dell’epoca”. Questo ha potuto causare ambiguità, ma ciò non significa un’intenzione di negare o di mutare la dottrina cattolica tradizionale. Al contrario, i padri consideravano che la dottrina cattolica fosse una cosa acquisita. Si trattava solo di modificare la maniera di esprimersi per ragioni pastorali.
Da questo punto di vista è dunque legittimo criticare i passi che non sono molto chiari dal punto di vista della dottrina così come era insegnata in precedenza. Non bisogna però imputare loro un significato eterodosso, poiché non vi era alcuna intenzione di mutare la dottrina tradizionale. Secondo una sana ermeneutica, bisogna comprendere alcuni passaggi del Vaticano II, che presentano difficoltà, in un senso che non contraddice il Magistero costante anteriore, perché è lo stesso Magistero che insegna in tutte le epoche.

— Bisogna dunque distinguere nei documenti, ed in ogni documento, le riaffermazioni del dogma e della fede tradizionale, le proposizioni insegnate come dottrina del Magistero autentico delle esortazioni, dalle direttive e finalmente dalle opinioni e dalle spiegazioni teologiche che il Concilio ha proposte senza alcuna pretesa di vincolare la coscienza cattolica. Non si deve dunque imporre ai cattolici l’accettazione pura e semplice di opinioni che il Concilio stesso non ha imposte con la pretesa di esigere l’assenso intellettuale.
A tale proposito sarebbe utile far uso delle note teologiche che la teologia ed il magistero hanno forgiato nel corso dei secoli.
Sfortunatamente, oggi anche dei vescovi non sono in grado di produrre tali sfumature nei documenti della Chiesa.




febbraio 2010

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