LE VERITÀ AEREE DEL PAPA

AZIONE E REAZIONE

PATERNITÀ . . . IRRESPONSABILE


  
di L. P.

1 - AZIONE E REAZIONE

Ė più che dimostrato, oramai, quanto l’alta quota aerea giovi alla tracimante lucidità del pensiero di papa Bergoglio e, soprattutto, alle verità che, ad 8 mila metri sopra la terra, con magistero ordinario ci ammannisce. La stampa mondiale lo sa e, puntuale attende, tra una tratta e l’altra di ogni viaggio intercontinentale, la sua estemporanea esternazione esegetica.
Ricordiamo la più che nota e nefasta espressione “Chi sono io per giudicare un gay?” apripista del nuovo catechismo bergogliano di cui l’informazione mondiale sottolineò la sorprendente chiarezza, il tono umile e il coraggio aperturista.

Giorni or sono, nel trasferimento aereo tra lo Sri Lanka e le Filippine ha, di nuovo dato prova di questa sua capacità comunicativa e di questa sua abilità a ridurre il Vangelo a semplice manuale puramente teorico. Sull’onda della sanguinosa e sanguinaria vicenda parigina, l’eccidio dei redattori “Charlie Hebdo” ha affermato, con un dire tra il confidenziale e l’austero, che non si offende la religione – e siamo d’accordo Santità – con volgari espressioni le quali possono far scattare reazioni incontrollate. “Se qualcuno offende mia madre, io gli do un pugno”. Questa è la sintesi del suo pensiero circa i fatti di cui sopra.
Occhio per occhio, offesa per offesa. Altro che l’altra guancia! 


Ora, resosi conto della bischerata – una delle tante che gli càpita di produrre quando parla a braccio, e ciò avviene quasi sempre – nel viaggio di ritorno, interpellato dagli scaltri giornalisti – che sanno di poter far scattare altre amenità ben conoscendo l’uomo e il pontefice - proprio su questa poco evangelica interpretazione, ha tentato di rabberciare la tela lacerata con un ragionamento che privilegia l’attenuante umana relegando il Vangelo a mera dottrina astratta.  
Ė vero, il Vangelo  - Gesù, cioè - ordina di porgere l’altra guancia invocando, per il violento, il perdono di Dio. “Padre, perdona loro che non sanno ciò che fanno” (Lc. 23, 34). Ė vero ma. . . .ma bisogna fare i conti con la fragilità umana, aspetto da non sottovalutare, anzi, da mettere in prima linea come elemento di discolpa.
Usare prudenza, dice papa Bergoglio – e chi, se non lui dovrebbe usarla? – la virtù che contempera l’azione e la reazione. “Nessun pugno, ma neppure provocazioni, serve prudenza, perché  in teoria – prosegue, infilandosi in una nassa di logica tipicamente umana e umorale, distinguendo tra pratica e Vangelo per cui – possiamo dire quello che il Vangelo dice, dobbiamo dare l’altra guancia, in teoria possiamo dire che noi capiamo la libertà d’esprimere. E questo è importante, nella teoria siamo tutti d’accordo”.
Insomma, commenta il giornalista, se il Vangelo è teoria, allora la pratica permetterebbe qualche attenuante (Il Giornale 20 gennaio 2015, pag. 18).

Vorremmo sottolineare un significato sottinteso che è sfuggito alla quasi totalità dei commentatori, insito in quel passaggio in cui papa Bergoglio afferma “Nessun pugno, ma neppure provocazioni”. E vediamo dove si nasconde il “velen dell’argomento” (Purg. XXXI, 75). 
Il Vangelo – Lc. 6, 29 – espone una verità secondo la quale la migliore risposta a una offesa violenta è la non-reazione, anzi, un invito alla sua reiterazione, e Gesù, gli apostoli, i martiri e i santi ne hanno dato testimonianza e prova. Gesù non pone, alla sua ammonizione, un “ma” quasi a giustificare la reazione. “Porgi l’altra guancia” ordina, e non tanto per prudenza quanto per carità, quanto per non passare sul livello di colui che offende, quanto per un atto di sacrificio e di umiltà.
L’inserimento dell’avversativa papale “ma” -  niente pugno ma niente provocazione – sta ad indicare che la risposta all’offesa è quanto meno giustificata dalla provocazione. Pertanto, dice papa Bergoglio, non provocate se non volete ricevere un pugno. E, così, tutti pari e tutti a casa, in pace e tranquillità. Il che non ci pare essere la più adeguata esegesi al passo evangelico sopra citato.
Strano? Biasimevole? No: perché il Vangelo, afferma il pontefice a quota 8 mila metri, è pura teoria, è un buon testo per l’abbondanza di consigli e comandi, ma è pur sempre teorìa. Ciò che vale è la prassi, l’evento, l’esserci, la circostanza.

Alla… luce di questa affermazione ci riesce difficile comprendere il comando di Gesù  “andate e predicate il  Vangelo”, ci riesce difficile accettare e giustificare il Suo sacrificio, e quello di tanti martiri immolatisi solo per non ripudiare una… teoria! Ma la cosa inquietante è l’equazione che s’instaura, perché se è vero che il Vangelo è la “Buona novella” e se è vero che questa è lo stesso Gesù in quanto “Via, Verità, Vita”, ne consegue che Cristo stesso è una teorìa.
(Non vi pare di sentire una risata di Bultmann?).

Eppure, in una delle omelìe che vanno sotto il nome di “Santa Marta”, commentando proprio questo passo lucano, papa Bergoglio si produsse in una commossa e animata apologìa della testimonianza, quella che il cristiano deve dare nel resistere alla violenza con atto di carità, “allargando il cuore” (Radio Vaticana, 18 giugno 2013). Oggi, a distanza di un anno e mezzo, il criterio è mutato e l’esegesi s’è trasformata in un consiglio di pratica spicciola: niente pugni, certamente, ma niente provocazione perché in tal caso il pugno, o il calcio al retro, è risposta naturale. Quel MA annulla il valore del monito cristiano. Non ci sembra che il pontefice, ricucendo quella anomala affermazione del pungo con il ritenere il Vangelo una bella, divina teorìa ma sempre teorìa, abbia dato prova di sequela cristiana. Ma dove ha studiato?

2 - PATERNITÀ . . . IRRESPONSABILE
     
Caro Direttore, concedici, per questo trafiletto, di usare la prima persona singolare dacché quanto andremo ad esporre pertiene perfettamente all’argomento e alla nostra esperienza di figlio. E concedi che si possa citare qualche nostra personale circostanza funzionale al significato che questo intervento intende racchiudere.
Ed allora:
durante l’incontro che papa Bergoglio ha tenuto con i giornalisti, nel viaggio di ritorno a Roma, sempre a quota 8 mila metri, s’è parlato di demografia, di planetario affollamento umano, di prospettiva paramaltusiana, di famiglia e, infine, quale corollario del recente Sinodo, di paternità responsabile.
Il pontefice è stato chiaro, chiarissimo: basta con le superfamiglie che, in contesti poveri come le “periferie” del mondo, diciamo le Filippine, diciamo il Brasile ove vivono, si fa per dire, schiere di bambini di strada, rappresentano, per gli occhi del progressismo, più un castigo che una benedizione di Dio. La famiglia, quella che attualmente dovrebbe valere quale modello, dovrebbe canonicamente consistere in un massimo di tre figli.
Eh sì, perché, come chiosa un supposto teologo – Vito Mancuso, La Repubblica 20/1/2015: il pastore del popolo –  per i medievali “omne trinum est perfectum”.
Perciò, cari genitori, datevi una regolata: consultate esperti, psicologi, sacerdoti, frequentate centri di assistenza ma non esagerate “a figliare come conigli!

Non sembra anche a voi, cari lettori, di leggere, o di ascoltare, un proclama del “Planned Parenthood” massonico? Un Papa che si mette a regolamentare le nascite!
Finalmente un parlare schietto - si congratula la stampa mondiale – un’espressività popolare che tanto piace e che mai sarebbe stata adottata da un GP II o da un Benedetto XVI ancorati al plurale maiestatico, chiosa sempre il Mancuso, un linguaggio che, senza sovvertire l’ordine del divino Creatore e senza scantonare in aperto maltusianesimo, avverte che “ mettere al mondo tanti figli è tentare Dio”specialmente laddove regna la povertà.
Egli rammenta, a rinforzo della sua osservazione – poco discretamente, lui che ha biasimato la “chiacchiera” – di aver rimproverato una signora che aveva concepito per l’ottava volta dopo che, nelle precedenti aveva subìto il parto cesareo. “Vorresti rendere orfani i tuoi figli? Tu tenti Dio!”.
Come si vede, un saggezza maltusiana condita di buon senso economico che, nel preoccuparsi della salute della donna e dell’avvenire dei figli, diffida di quella Provvidenza di Dio che si preoccupa di tutto il creato. “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei grana; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?” (Mt. 6, 26).
Aver, perciò, paragonato la funzione materna, pur espletata nel contesto di un rischio, come un “tentare Dio” ci sembra, e lo è, segno di impudenza e di sfiducia in Dio e nella sua potenza e relativa fiducia nelle misure umane. “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mt. 16, 23) dice Gesù a Pietro.

La parificazione, poi, della generosa e plurima paternità allineata a quella dei conigli è indizio non solo di linguaggio stradaiolo, plebeo e di pensiero banale, ma palese dileggio di quel sacro e misterioso dono, dato direttamente da Dio all’uomo che è la capacità di riprodurre la vita razionale. Ma tant’è, questo è il Papa che parla, purtroppo, a braccio e che deraglia, specialmente quando fa magistero in Santa Marta e sugli aerei, ma che avrebbe fatto meglio a rivolgere le sue autorevoli apostrofi ai politici di quel paese, le Filippine, a maggioranza cattolica, esigendo l’adozione di provvedimenti a sostegno e a tutela della famiglia piuttosto che prendersela con  i coniugi coniglieschi e irresponsabili.
La stampa non ha còlto questo aspetto perché ha preferito godersi beotamente l’ilarità per l’analogia di cui sopra. Evidente capovolgimento della logica cristiana.

Sul filo di questa biasimevole intemerata ho pensato ai miei scomparsi genitori e, così, ho mentalmente  rivolto loro questa mia addolorata e amara lettera:
    
Cari papà e mamma: solo ora, 20 gennaio 2015, all’età avanzata di 73 anni durante i quali vi ho amati come parte di me stesso ed anche di più, solo ora, dicevo, comprendo la superficialità con cui avete invece gestito il vostro ruolo di  padre e di madre. Ė vero certamente che a vostra scusante hanno giocato molti fattori negativi perché i vostri furono tempi in cui: assente la televisione; assente un’informazione opportuna; assenti i movimenti abortisti; assente la pillola del giorno dopo; assente il divorzio; assente la “nuova teologìa” ma presente tanta povertà, tanta santa ignoranza, non trovaste meglio da fare che mettere al mondo otto – dico otto – figli. Ė vero che ad essi non faceste mai mancare il pane seppur talora poco e secco; è vero che non sapeste fornire loro una decorosa educazione libresca ma solo quella della semplicità e dell’onestà e della preghiera; è vero che tu, papà, non potesti fare ulteriormente di meglio perché te ne andasti a 41 anni divorato dal grumo feroce del cancro e dall’immedicabile dolore per la precedente perdita del più piccolo dei tuoi figli, di soli cinque anni, travolto da una fredda automobile; è vero che, ugualmente tu, mamma, non sapesti allora far altro che affidarti al Signore lavorando fino a sfiancarti dalla fatica, mandando le tue due figlie poco meno che adolescenti, a guadagnarsi il pane, l’una presso uno studio medico e l’altra presso un sarto di paese, gli altri due miei fratelli ad imparare un mestiere artigiano e me spedito in collegio dai Fratelli Maristi. Tutto ciò, cari genitori, costò dolore, sacrificio, lagrime che, adesso, dopo questa rivelazione del Papa, so che potevano esserci risparmiati se solo foste stati “più responsabili” e non “aveste tentato Dio” con lo scodellare un figlio dopo l’altro. Con un pizzico di maturità, quella a cui accenna il Papa, avreste evitato a voi sofferenze, preoccupazioni e problemi per la sopravvivenza e a noi altrettali sofferenze, preoccupazioni, privazioni e problemi esistenziali. Ora che tu, papà, e tu mamma siete lassù – credo e spero, sempre che Dio non vi abbia imputato il bergogliano peccato di “temeraria irresponsabilità” -  attorniati da cinque dei vostri figli e miei fratelli, vi siete liberati delle pastoie di questo mondo e avete lasciato me, con l’altra sorella e l’altro fratello, a dibattermi in questa valle di lagrime.
Dovrei, pertanto, nutrire verso di voi un sentimento di opaco rammarico e di compassionevole, velato rimprovero, ora che il Pastore del Cattolicesimo, Fede nella quale io milito, mi ha fatto comprendere quanto leggeri e sconsiderati voi foste col metterci al mondo ed aver, soprattutto, costretto il Signore ad impegnarsi per proteggerci e custodirci. Bastavano tre, i primi tre figli  di cui due, già dopo un anno e mezzo, se ne andarono vittime dell’influenza. Noi altri cinque, mai concepiti, non avremmo dovuto sopportare traversìe, impedimenti e dolori. Saremmo stati il puro nulla, un niente ed io non starei qui a rinfacciarvi la vostra scriteriata prolificità. Ecco, cari papà e mamma: se dovessi dar consenso alla dottrina di questo Papa, che parla schietto, io vi dovrei accusare di averci causato, con la vostra irresponsabilità, drammi e odissee gratuite e mai desiderate.
Ma non è proprio così, non è affatto così e lo sapete.
Siete stati, nella vostra semplicità di genitori analfabeti, i migliori perché ricchi del sorriso del povero che si accontenta del poco, ricchi della fede in Dio, ricchi di quel buon senso pedagogico, amorevole e severo in giusta misura, davanti a cui svaniscono anche i più distillati e eruditi sistemi educativi laici. Ricordo quel senso di ingenua e festosa felicità quando tutti, attorno al tavolo, si stava in attesa che tu mamma provvedessi a servire la piccola ma meritata cena. Unità e amore, fiducia e innocenza. La vostra azione ha sempre camminato sul sentiero dell’onestà, della sincerità, della buona volontà, della moderazione, della prudenza e del rispetto. Ci educaste a questi valori, a non desiderare di troppo, a non invidiare, a non rubare, a non praticare il vizio e nei momenti luttuosi sapeste confortarci dandoci la speranza che tutto sarebbe, in seguito, mutato in bene. Ancor oggi, a distanza di decenni, i vostri volti son vivi nel nostro essere e presenti nella mia casa, ritratti in due piccole tele, da me amorosamente realizzate, poste accanto a un quadro della Vergine Maria col Bambino.
Dica quel che vuole il “vescovo di Roma”, ma il Signore, lungi dall’imputarvi colpe, vi accoglie nella sua gloria, e ne sono certo perché tu, papà, dopo una vita, troppo breve, trascorsa interamente dalla fanciullezza tra riarse stoppie di grano e polverose cave, moristi giovane con l’invocare il Suo santo Nome e con l’affidarti alla tua prediletta Santa Rita, e tu mamma, nata il sabato di un 25 marzo, chiamata Annunziata, ti riunisti a lui il sabato di un 13 maggio, giorno di Nostra Signora di Fatima.
Vi voglio bene, oggi ancor di più, amatissimi irresponsabili!
Vostro riconoscente figlio, settimo di otto.”






gennaio 2015

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