IL FALLIBILISMO:
LA PROTERVIA TEOLOGICA

RISPOSTA ALL’ARTICOLO DI ENRICO RADAELLI
Custos quid de nocte

 
di Fra Leone da Bagnoregio


Alcune settimane orsono pubblicammo su richiesta di amici, un articolo di risposta alla precedente discussione intavolata dal Prof. Enrico Radaelli sulla fallibilità del magistero ecclesiastico, al tale articolo non abbiamo avuto risposta. In questo momento in cui il relativismo sia dottrinale e morale pervade le coscienze di coloro che un tempo erano cattolici e che ora brancolano privi di certezze, in un limbo avvolto dalle nebbie, continuare ad affermare con sofismi un errore più volte condannato dai papi è non solo temerario, ma rasenta quella protervia che conduce ineluttabilmente all’eresia!
Qui lo riproponiamo con alcuni accrescimenti e qualche espunzione, come detto nello studio precedentemente non vogliamo prendere in considerazione i teologi post conciliari, ma abbiamo come riferimento soltanto i teologi preconciliari che sono unanimemente concordi nell’affermare certi principi propri della teologia cattolica.

IL MAGISTERO DELLA CHIESA

Prima di tutto sbarazziamo il campo dagli equivoci come si è evidenziato in un precedente studio (1) esistono i seguenti tipi di magistero ecclesiastico:
A - Magistero Infallibile della Chiesa:
1° Magistero solenne dei concili
2° Magistero ordinario universale (2)

B - Magistero Infallibile del Papa
Magistero ex cathedra

Vi sono quindi altri atti considerati come infallibili virtualmente dai teologi con la nota di “teologicamente certi” o “prossimi alla fede” perché collegati ai primi:
a) Canonizzazioni dei Santi;
b) Emanazioni di leggi sia liturgiche che disciplinari obbliganti la Chiesa universale;
c) Approvazione di ordini e congregazioni religiose;
d) Fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche;

C – Magistero ordinario del Sommo Pontefice (non infallibile nelle definizioni).
D – Magistero della Chiesa (non infallibile nelle definizioni) (3).

I documenti del Vaticano II non dovrebbero far parte del Magistero Infallibile della Chiesa, anche se alcuni teologi credono che si debba ricomprendere nel Magistero ordinario universale, secondo altri tale affermazione è di dubbia interpretazione perché il Magistero ordinario universale, sarebbe il magistero dei vescovi uniti con il Sommo Pontefice dispersi nell’ “orbe” cattolico.
Considerato che questo magistero promana da un concilio ecumenico e che l’oggetto di questo non tratta in particolare di articoli di fede, ma soltanto di argomenti ad essi attinenti, per volontà stessa del legislatore, non potrebbe essere considerato come infallibile, il valore dei suoi documenti dovrebbe inserirsi con la nota teologica di dottrina sicura “tuta”. Ad ogni buon conto dovrebbe essere considerato come magistero della Chiesa non garantito dell’infallibilità “in proponendo”; come è stato a sua volta anche il magistero del I Concilio di Lione che trattò esclusivamente questioni disciplinari e non dogmatiche. Nessun teologo in quel caso ebbe l’audacia di affermare che tale insegnamento fosse privo di autorità e fallibile e non dovesse essere, quindi, seguito o non tenuto in considerazione; infatti, anche quanto contenuto nel magistero del Concilio di Trento, non tutto è da considerarsi infallibile, moltissimi punti trattano esclusivamente questioni disciplinari.
I teologi “del Vaticano II” coniarono il termine di “magistero autentico” per definire l’insegnamento ecclesiastico che scaturì dal Vaticano II. Almeno le due Costituzioni dogmatiche del Concilio avrebbero dovuto avere un carattere vincolante per tutte le coscienze.

IL VIRTUALMENTE RIVELATO

Torniamo al momento sul magistero infallibile. Le canonizzazioni dei santi.
Non un solo teologo classico ha insegnato che la Chiesa potesse errare in tale questione! Il buon Radaelli non cita un unico teologo preconciliare e, dico uno solo, che abbia affermato tale tesi con l’imprimatur di un censore ecclesiastico! Tutti i teologi che egli porta per avvalorare la sua tesi, sono i teologi del nuovo magistero che lui proprio contesta.
Tutti i teologi classici hanno insegnato, invece, il contrario per tutti i teologi l’atto di canonizzazione è una “sententia definitiva” non più riformabile: «L’oggetto proprio che viene definito dalla Chiesa nella canonizzazione dei santi, è che una data persona in concreto, per esempio Giovanni Bosco, è un santo e merita quel culto il quale viene imposto a tutti i fedeli, verso di lui. Da questo segue necessariamente che quel santo già si trova in Paradiso. Ma nello stesso tempo la Chiesa ci propone col suo magistero ordinario, il medesimo santo come esimio esemplare di vita cristiana». «Un martire invece, in quanto tale, viene proposto come esemplare per sé solo di fortezza e di carità della morte sostenuta per Cristo» (4).  

Altri teologi sono ancora più chiari in materia, si confronti quanto detto da Ludovico Ott e da Timoteo Zapelena (5). Per quanto concerne “l’ottemperanza alle norme canoniche” sollevata dal Radaelli è interessante quanto è proposto dall’esimio teologo De Groot O.P. il quale indica come obiezione all’infallibilità della Chiesa nelle canonizzazioni la falsa testimonianza di coloro che sono sentiti dalla Congregazione Romana competente sia riguardo ai fatti che ai miracoli dei soggetti oggetto del processo di canonizzazione (evidente inottemperanza). Il teologo seguendo San Tommaso, precisa che l’obiezione non è pertinente in quanto: «La Chiesa nelle canonizzazioni dei santi è coadiuvata dallo Spirito Santo, infatti, Dio che coarta i mezzi per il fine, provvede che sia difesa la verità nella Chiesa affinché non sia corrotto il giudizio della Chiesa sui santi a causa di qualche errore propugnato dai testimoni mendaci (…) e la divina provvidenza preserva la Chiesa affinché non fallisca per il fallibile testimonio degli uomini» (6).

«Ripugna con la provvidenza soprannaturale, che Cristo, capo e sposo, deve elargire al corpo della Chiesa e alla sua sposa, che permetta ad essa (alla Chiesa) di proporre come da venerare e da imitare un dannato, un nemico di Cristo e un servo del demonio» (7).
Sempre su questo argomento sentiamo ancora quanto afferma il Cartechini: «Essa non è se non l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul culto dei santi e l’atro della comunione dei santi. È dottrina cattolica o teologicamente certa che la vita del santo che viene canonizzato sia esempio esimio e modello di vita cristiana e di perfetta virtù» (8).

Passiamo ora alle leggi liturgiche e disciplinari. Non vogliamo citare la lunga discussione che il Prof. Enrico Radaelli intavolò sulla questione, ci soffermiamo soltanto su una frase che ci pare molto grave:«Basterebbe l’istituzione del Novus Ordo a rendere problematica ogni pretesa di automatismo per le ‘verità connesse’. Il fatto è che l’infallibilità delle verità connesse si può riconoscere solo a precise condizioni, che esistono, ma che possono essere realizzate ma anche non realizzate …».
Si spera che il Radaelli abbia ben pesato le sue affermazioni!
Ci domandiamo chi dovrebbe riconoscere le condizioni atte ad esercitare l’infallibilità? I vescovi, i fedeli o i sacerdoti?
Se ben comprendiamo chi dovrebbe sancire la continuità con la tradizione della Chiesa?
Non certo il papa, ma la gerarchia che dovrebbe essere a lui sottoposta o in mancanza di questa il semplice fedele! L’autorità di insegnare nella Chiesa si eserciterebbe, quindi, democraticamente dal basso e il “coetus fidelium” acquisirebbe tale autorità da un arcano e non ben compresa investitura divina! Interessante affermazione che se fosse ancora possibile si dovrebbe sottoporre all’esame dei censori del Santo Uffizio.

Torniamo alle leggi liturgiche e disciplinari, l’infallibilità nella promulgazione di riti e nelle leggi ecclesiastiche è un’infallibilità in non errando, cioè quanto è contenuto nei libri liturgici o disciplinari non può essere erroneo o ingannare i fedeli, il che non vuol dire che non possa essere irreformabile. «Bisogna ammettere che la Chiesa nello stabilire questo o quel rito non erra, saremo tenuti ad ammetterlo, ma ugualmente non saremo tenuti ugualmente ad ammettere che tale rito sia, sotto ogni aspetto il migliore di qualunque altro possibile» (9).  Le argomentazioni del Prof. Radaelli cadono a questo punto, un papa può promulgare un rito legittimo, anche se non esprime al massimo il dogma contenuto in quel rito. «I pontefici sono infallibili nell'elaborazione di leggi universali concernenti la disciplina ecclesiastica (liturgia e diritto disciplinare), di modo che non possano mai stabilire qualche cosa che possa in qualsiasi modo essere contrario alla fede e alla morale» (10).
Pensare che la legittima suprema autorità possa indurre la “Chiesa discente” alla perdizione mediante i sacramenti e il diritto della Chiesa, è non solo temerario, ma rasenta il prossimo all’eresia. Questa infallibilità virtuale trae origine da atti del Magistero, si veda ex multis il Concilio di Costanza DS. 1198, il Concilio di Trento DS. 1613 e la Bolla Auctorem fidei di Pio VI DS. 2678.

Per quanto concerne fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche è chiaro che mettere in discussione l’infallibilità di questo insegnamento comporrebbe, mettere in discussione la legittimità di papi e concili già definiti e la condanna di errori ed eresie compiute dai sommi pontefici e la determinazione stessa dell’autenticità della Sacra Scrittura (11).

IL MAGISTERO ORDINARIO

Esaminiamo ora quanto concerne l’insegnamento del magistero ordinario del Romano Pontefice.
Questa stessa non errabilità si estende pure al semplice magistero ordinario del papa, come, infatti, insegna Pio XII nell’enciclica - “Humani generis”: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo. Infatti, questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono poi le parole: “Chi ascolta voi,ascolta me” (Lc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi» (12).

Già papa Leone XIII affermava questo principio, infatti, Leone XIII nella mirabile enciclica “Satis cognitum” insegna, infatti: «Da quanto si è detto appare, dunque, che Gesù Cristo istituì nella Chiesa “un vivo autentico e perenne magistero”, che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi». Mettere in discussione l’insegnamento della suprema autorità è come rovesciare i principi fondanti della Chiesa.

Lo stesso papa Pio IX si esprime in modo chiaro su questo argomento nella lettera “Tuas libenter” al cardinale Arcivescovo di Frisinga e di Monaco: «… per questo motivo i partecipanti al congresso debbono ammettere che per gli studiosi cattolici non è sufficiente che accolgano e rispettino i predetti dogmi della Chiesa, ma è anche necessario che aderiscano sia alle decisioni che riguarda la dottrina sono prese dalle congregazioni pontificie, sia a quei punti di dottrina che dal comune e costante consenso dei cattolici sono ritenute verità teologiche e conclusioni tanto certe, che le opinioni contrastanti con quei punti di dottrina, anche se non si possono definire eretiche, meritano però qualche censura teologica» (13).

Il Papa possiede la: «potestas suprema jurisdictionis  (…) non solum in rebus quae ad fidem et mores sed etiam in iis quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per totum orbem diffusae pertinent » (14). 

Stesso principio si applica “a fortiori” per l’insegnamento non infallibile dei concili ecumenici, non è, infatti, possibile che Cristo Nostro Signore permetta che tutta la gerarchia della Chiesa inganni universalmente tutti i fedeli con un magistero di perdizione. Come abbiamo già affermato all’inizio di questo studio sia l’insegnamento delle encicliche che quello dei concili ecumenici, non può essere nocivo per i fedeli e deve essere considerata dottrina sicura “tuta”, perché il contrario non può essere insegnato.

CONCLUSIONE TEOLOGICA

Il metodo che il Prof. Enrico Radaelli applica per sancire la fallibilità di atti del magistero che tutti i teologi considerano invece come garantiti dall’infallibilità seppur virtuale, non è per nulla corretto, e questo errore porta a una conclusione ancora più erronea. Si può dire, infatti, che il professore inverte l’onere della prova.

Il metodo utilizzato dal Radaelli è il seguente: considerato che gli atti, le leggi liturgiche e/o disciplinari e canonizzazioni emanati dai papi conciliari risultano non buoni, anzi fortemente erronei si deve ritenere che l’infallibilità non sia garantita per tali atti o per motivi di procedura o per motivi di fede: «non avrebbero nella Sacra Scrittura solide basi per riscontrare la loro infallibilità».
Questo metodo va considerato semplicemente come un sofisma e ci stupisce che l’allievo di Romano Amerio non se ne sia accorto, oppure non voglia accorgersene.

Il corretto ragionamento funzionerebbe in questo modo, perché la maggiore del sillogismo in questi casi parte sempre da un dettato di fede: l’oggetto secondario del magistero è infallibile, i papi conciliari hanno promulgato atti contenenti errori, che dovevano essere garantiti da questa infallibilità, pertanto i papi conciliari non fruivano dell’assistenza dello Spirito Santo quando promulgarono tali atti.  Intaccare con sofismi quanto è già stabilito almeno come “sentenza certa” dalla Chiesa non è servire la Chiesa, bensì minare le sue stesse fondamenta.

«Se è rivelata l’essenza metafisica di una cosa sono rivelate anche le sue proprietà metafisiche, non però anche quelle fisiche; se è rivelata l’essenza del suo stato connaturale, sono rivelate anche le sue proprietà connaturali; se è rivelata l’essenza del suo stato perfetto, sono rivelate anche le sue perfezioni accidentali» (15).
Se si esamina attentamente l’argomento, questo ragionamento non può che portare a conclusioni certe per la fede: «‘Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno’ (Lc. 22,32.) Dunque Pietro è infallibile, almeno nelle verità rivelate; dunque è infallibile anche nei fatti dogmatici (e in tutto l’oggetto secondario del magistero)» (16).

Riproponiamo in questa occasione di studio il brano del Card. Giovanni Battista Franzelin grande teologo dei pontificati di Pio IX e Leone XIII, brano già citato in precedenti articoli sull’argomento: «La Santa Sede Apostolica a cui è stato affidato da Dio la custodia del deposito, ed ingiunto l'incarico e il dovere di pascere tutta la Chiesa per la salvezza delle anime, può prescrivere affinché siano seguite, o proscrivere affïnché non siano seguite, le sentenze teologiche o connesse con le cose teologiche, non unicamente con l'intenzione di decidere infallibilmente con sentenza definitiva la verità (...). In tali dichiarazioni... vi è tuttavia un’infallibile sicurezza, nella misura che è sicuro che possa essere abbracciata da tutti né si può rifiutare di abbracciarla senza violazione della dovuta sottomissione verso il magistero costituito da Dio. Pertanto l'autorità del magistero costituita da Cristo nella Chiesa, quanto a ciò che trattiamo ora, può essere considerata sotto due aspetti. Primo, in tanto che per i singoli atti è sotto l'assistenza dello Spirito Santo per la definizione della verità, o in tanto che è autorità d’infallibilità. Secondo o “extensive”, in tanto che il magistero stesso agisce con l'autorità di pascere le cose affïdategli da Dio, non tuttavia e non tutta la sua intensità, se cosi si può dire, né per definire una volta per tutte una verità, ma per quanto è apparso necessario o opportuno e sufficiente per la sicurezza della dottrina; e questa autorità noi possiamo chiamarla autorità di provvidenza dottrinale. L’autorità infallibile non può essere comunicata dal Pontefice agli altri suoi ministri che agiscono in suo nome. Ma l'autorità inferiore di provvidenza dottrinale, come l'ambiamo chiamata, non indipendente ma con dipendenza dallo stesso Pontefïce è comunicata (con maggiore o minore estensione ad alcune Sacre Congregazioni.'.. Noi stimiamo che tali giudizi, anche inferiori alla definizione ex cathedra, possono essere cosi disposti che richiedano l'obbedienza che include l'ossequio dell'intelligenza: non affinché venga creduta la dottrina infallibilmente vera o falsa, ma affinché si giudichi che la dottrina contenuta in tal giudizio è sicura, e noi dobbiamo abbracciarla, e rigettare la contraria, per il motivo della sacra autorità» (17).

Se si riscontrano in un atto del magistero ecclesiastico gravi contrasti con l’insegnamento infallibile precedente, il motivo va ricercato nell’ente emanante quell’atto erroneo. Stesso principio va applicato al teologicamente certo e virtualmente rilevato, con una gravità ancor maggiore.

Il problema del Vaticano II è che subdolamente viene insegnata una dottrina modernista contraria a quella precedente, anzi in molti punti tale dottrina va letteralmente in contrasto a quanto già definito dall’insegnamento infallibile dei romani pontefici. Si veda come esempio l’insegnamento riguardante “Dignitatis humanae” che è contrario a quanto definito in materia da Pio IX nell’enciclica “Quanta Cura” ritenuta da tutti i teologi preconciliari come atto infallibile (18).  Anche se i documenti del Vaticano II non sono infallibili “in proponendo” devono essere infallibili almeno in “non errando” ovvero non si può affermare il contrario come affermano i Sommi Pontefici e tutti i teologi. Considerato che tali atti hanno errato, il motivo del loro errore va ricercato nell’autorità che ha ratificato i documenti del Vaticano II. La differenza tra l’infallibilità “in proponendo” e quella “in non errando” consiste nel fatto che gli atti in “non errando” sono modificabili dal legislatore, mentre quelli “in proponendo” sono una “sententia definitiva” come per le canonizzazioni dei Santi, nella Chiesa non è mai capitato che un santo canonizzato non venisse più ritenuto tale dall’autorità apostolica argomento che rileva ai fini dell’infallibilità di tali atti.

Va considerato inoltre che tale insegnamento fonda le sue radici proprio nella Sacra Scrittura, quando Nostro Signore Gesù Cristo dice agli Apostoli: «Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt. 28,20)» dichiara di elargire anche la sua assistenza alla Chiesa e alla sua gerarchia affinché non cadano nell’errore e continuino ad insegnare la sana dottrina al gregge loro affidato.
Affermare il contrario di quanto sopra esposto, è asserire che i papi e i teologici cattolici approvati dalla gerarchia cattolica si siano sbagliati unanimemente e costantemente su tale punto di dottrina, dichiarazione al limite dell’eresia. Probabilmente il Prof. Radaelli nell’agone di voler ad ogni costo mantenere in piedi un’autorità non più tale, cerca con ogni mezzo di salvarne la visibilità, non solo contro ogni insegnamento della Chiesa ma contro lo stesso principio di identità e non contraddizione, postulato principale di ogni cognizione della verità.

Tratteremo in altra sede le modalità che hanno portato alla non assistenza soprannaturale nel loro “magistero dell’errore” dei “papi conciliari” che non può che essere l’eresia, e della perdita di autorità, perché questo lavoro si è già dilungato oltre il dovuto.

L’argomento sul magistero potrebbe essere ulteriormente dibattuto, riproponendo argomenti già sviscerati in molteplici studi proposti da insigni teologi, riteniamo però inutile disquisire su argomenti che sono di una tale evidenza che pure gli pseudo teologi modernisti riconoscono fondati teologicamente. Pensare che un giorno la “chiesa conciliare” ammetta gli errori del Vaticano II e degli atti emanati dai “papi conciliari” è da ritenersi pura fantasia. Lo stesso “card. Seper” ribadì a Mons. Marcel Lefebvre il medesimo concetto dal quale non ebbe però mai una risposta (19).  Anche quando Benedetto XVI liberalizzò “ufficialmente” l’antico rito della Messa con il “motu proprio Summorum Pontificum” pretese come condizione preliminare di ammettere non solo la legittimità del “Novus Ordo” ma anche la sua bontà e genuinità dottrinale.

***

Concludendo invitiamo veramente di cuore il Prof. Enrico Radaelli a non insistere su argomenti che lo sorpassano, perché la pertinacia su certi errori porta ineluttabilmente all’eresia: «Chi, infatti, nega una conclusione teologica, senza però respingere la premessa di fede dalla quale si deduce la conclusione, non è eretico perché non nega niente di formalmente rivelato... Tuttavia commette un errore gravissimo perché nega ciò che, una volta negato, lo conduce facilmente a negare l’oggetto della fede (…) Chi, infatti, nega una conclusione teologica dedotta con evidenza da una premessa che è certamente di fede e un’altra è evidente al lume della ragione, con ciò stesso, non potendo negare la premessa che gli è evidente al lume della ragione, non gli rimane che negare la premessa di fede. Consta, infatti, dalla logica che non può una conclusione essere falsa, se non è falsa una delle premesse, perché il falso non procede dal vero, ma solo dal falso» (20).

A.M.D.G.
25 gennaio 2015
Festa della Conversione di San Paolo
                   

NOTE

1 - Cfr. lo studio: Infallibilità della Chiesa e del Papa.
2 - Questa divisione è suggerita da: Sisto Cartechini Dall’opinione al domma, p. 25 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953;  e Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi  – Vol. II – Roma 1954 anche a seguito della Costituzione “Dei Filius” del Concilio Vaticano I “Porro fide divina et catholica ea omnia credenda sunt, quae in verbo Dei scripto vel traditio continentur et ab Ecclesia sive solemni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur”.
3 - Questi due tipi di insegnamento non compaiono nel precedente articolo, sono stati inseriti per far comprendere meglio al lettore questa tipologia di insegnamento della Chiesa, in quello precedente l’insegnamento delle encicliche è stato trattato in una parte dello studio stesso.
4 - Sisto Cartechini S.J.Dall’opinione al domma, p. 175 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953.
5 - Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi, pp. 248, 249 – Vol. II – Roma 1954. Ludovico Ott Compendio di Teologia Dogmatica p. 493 Ed. Herder Torino – Roma 1955 “La canonizzazione dei santi cioè il giudizio definitivo che un membro della Chiesa è stato accolto nella beatitudine eterna e dev'essere oggetto di culto pubblico. Il culto reso ai santi, è, come insegna San Tommaso ‘una professione di fede, con cui crediamo alla gloria dei santi’ (Quodl. 9, 16). Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua santità.
6J.V. De Groot O.P.Summa Apologetica Parte I – p. 293, - Ratisbona 1890.
7H. Hunter S.J., Theologiae dogmaticae compendium, Innsbruck 1891, p. 301.
8 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 127.
9 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 65.
10 - F. X. Wernz P. Vidal, - Jus canonicum ad codicis normam exactum, Vol. II, p. 410 – Roma 1923-1938.
«Il per cui è stato istituito il magistero ecclesiastico è di istruire ed erudire gli uomini, proprio in quelle cose che si riferiscono al culto di Dio e alla via per la salvezza; per ottenere principalmente ed efficacemente questo fine  Cristo dotò la Chiesa del magistero con il carisma della verità, ovvero della prerogativa dell’infallibilità (…) L’assistenza  pertanto al magistero ecclesiastico promessa divinamente si estende a tutti gli atti del magistero in cui la Chiesa  propone ed impone dei precetti disciplinari e liturgici da osservarsi per tutti i fedeli» T. Zapelena, op. cit. p. 254.
11 - Cfr. l’articolo ‘L’infallibilità della Chiesa e del Papa’: «L’oggetto dell’infallibilità è intrinsecamente connesso con il dogma. La legittimità di un papa o di un concilio è un fatto dogmatico, in quanto dalla legittimità di quel papa o concilio dipende la verità storica di quel fatto. Se un papa non è legittimo non è il vero successore di Pietro, quindi, non è infallibile, stesso argomento vale per i concili ecumenici se un concilio non è legittimo, quanto da esso promulgato è nullo. Se, pertanto, la Chiesa potesse errare dichiarando la legittimità di un determinato papa o di un determinato concilio ecumenico, si potrebbe ritenere come dogmi rivelati realtà che non sono tali.
Le conclusioni teologiche hanno lo stesso compito, infatti, quando la Chiesa condanna un determinato errore ha come fine di preservare il deposito della fede. Si veda come esempio la condanna del giansenismo o del liberalismo oppure del modernismo, un «concilio dunque non sempre definisce dommi di fede, ma definisce anche proposizioni teologicamente certe e fatti dogmatici»; se la Chiesa si sbagliasse nel suo insegnamento, comporterebbe che non ci sarebbe più la possibilità di preservare l’ortodossia nella religione cattolica e i fedeli potrebbero liberamente aderire a degli errori che li condurrebbero ineluttabilmente alla perdita della fede, quindi, metterebbe a repentaglio la loro salvezza eterna».
12Pio XII, Enciclica “Humani Generis” in Acta Apostolicae Sedis, Roma 12.08.1950 Vol. 42.
13Pio IX, Lettera Apostolica “Tuas libenter” in Acta Santae Sedis , Roma 21.12.1863 pp. 436 – 445.
14Concilio Vaticano I, Costituzione Conciliare Pastor Aeternus, DS 3064.
15 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 124.
16 Ibidem p. 125.
17Card. Giovanni Battista Franzelin S.J.- “De Traditione” Tesi XII, Schol. I, pp. 119 – 122 – Roma 1896.
18 - Roberto de MatteiPio IX, p. 182 Ed. Piemme – Casale Monferrato - 2000.
19 -  «1. A proposito dell'Ordo Missae:
a) «un fedele non può mettere in dubbio la conformità con la dottrina della Fede di un rito sacramentale promulgato dal Supremo Pastore (p. A3)». Brano tratto dal libro Mons. Lefebvre e il Santo Uffizio - Roma 1980.
20 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 95.




gennaio 2015

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