La riflessione pasquale del rabbino capo di Chieti
ovvero
Le dotte elucubrazioni del
custode della dottrina dell’episcopato italiano


Riportiamo integralmente la riflessione del vescovo di Chieti in occasione della Pasqua 2010.
Basta leggerla con un minimo di attenzione per rendersi conto che questo vescovo cattolico o non ha capito niente della Pasqua di Cristo, o fa finta: rivelando così un’intenzione sovvertitrice degli insegnamenti cattolici.

Abbiamo sottolineato alcuni passi e in relazione ad essi abbiamo espresso la nostra impressione da semplici fedeli, ben lungi dal possedere il minimo requisito “magisteriale”, ma certi che le cose lette non sono cattoliche.

Nel contempo, non abbiamo potuto trascurare certi passi che ci sembrano in contrasto perfino con la semplice logica.

Riportiamo in calce una nota biografica del Nostro tratta dal sito dell'Arcidiocesi di Chieti-Vasto


Pasqua, lievito nuovo per il mondo

+ Bruno Forte
Padre Arcivescovo

“O Signore dei mondi, è perfettamente chiaro al Tuo cospetto che è nostra intenzione compiere la Tua volontà. Ma chi ce lo impedisce? Il lievito che è nell’impasto”. Quest’antichissimo testo ebraico, che si trova nel Talmud babilonese, mi sembra esprimere bene la concezione della vita e della storia propria della Bibbia. L’Eterno ha avuto tempo per l’uomo, si è anzi destinato alla Sua creatura in un rapporto d’alleanza fedele. Il popolo eletto sa bene che la sua felicità sta nel destinarsi a sua volta all’Eterno, facendo la Sua volontà. 

Eppure – lo riconosciamo umilmente – l’incontro si inceppa: c’è nella pasta, di cui è fatto il tempo, qualcosa che ne trattiene la crescita verso il Regno di Dio. Bisogna cambiare il lievito del mondo: e questo può farlo solo un Dio che accetti di “sporcarsi le mani” con gli uomini, entrando nel tempo e facendolo Suo. Il passaggio del Mar Rosso – le cui acque si aprono per far passare Israele dalla schiavitù d’Egitto al cammino verso la libertà della terra promessa – è il grande evento della liberazione non perché l’uomo sia tratto fuori della storia, ma perché Dio agisce in essa come il Dio della speranza, che schiude le vie dell’esodo e assicura la conquista del paese dove “scorre latte e miele”. La potenza del braccio del Signore è intervenuta in quell’ora drammatica perché il popolo pellegrino verso la terra della Sua promessa sapesse di non essere solo nel cammino, di poter anzi contare su un lievito nuovo, capace di far fermentare la massa del tempo verso la patria della libertà. 

Quest’evento fondatore viene sancito nell’alleanza del Sinai, dove ciò che è avvenuto una volta per sempre è consegnato alla memoria della fede, per sostenerla in ogni ora del pellegrinaggio del tempo. L’ebraico userà la parola “ziqqaron”, “memoriale”, per dire questa memoria che non è pura operazione della mente per andare dal presente al passato, ma compimento, riattualizzazione, per cui il passato delle meraviglie di Dio si fa presente qui e ora dove il Suo popolo celebra il passaggio del Signore, che consente il passaggio del popolo in esodo verso le sponde della libertà. È questa la fede che celebriamo in questo giorno: Pasqua – “pesaq”, “passaggio” – è appunto il memoriale della liberazione dell’esodo, la festa della compromissione di Dio, l’inizio compiutosi una volta per sempre e attualizzato sempre di nuovo del pellegrinaggio verso la Terra della promessa del Signore. Così anche l’ebreo Gesù celebra la Pasqua: e quando nella Sua ultima cena pasquale ordina ai Suoi di “fare questo in memoria di Lui” istituisce il memoriale dell’alleanza nel Suo sangue, di quell’esodo che si compie nel Suo cammino verso la morte di Croce e da essa, attraverso il Sabato santo del silenzio di Dio, verso la vita nuova della resurrezione, compiuta in Lui come pegno e promessa di quella di tutti coloro che crederanno in Lui. 

Per la coscienza cristiana l’alleanza mai revocata col popolo d’Israele trova nella Pasqua di Cristo non un’abrogazione, ma un inaudito compimento, a sua volta nuovo inizio nel cammino verso la Gerusalemme celeste. È per questo che i cristiani riconoscono nella fede d’Israele la loro “santa radice” (Rom 11,16. 18) e possono rivolgersi agli Ebrei come ai loro “fratelli maggiori”, da cui hanno ricevuto la religione dell’esodo e del Regno, nutrita dalla fede di Abramo e dalla speranza dei profeti. Cristo non ha voluto eliminare neanche un apice dalla Legge, ma è stato in persona il compimento dell’alleanza, la Torah fatta carne, rivelando come la compromissione di Dio – che risplende negli eventi dell’esodo – si sia spinta fino al paradosso dell’incarnazione del Figlio eterno per amore di tutto l’uomo, di ogni uomo. 

In un’epoca segnata dalla crisi degli orizzonti di senso offerti dalle ideologie, la Pasqua di Gesù che celebriamo è allora veramente un messaggio straordinario di speranza, la testimonianza che il lievito nella massa può ancora essere rinnovato, per far crescere il tempo verso la sponda dell’eternità e tirare il futuro di Dio nel presente degli uomini. È l’augurio di Paolo: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. (1 Cor 5,7s)
È il mio augurio per tutti noi! Buona Pasqua!




L’Eterno si è anzi destinato alla sua creatura
Sarà un’espressione colta e ricca di profondi significati, forse, ma ci sembra che si tratti semplicemente di una frase senza senso, per non dire assurda. Che l’Eterno destini la sua creatura a Sé stesso, ci sembra facile da capire, ma che per far questo destini Sé stesso alla sua creatura è davvero troppo, anche per degli stupidotti come noi.
Il novello rabbino capo di Chieti vorrebbe forse insegnare che l’Eterno e la sua creatura sarebbero paritetici e interscambiabili?
Non era certo questa la sua l’intenzione – ci si dirà -. E allora, che impari a parlare!

c’è nella pasta, di cui è fatto il tempo, qualcosa che ne trattiene la crescita verso il Regno di Dio. Bisogna cambiare il lievito del mondo
È la prima volta che sentiamo parlare del tempo come di una pasta, che ha bisogno di lievitare per crescere verso il Regno di Dio. Ma noi non abbiamo la profonda cultura del novello rabbino capo di Chieti e quindi è comprensibile che non abbiamo capito un’acca.
Ci si consenta, però, di esprimere una certa perplessità a sentir parlare del tempo che lievita e cresce verso…, la cosa puzza così tanto di evoluzionismo della peggiore specie, da far venire in mente che questi rabbini non sappiano di che cosa parlano. In una logica del genere, l’uomo smette di essere soggetto del suo destino, per perdersi nell’amalgama del tempo, che, esso sì, è destinato a crescere “verso il Regno di Dio”.
Come dire, proprio in occasione della Pasqua, che il Figlio di Dio si è incarnato per “salvare” il tempo, così da salvare, per estensione, anche l’uomo e, se possibile, la sua anima.
Ci sembra di ricordare che in San Paolo le cose vengano presentate in maniera del tutto rovescia (cfr. Romani 8, 19-23), ma non bisogna dimenticare che San Paolo è alquanto datato, appartiene ad un altro tempo, non sapeva niente dell’evoluzione del pensiero, dal cristo cosmico e della redenzione cosmica. In fondo San Paolo era uno che aveva ricevuto l’illuminazione direttamente da Cristo Dio e, quindi, poverino, non poteva certo avere una cognizione esatta delle cose di Dio!
Come capita invece al nostro novello rabbino capo di Chieti!

D’altronde, spiega il novello rabbino capo di Chieti, “Dio agisce in essa [nella storia]… [come] un lievito nuovo, capace di far fermentare la massa del tempo verso la patria delle libertà”.
Così da chiarire che non è più del lievito dei fedeli di Cristo che si tratta, in grado di condurre alla salvezza le anime dei convertiti, ma di Dio stesso, che diventa lievito capace di far fermentare la massa del tempo verso la libertà. In verità, un concetto inedito, che però, senza grandi sforzi, si rivela enormemente ridicolo, anche alla luce della logica più elementare. La massa del tempo che crescerebbe verso la libertà, prima ancora di essere una panzana, è la prova che si è rinunciato all’uso dell’intelligenza, magari dando per scontato che i fedeli che leggono non possano essere che dei perfetti cretini.

In questi passi, sono implicate tante di quelle storture che servirebbe un piccolo studio per dedurne la formazione acattolica e anticattolica di questo vescovo. Cosa che non possiamo e non vogliamo fare in questa sede.
Possiamo però cercare di cogliere l’elemento scatenante di tale atteggiamento mentale: quello che ci permette di chiamare il personaggio in questione con l’appellativo di “rabbino capo di Chieti”.

Dopo aver parlato del passaggio del Mar Rosso e dell’alleanza del Sinai, il Nostro se ne esce con un’altra esilarante novità: “È questa la fede che celebriamo in questo giorno: Pasqua – “pesaq”, “passaggio” – è appunto il memoriale della liberazione dell’esodo, la festa della compromissione di Dio, l’inizio compiutosi una volta per sempre e attualizzato sempre di nuovo del pellegrinaggio verso la Terra della promessa del Signore”.
Cosa che, detta da un rabbino, potrebbe essere del tutto comprensibile. Ma, disgrazia vuole, che si tratti del Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l'Annuncio e la Catechesi della CEI.
E cosa ci insegna e ci annuncia questo novello rabbino impiegato alla CEI?
Che la Pasqua non è il rinnovamento sacramentale della Morte e Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ma “il memoriale della liberazione dell’esodo”.
Dovevamo aspettare 2000 anni dall’Incarnazione e 45 anni dal Concilio Vaticano II per scoprire, finalmente, che la Pasqua è una cosa completamente diversa da quella che hanno celebrato fino ad oggi tutti i fedeli di Cristo.

Ma il nostro incredibile rabbino capo di Chieti ci insegna e ci annuncia anche che perfino “l’ebreo Gesù celebra la Pasqua”, e “istituisce il memoriale dell’alleanza nel Suo sangue, di quell’esodo che si compie nel Suo cammino verso la morte di Croce e da essa, attraverso il Sabato santo del silenzio di Dio, verso la vita nuova della resurrezione, compiuta in Lui come pegno e promessa di quella di tutti coloro che crederanno in Lui”.
Dove la Passione, la Redenzione e il riscatto dei peccati scompaiono totalmente, per il semplice motivo che un rabbino non ha mai creduto a queste fantasie cristiane, che considera anzi delle vere e proprie blasfemie.

E non esageriamo. Perché, nonostante non ce ne fosse bisogno, il novello rabbino capo di Chieti ci chiarisce che questa sua pasqua, che vorrebbe spacciare per la Pasqua, non implica infatti alcuna “nuova ed eterna alleanza”, com’è il caso della Pasqua cristiana. Non v’è alcuna “nuova ed eterna alleanza”, dice il Nostro, perché “Per la coscienza cristiana l’alleanza mai revocata col popolo d’Israele trova nella Pasqua di Cristo non un’abrogazione, ma un inaudito compimento, a sua volta nuovo inizio nel cammino verso la Gerusalemme celeste”.
Esattamente come hanno sempre riconosciuto tutti i rabbini, fin dal tempo del Sinedrio, fin da quando condussero a morte il blasfemo Gesù di Nazareth, reo proprio di aver stabilito una “nuova ed eterna alleanza”, per compiere proprio la volontà di Dio che volle fondare questa “nuova ed eterna alleanza” sul Sangue del Suo Figlio “versato per molti in remissione dei peccati”?
E come i sacerdoti ebrei, in uno con tutto il popolo ebraico, di duemila anni fa divennero strumento della volontà divina, pur accecati e incapaci di comprendere quale essa fosse, macchiandosi quindi di una duplice colpa. Così il novello rabbino capo di Chieti si rivela totalmente incapace di comprendere la differenza tra vecchia e nuova alleanza, nonostante la Rivelazione, il Catechismo e anni di seminario, macchiandosi quindi di una triplice colpa.
Abbiamo il sospetto che, se continua così, si dovranno approntare nuovi gironi dell’Inferno, per far posto a questi moderni rinnegatori di Cristo.

Il novello rabbino capo di Chieti, continua imperterrito: “È per questo che i cristiani riconoscono nella fede d’Israele la loro “santa radice” (Rom 11,16. 18) e possono rivolgersi agli Ebrei come ai loro “fratelli maggiori”, da cui hanno ricevuto la religione dell’esodo e del Regno, nutrita dalla fede di Abramo e dalla speranza dei profeti”.
Quindi, cari amici, passata questa pasqua di vaghe rimembranze, ritroviamoci tutti gioiosi, il prossimo Shabbat, nella sinagoga di Chieti (che se non c’è… la faremo costruire!) per ritornare alla nostra “santa radice” da cui abbiamo ricevuto la religione di Cristo, appositamente flagellato e crocifisso dagli Ebrei per la nostra salvezza.
Che belle parole! Che profondità di pensiero! Che faro di luce questo novello rabbino capo di Chieti!
Peccato che impettito e in abito talare, colla mitria in capo e il pastorale in mano, costui è stato assegnato ad ammaestrare i fedeli di Cristo in quel di Chieti, … per confermarli nella fede della Chiesa o per condurli alla perdizione della sinagoga?
Forse neanche lui lo sa, perché la carità cristiana ci impone di concedergli il beneficio del dubbio e di supporre che sbagli in buona fede, ma questo non toglie nulla della sua responsabilità.
Per ogni fedele teatino che verrà assalito dal dubbio sulla vera fede, il Nostro scenderà un altro scalino verso la fossa della Geenna.

Senza contare il finale. Che è davvero mirabolante.
In un’epoca segnata dalla crisi degli orizzonti di senso offerti dalle ideologie, la Pasqua di Gesù che celebriamo è allora veramente un messaggio straordinario di speranza, la testimonianza che il lievito nella massa può ancora essere rinnovato, per far crescere il tempo verso la sponda dell’eternità e tirare il futuro di Dio nel presente degli uomini”.
Siamo davvero ammirati!
E ringraziamo Iddio per tanta munificenza.
A quando l’elevazione al Soglio Pontificio di questa stella lucente nel firmamento del nulla?
Neanche Freud l’avrebbe preso sul serio. Lui che, pur ebreo, non capiva un’acca dell’ebraismo.

“la crisi degli orizzonti di senso” è davvero formidabile. Non pensavamo che si potesse esprimere così il nulla sottovuoto. Ma lui ci riesce, il novello rabbino capo di Chieti.

“il lievito nella massa” è anch’esso il frutto di una intuizione geniale. Suggeriamo di parlarne con Zichichi, che è lì a due passi da Chieti, chissà che non ne venga fuori una qualche soluzione per capire com’è nato il mondo. In fondo, la spiegazione di Dio creatore è davvero una cosa alquanto puerile.

“far crescere il tempo verso la sponda dell’eternità” è talmente poetico che ci commuove… quasi di una crisi da commozione cerebrale.

Per giungere infine a che cosa?
Ma, perdiana!… come a che cosa? Ma a “tirare il futuro di Dio nel presente degli uomini”… caro ragazzo!
Sembra che non significhi niente, ma l’espressione è così complessa e così pregna di “orizzonti di senso”, che solo una mente offuscata dalla superstizione cattolica potrebbe non coglierne la portata e il valore!
Come non comprendere che Dio, che è infinito, ha, per ciò stesso, un passato e un futuro?
E come non comprendere che questo futuro di Dio possa essere bellamente tirato nel presente degli uomini?
Suvvia!… è facile facile! Basta andare a scuola dal novello rabbino capo di Chieti. E lui vi spiegherà che è la cosa più logica del mondo che il futuro dell’infinito… basta tirarlo… per farlo entrare del presente finito degli uomini. E se per caso non riusciste a seguire un tale contorcimento mentale, perché per avventura (e vostra fortuna) il vostro cervello funziona e la vostra intelligenza non è andata del tutto persa, non vi crucciate, perché non avete perso niente… anzi!

C’è una antica espressione sicula per indicare esercizi del genere: “ammuttari u fumo c’a stanga” (spingere il fumo col bastone), che equivale all’incirca all’italiano: rimestare aria fritta. In questo caso vi è un aggravante: il fumo di cui si tratta non è una semplice metafora, ma proprio quel famoso “fumo di Satana” di cui parlava quella birba di Paolo VI, che per anni alimentò il fuoco che produceva proprio quel fumo.

Per finire, una piccola nota sulle citazioni.
La prima, a proposito della “santa radice”, che vorrebbe subdolamente avallare l’immaginaria e blasfema nascita del cristianesimo non da Cristo, ma dagli Ebrei.
In Romani 11, 16-18 (citato nel testo), San Paolo dice:
«Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.»
In questi versetti San Paolo è chiarissimo circa l’innesto dei cristiani nella radice santa della tradizione abramica, ma è altrettanto chiaro sulla “sostituzione” dei rami secchi, che sono stati tagliati, con i rami nuovi che dovranno portare nuovo frutto.
Citare questi versetti per sostenere che i cristiani avrebbero ricevuto la loro religione dagli Ebrei è davvero allucinante, se non fosse che prima di tutto è blasfemo e sovversivo.

La seconda, a proposito del lievito, che chiude la riflessione del vescovo di Chieti.
Solo un cieco non si accorge che qui San Paolo esorta i cristiani a buttare nel fuoco il “lievito vecchio”, cioè il lievito scaduto e rancido degli Ebrei, perché esso non serve più. Con l’immolazione di Cristo, nostra Pasqua, (altro che fesserie di “religione dell’esodo”), i cristiani sono azzimi, ed è con gli azzimi di sincerità e di verità che va celebrata la festa di Pasqua.
Non certo con le elucubrazioni intrise di malizia e di menzogna del novello rabbino capo di Chieti.

Dio voglia concedere ai cattolici di Chieti, e di tutto l’ecumene cattolico, la grazia della definitiva dipartita dalla Chiesa cattolica di questo novello rabbino capo di Chieti: che se ne torni nella sinagoga, che torni alla sua “santa radice”, che ci liberi della sua perniciosa presenza, che ci faccia la carità di lasciarci in pace, nella nostra semplice e serena visione della Pasqua di Cristo, Nostro Signore e Salvatore:
Qui propter nos hòmines et propter nostram salùtem descèndit de coélis,
et incarnàtus est de Spìritu Sancto ex Marìa Vìrgine,
et homo factus est.
Crucifìxus ètiam pro nobis sub Pòntio Pilàto;
passus et sepùltus est,
et resurrèxit tèrtia die, secùndum Scriptùras,
et ascèndit in caelum, sedet ad dèxteram Patris.
Et ìterum ventùrus est cum glòria,
iudicàre vivos et mòrtuos,
cùius regni non erit finis..

Preghiamo: perché il Signore salvi la Chiesa dalle conseguenze delle colpe degli uomini di Chiesa.


Nota biografica, tratta dal sito dell’Arcidiocesi di Chieti-Vasto.
(con qualche ritocco).

BRUNO FORTE, nato a Napoli il primo di agosto del 1949. Ordinato prete a Napoli il 18 aprile 1973 (come mai?, da chi?). Ha lavorato in diverse parrocchie napoletane (figuriamoci! speriamo bene! fidiamo nell'aiuto del Signore!).
Nel 1974 ha conseguito il dottorato in Teologia presso la Facoltà Teologica di Napoli-Capodimonte (chi gliel’ha conferito?, perché?).
Ha approfondito gli studi a Tubinga ed a Parigi (forse è lì che ha preso la malattia dell’anticattolicesimo) e si è laureato in Filosofia a Napoli (dove, quindi, è andato perso l’antico rigore intellettivo).
Docente di Teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, di cui è stato Preside, (e dove ha profuso a piene mani le sue cervellotiche manipolazioni dell’insegnamento cattolico).
Membro della Commissione Teologica Internazionale (che così può tranquillamente crescere in quantità e in qualità).
Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura (di quella moderna anticattolica, ovviamente!).
Consultore del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani (che ovviamente, con lui, non vedranno l’ora di farsi ebrei).
Autore di numerose pubblicazioni di teologia, filosofia e spiritualità, assai note anche a livello internazionale (come avviene, per esempio, per il caro card. Martini, da molti ritenuto un vero cancro del cattolicesimo), ha presieduto la commissione preparatoria al documento “Memoria e riconciliazione” (sì, proprio quello sui nostri “fratelli maggiori” Ebrei), che ha accompagnato la richiesta di perdono di Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000 (un vero vanto della Chiesa, in verità: gettare fango su duemila anni di storia della Chiesa!).
Nominato Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto il 26 giugno 2004, è stato ordinato dal Card. Joseph Ratzinger l'8 settembre dello stesso anno, e ha ricevuto il Pallio da Benedetto XVI il 28 giugno 2005. (ce la prenderemo col Papa, allora?… certo che no!…sappiamo bene che anche lui è un uomo!)
È Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l'Annuncio e la Catechesi della CEI. (Cioè il custode della dottrina dell’episcopato italiano; e tanto basta per far capire in che stato è ridotta la povera Chiesa italiana!).




aprile 2010

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