LE PERLE DE “LA DOMENICA

Bigiotterìa ecumenistica ed estetica

  
di L. P.





Nello scorso novembre 2014 ci occupammo di alcuni aspetti disinformativi ed ameni della moderna liturgìa e dell’esegesi conciliare  che trasparivano dal foglio domenicale, edito dalla Soc. S. Paolo, in uso nelle parrocchie d’Italia quale surrogato del vecchio preziosissimo “messalino”.
Poiché l’andazzo della sciatta ordinarietà eretta a cultura è, oramai, consolidato, non passa domenica senza che, sul medesimo foglio, non appaiano brani o commenti o figure che suscitano, anche al fedele meno attento, sospetti  o sussulti di non lieve sorpresa.

Questa volta presenteremo ai lettori tre “perle” di cui due attinenti  la corrente pastorale ecumenistica a sostegno della quale si approntano tutti gli strumenti e si adottano tutte le metodologìe per far collimare l’ortodossìa cattolica con le voglie mondane di pace, di concordia, di unione, di riconciliazione, di fratellanza, di filantropìa, di integrazione, e la terza relativa all’arte sacra in prospettiva. . . estetiecumenica.

Prima, però, di rivelare quanto sopra annunciato, desideriamo soffermarci un poco sul tanto esposto e predicato “Ecumenismo” dal momento che non ci convince affatto tutto il complesso che vi ruota attorno e al centro, soprattutto non ci piace lo stravolgimento semantico ed etimologico che è, poi, il vero grimaldello con cui la teologìa neoterica ha scardinato il forziere del dogma.

Il termine, si sa, esprime la categorìa di una realtà che s’intende definire “universale” – gr. oikoumenikòs,  relativo all’ecumene, l’intero mondo – e che la Chiesa ha fatto proprio in quanto destinata, per comando di Cristo Suo Fondatore, ad estendersi in tutto l’orbe. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc. 16, 15/16).
Conseguentemente, in quanto universali la predicazione e la diffusione, la Chiesa assume la connotazione di “Cattolica” – gr. Katholiké, attributo composto da kathà o katà (verso) e òlon (tutto, intero) – ad indicare totale la sua missione verso il mondo nella singolarità, però, del suo essere divina ed unica, carattere coessenziale alla sua natura e  funzione.
Pertanto, l’autentico ed esclusivo significato che il termine “ecumenismo” ha racchiuso in sé, almeno fino al 1958 – morte di Pio XII ed elezione di Giovanni XXIII -  stabilisce che la Chiesa, in quanto Cattolica, è universale per la vocazione a diffondersi, aperta a tutto il mondo, Madre di tutti coloro che in lei entrano e si accolgono ma, per affido e statuto del Suo Fondatore, unica e indivisa depositaria della salvezza, sicché è quanto mai ovvio affermare che “extra ecclesiam (catholicam) nulla salus”.

Sennonché il cosiddetto “Movimento ecumenico” (sec. XIX), nato nell’àmbito del protestantesimo liberale – C. Brent, W. Temple, N. Söderbon – e infiltratosi nella Cattolicità tramite il modernismo razionalista,  è  riuscito a imporsi, proprio nel Concilio Vaticano II, quale  elemento di eversione dottrinaria cavalcando l’onda del dialogo. Sicché, il significato originario, quello che abbiamo sopra esposto, s’è trasformato degenerandosi, seco recando l’accezione di universalità costituita, però, non più dalla fede in una sola Chiesa in cui si realizza l’unità dei battezzati  in Cristo Suo Capo e sotto l’autorità terrena di un solo pastore in un solo ovile, ma da una vagheggiata unione - peggio, un  amalgama, un impasto - fra confessioni cristiane/scismatiche che si autodefiniscono, così come affermò il Nunzio Apostolico Angelo Roncalli a un seminarista  bulgaro di credo greco/ortodosso, la “Chiesa di Cristo” nella quale la Cattolica è una delle tante e di pari valore salvifico.

Insomma: mentre 50 e più anni fa’ ecumenico indicava in modo univoco la tensione della Chiesa a rendersi unica e universale con lo strumento dell’evangelizzazione e della conversione, oggi, mutato il dogma in verità evolutiva e conferito aggio alla pastorale, ecumenico sta per unione nella quale si ritrovano, camminando insieme, tutte le confessioni che si professano “cristiane”. Non “ unum in Ecclesia Catholica” – unità nella Chiesa cattolica - ma  “unum in varietate” – unità nella diversità come ha sentenziato l’emerito papa cardinal J. Ratzinger.
Ne deriva che questa polimorfa configurazione non rispecchia l’armonìa di una Chiesa cattolica unica e universale  ma il coacervo di plurime realtà confessionali che si accordano per formare, un’ibrida, illusoria quanto eretica “Chiesa di Cristo”.

Prima di ragguagliare sugli argomenti ci sentiamo in dovere di precisare che l’Ordinario della Santa Messa - le rubriche, la liturgìa della Parola e dell’Eucaristìa -  è universale e approvato dal Magistero, pertanto non è La Domenica l’autrice dei testi  pubblicati sul foglio. Essa, invece, risponde dei commenti che propone all’inizio e alla fine come didascalici alle letture o come informazione agiografica. La nostra ricognizione, perciò, tiene conto di questi aspetti avvertendo, inoltre, che il titolo di testa va inteso in senso generale e che i passi che metteremo sotto osservazione saranno via via attribuiti ora all’Istituzione Ecclesiastica ora all’editrice.
Ed ecco le tre perle.
 
1 – LA DOMENICA – III DEL TEMPO ORDINARIO/B – 25 gennaio 2015

A) Alla rubrica “Preghiera dei fedeli” (CEI) così recita la quarta orazione : “Per i cristiani che soffrono a causa di divisioni e contrasti, perché attraverso il dialogo riescano a costruire ponti di pace. Preghiamo

Invocazione  polisemica poiché, tanto per esercitarci nell’arte logica, non si capisce se i cristiani che soffrono per divisioni e contrasti siano
1) i cristiani cattolici della Chiesa apostolica e romana,
2) i cristiani scismatici, estranei all’unità con la Cattedra di Pietro,
3) questi e quelli insieme.

Se vale la prima opzione, è del tutto normale - respinto lo strumento del dialogo in quanto dimostratosi inefficace - auspicare che il cattolico, più che a costruire “ponti” che servano a far transitare i separati per un rientro in senso a santa Madre Chiesa, si adoperi a promuovere l’evangelizzazione radicale e ad innalzare preghiere al Signore perché illumini e spinga i separati sulla strada del ritorno, la stessa che percorsero quando se ne andarono. Il padre della parabola evangelica non costruì viadotti o corsìe preferenziali al ritorno del figlio prodigo, e nemmeno lo rincorse, ma rimase in attesa pregando e sperando che lui, pentito, tornasse a casa rifacendo la medesima strada per la quale s’era avventurato nel mondo. L’attendere del padre è, appunto, l’attesa della preghiera cattolica e la speranza che, quanti sono ancora staccati dal Corpo Mistico, possano rientrare, pentiti, nella casa comune con l’abito di nozze che hanno svestito all’uscita.

Con l’accogliere la seconda opzione si ravvisa subito un’incongruenza logica laddove si invita a pregare “per i cristiani che soffrono a causa di divisioni e contrasti” quasi che tali sofferenze siano state inflitte da terzi – cioè dalla Cattolicità - quando è noto che gli scismi, con gli annessi contrasti, furono di parte unilaterale, la loro.
Una persona che soffre, ad esempio, per  volontario abuso di alcool pur consapevole dei danni allegati, non può  crogiolarsi nel lamento sterile e nell’autocompatimento per il proprio stato accusando gli altri o la società, ma dovrà, col chiedere aiuto, recuperare la primitiva condizione di salute smettendo, come misura immediata, il vizio che l’ha abbrutito per seguire poi, una terapìa disintossicante: tornare indietro, convertirsi, cioè, alla sobrietà e al rispetto delle regole del buon vivere.
Con tale similitudine vogliam dire che gli scismatici hanno, come unica e semplice soluzione per le proprie volontarie sofferenze, quella di rientrare nella Chiesa Cattolica dalla quale si staccarono.
Non è pensabile che la Cattolicità, che ha, tra l’altro, pagato col tributo di sangue la propria testimonianza subendo proprio da coloro che ora soffrono (!) per il distacco (cfr. Elisabetta Sala: L’ira del re è morte – ed. Ares 2008), venga citata nel tribunale della Storia per diretta o concorsuale responsabilità.

Venendo alla terza opzione: gettare ponti di pace, attraverso il dialogo, vuol dire che lo scismatico (l’etilista suddetto) e il cattolico (il medico curante) dovrebbero, nel corso di  intrecciate dinamiche fatte di incontri, di dibattiti, di confessioni, di proposte, di punti di vista e di assunzioni di proprie responsabilità, arrivare a compromessi tali che l’uno e l’altro si trovino più o meno su una posizione di “pace” cartesiana ottenuta sulle coordinate di  concessioni e amputazioni reciproche. Come dire: l’avvinazzato ridurrà, diciamo a metà, il consumo  di alcolici e il medico, tanto per non deluderlo e per stare al gioco fraterno del dialogo, comincerà a bere.

Questo scenario è quello che si è aperto in questi ultimi 50 anni con i seguenti esiti di cui diamo pochi esempî:
la Chiesa cattolica, privata dell’esclusiva della salvezza spalmata  su tutte le confessioni;
la Santa Messa, riformata per volontà di Paolo VI  da un conciliabolo di cattolici liberali, massoni e protestanti,  diventata, a un dipresso, una normale Assemblea con Cena;
la dottrina della giustificazione, sbiadita negli incontri di Paderborn (O. R. 24/25 giugno 1996); Lutero, riabilitato ed indicato quale esempio di profonda religiosità (discorso di GP II a Paderborn, cit);
il Decalogo, cassato a vantaggio della libertà di coscienza (intervista Scalfari/Bergoglio ottobre 2013);
la sodomia, verniciata di valore umano e di  esemplarità affettiva, tanto da non essere più oggetto di giudizio (Papa Bergoglio, luglio 2013);
concelebrazioni di  Messe sacrileghe in presenza di massoni e pagani. 
E ci fermiamo.
Questi sono i risultati di un ponte a schiena d’asino su cui i cattolici, andati a dialogare con gli scismatici alcolisti, si sono fermati a loro volta ubriacati.

B) (La Domenica) Testimone del dialogo ecumenico: Johannes Willebrands (1909 -2006): un ritratto del defunto cardinale di cui si tessono le lodi per il ruolo svolto a pro dell’ecumenismo in seno al Concilio Vaticano II prima e, poi, come Presidente del Segretariato per l’Unione dei cristiani, oltre che per gli interventi (1962) effettuati nel massonico Consiglio Ecumenico delle Chiese (World Council of Churches).
Da aggiungere una circostanza, taciuta dal foglio domenicale, quella della sua partecipazione attiva alla compilazione, nel 1966, del “ Nuovo catechismo – annuncio della fede agli adulti”, il nefasto e devastante “Catechismo olandese

Un ritratto di 13 righe, a pag. 14, proprio sotto l’immagine di San Giovanni Bosco illustrata da  un breve articolo del quotidiano La Repubblica (sic) ove, tra l’altro si legge: “Una delle caratteristiche dell’opera di don Bosco fu quella di unire evangelizzazione ed alfabetizzazione sociale”. Cioè, il santo pedagogista poneva, quale sua prima attività, l’evangelizzazione e poi l’elevazione culturale della società. Non si hanno notizie di sue smaniose velleità di dialogare con i protestanti che, all’epoca, con la politica cavuriana e con l’opera eversiva di Garibaldi, tentarono, d’intesa con la massoneria, di incistarsi nel clero e nella cattolicità.
In quei tempi era ben netto il concetto di  separazione tra cattolicesimo e protestantesimo, tra la vera Chiesa di Cristo Vera Vite e i tralci staccati e privi di frutto. Mai un don Bosco si sarebbe sognato – lui che nei sogni aveva la percezione degli eventi futuri – di scendere a patti con lo scisma concedendogli la benché minima quota di Verità.

Willebrands sì, Willebrands divenne l’ambasciatore del patto scellerato.

Nel 1970, ad Evian, durante una seduta plenaria della Lega Mondiale Luterana, così affermò : “Nel corso dei secoli, la persona di Martin Lutero non è stata apprezzata rettamente e la sua teologìa non è stata sempre resa in modo giusto”. Anticipò quanto, nel 1983, GP II, in occasione del cinquecentesimo anniversario della nascita di Lutero (1483), ebbe a scrivere in una lettera, firmata e  indirizzata allo stesso cardinale, allora presidente della Conferenza Episcopale Olandese, nella quale riconosceva a Lutero una “profonda religiosità”.
Come indicare la monaca di Monza a modello di castità.
Ė a questa religiosità di Lutero che lo stesso GP II chiese perdono per le incomprensioni che la Chiesa Cattolica gli aveva insensatamente riservato. E con questi elementi, ci aspettiamo che qualcuno si faccia promotore o postulatore  della causa di canonizzazione dell’apostata monaco agostiniano, omicida prima, stragista di contadini poi e suicida alla fine.

Intanto il fumo del luteranesimo ha invaso le coscienze dei fedeli. Ne riparleremo.

2 – La Domenica – IV TEMPO ORDINARIO/B – 1 febbraio 2015

Il Sì di Maria – un sì alla vita in ogni madre e padre (La Domenica) pag. 15.
Il titolo indicato è una ricognizione sul significato della consapevole accettazione di Maria a diventare Madre di Dio. Su questo articolo non abbiamo alcunché da eccepire in quanto la concettualità che l’autore manifesta in tema è della più ortodossa dottrina. La nostra attenzione è stata indirizzata, invece, ad una immagine che funge da didascalia a tutto il discorso. Si tratta della rappresentazione dell’Annunciazione così come appare in una “vetrata di fratel Erik, Taizé – Chiesa della Riconciliazione”.

Il lettore conosce l’identità di questa pseudo-comunità di Taizé che ha fatto da modello al cosiddetto “monastero di Bose” gestito dal …monaco Enzo Bianchi. Tràttasi di un’istituzione di stampo calvinista che, tuttavia, ha ricevuto dalla gerarchìa cattolica ampio riconoscimento e larga ammirazione al punto da indurre gli stessi pontefici ad incontri “fraterni” e a Messe concelebrate, con regolare amministrazione e dispensa dell’Eucaristìa, come avvenne con papa GP II e con Benedetto XVI.
Noi ci sentiamo di puntualizzare, con un’unica osservazione, il pasticcio disastroso del movimento ecumenico evidenziando lo stato di subalternità – id est: complesso di inferiorità – che domina il magistero postconciliare nei confronti della cultura e dell’arte laica.



L’immagine annessa, e che pubblichiamo a corredo dell’articolo, ci mostra un esempio di anamorfosi che riduce la persona umana, creata da Dio a Sua immagine e somiglianza, a uno sgangherato e dissacrante disegno e che non può nemmeno pretendere o accampare la scusante del cosiddetto “naïf”. La composizione corre su uno stile grossolano, di derivazione cubista e dissolutoria, coerente con l‘estetica – si fa per dire – futurista e decostruzionista, con le linee dei contorni spesse, per lo più rettilinee e pesanti a sostegno di vetri quasi monocromatici e tetri su tonalità nero/ocra, che mortificano, sviliscono e banalizzano  la santa e radiosa rappresentazione di Nazareth.
Un affronto a Dio, Somma Bellezza che nella forma umana ha infuso di Sé l’armonìa e la sacralità. Non è difficile raccordare siffatta iconografia a quel tipo di mariologìa predicata da don Tonino Bello che ridimensiona la Vergine Maria a una donnetta come tante, a una sempliciotta come tante a cui sarebbe ora di togliere l’aureola che ce La rende troppo distante.
Ed allora, ecco fratel Erik propinarci due figurette – un angelo pesante e cifotico, con ali più consentanee ad un aeroplano che a una creatura leggiadra e volatile, e una ragazza inespressiva e come sgrossata nel legno – figurette sciatte, sgraziate tutt’altro che spirituali ma che tanto fanno “uno come noi”, “povertà”, “quotidianità” e, aggiungiamo, bruttezza.

Fra le tante luminose, raffinate e sublimi immagini dell’Annunciazione, reperibili nel catalogo della pittura mondiale – Leonardo, Beato Angelo, Raffaello, Botticelli, Van Dyck  ecc -  La Domenica ha sentito urgente l’uzzolo “ecumenistico” di pescare una vetrata della chiesa dedicata, pensate un po’, alla “Riconciliazione” in quel di Taizé.
Tanto per non smentire l’afflato verso l’unità nella diversità.
A noi la vetrata dà perciò fastidio e molto, però, lo sappiamo, arte simile è tanto cara a questo clero “adulto” e aggiornato, nonché  a quella Commissione per l’Arte Sacra che ha approvato, fra le tante stramberie dissacranti, il “capannone” di San Pio a San Giovanni Rotondo e sottostante  cripta, vera replica della tomba faraonica di Tutankamon, a sviluppo spiralico esemplato sul “nautilus” allusivo alla sezione aurea di ispirazione esoterica, e  tassellata dai dorati  mosaici allucinati  e straniati di padre Marko Ivan Rupnik.

Ciò detto, restiamo in attesa di prossimi spunti per ulteriori nostre riflessioni che, oramai, tra le esternazioni papali – in Santa Marta ed in aereo – e i commenti de La Domenica non mancheranno di mantenere dèsta e la nostra attenzione e quella, si spera, dei lettori.

In Christo semper et in Maria Matre ejus.



gennaio 2015

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI