Comunione sulla lingua - Adinolfi a Radio Maria - Chiesa, ospedale da campo

di Alessandro Gnocchi


Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  24 febbraio 2015

Titolo, impaginazione e neretti sono nostri




Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


martedì 24 febbraio 2015

Sono pervenute in Redazione:

Caro dottor Gnocchi,
sono una giovane cattolica confusa. Volevo raccontare due fatti e chiedere lumi. Sono sempre di più i preti che negano la Comunione in ginocchio. Anche a me è accaduto un mese fa che un prete, dopo molto tempo che mi dava l’Ostia in ginocchio, un giorno mi ha proibito di inginocchiarmi. La motivazione è stata “Perché io non voglio”,  detto con una ferocia che mi ha lasciata di sasso. La seconda questione è il dilagare di suore e addirittura catechiste laiche che danno la Comunione mentre il prete sta a guardare. Ma è lecita questa cosa?  A me non risulta, anzi mi sembra una mancanza di rispetto verso Dio. Io in questi casi non la prendo, ma vorrei sapere se faccio bene oppure no, perché forse sono in torto io. Tutti mi dicono che non importa chi dà l’Ostia, ma ho seri dubbi su questo…
E un prete può rifiutarsi di dare la Comunione in ginocchio?
Spero che voi possiate aiutarmi, perché non ci capisco più nulla, ma ricordo bene che quando ero piccola non era così. Grazie,
Paola Bruzzone
 .
Caro Alessandro
la chiamo per nome perché ormai lei è diventato compagno di viaggio e spesso punto di riferimento per me e mio marito. Volevo semplicemente raccontarle di come mi sono ritrovata a “macinare un po’ di strada” per andare alla Messa Vetus Ordo. Da tempo desideravo parteciparvi, ma parlando con un sacerdote nostro amico, ci sconsigliò perché disse “tanto indietro non si torna”. Io per prima fui presa dal dubbio. La Messa in latino… chi lo sa più? Ma ci andammo e ancora continuiamo. Non è un problema di latino, è tutto un altro rito. Non voglio banalizzare con sensazioni personali. Ma di certo non si tratta di tornare indietro. Lì c’è il cuore pulsante della Chiesa. Il non praevalebunt ha lì la sua forza. L’unica difficoltà è che non sempre posso andare per problemi familiari, e partecipare alla Messa “moderna” diventa difficile, il desiderio della Messa in rito antico diventa necessità. Con cordialità e gratitudine.
Roberta
 




Cara Paola e cara Roberta,
ho pensato di unire le vostre due lettere perché, leggendole con attenzione, una è la risposta all’altra.
Lei cara Paola, segnala una malattia gravissima e lei cara Roberta fornisce l’unico medicamento in grado di sconfiggerla.
I mali che affliggono la Messa nuova, a cominciare dall’oltraggio sacrilego a Corpo, Sangue, Anima e Dignità di Nostro Signore realmente presenti nell’ostia consacrata sono guariti solo dal ritorno alla Messa antica.

Cara Paola, alla Messa Vetus Ordo non troverà mai un sacerdote che, con ferocia, le ordinerà di mettersi in piedi per ricevere la comunione. Troverà invece un sacerdote che con garbata fermezza la inviterà a inginocchiarsi davanti a Dio nel caso lei intendesse rimanere in piedi. Ma, stia pure certa, questa tentazione non la sfiorerebbe neppure, visto l’ambiente in cui si trova e visto l’esempio devoto degli altri fedeli.
Non sto a spiegarne i motivi, poiché ne ho già parlato due settimane fa in questa stessa rubrica. Qui vorrei solo ribadire che nessun cristiano è tenuto a subire un abuso o un sopruso commessi contro Nostro Signore, prima ancora che contro gli uomini. Ed è un abuso e un sopruso che il sacerdote si faccia da parte al momento della comunione per dare libero sfogo a suore e laici.



Giappone, Isola_Jwo-Jima_3_marzo_1945

Nell’istruzione “Memoriale Domini” del 1967, papa Paolo VI ribadì che l’Ostia deve essere ricevuta sulla lingua dicendo tra l’altro: “I Vescovi del mondo sono unanimemente contrari alla Comunione sulla mano. Deve essere osservato questo modo di distribuire la Comunione, ossia il sacerdote deve porre l’Ostia sulla lingua dei comunicandi. La Comunione sulla lingua non toglie dignità in nessun modo a chi si comunica. Ogni innovazione può portare all’irriverenza ed alla profanazione dell’Eucarestia, così come può intaccare gradualmente la dottrina corretta’.
Il documento, inoltre, affermava: ‘Il Supremo Pontefice giudica che il modo tradizionale ed antico di amministrare la Comunione ai fedeli non deve essere cambiato. La Sede Apostolica invita perciò fortemente i Vescovi, i preti ed il popolo ad osservare con zelo questa legge”.
Nel 1980, papa Giovanni Paolo II, nelle lettera “Dominicale Cenae” ribadiva che toccare il Santissimo Sacramento è “un privilegio degli ordinati”.

Poi, però, davanti al diffondersi degli abusi, invece che reprimere l’errore, si cominciarono a fare delle piccole concessioni circostanziate che, come era ampiamente prevedibile, sono diventate regola universale. Non poteva andare diversamente perché l’uomo è fatto così: meno gli si chiede e meno fa, tanto nelle cose materiali quanto in quelle spirituali. Ed è strano che questo sfugga a uomini di Chiesa che l’uomo lo dovrebbero conoscere bene.
Cara Paola, è chiaro che l’Ostia, una volta consacrata, rimane tale anche se la distribuisce un laico. Ma bisogna tenere conto del danno che questa pratica comporta, fino a svilire la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Dunque, non è la stessa cosa se la comunione viene distribuita da un sacerdote o da un laico. Il consiglio è che, se intanto non può cambiare Messa, cambi almeno chiesa e ne cerchi una dove qualche forma cattolica viene ancora rispettata.
Ma sarebbe molto meglio cambiare Messa, come ha fatto Roberta. La descrizione di ciò che ha trovato fin dall’inizio nella Messa Vetus Ordo non ha bisogno di aggiunte. E trovo particolarmente saggia e spiritualmente ben strutturata l’osservazione secondo cui “il desiderio della Messa in rito antico diventa necessità”.
È proprio così, cara Roberta, ma bisogna tenere conto di un fatto che ho constatato con l’esperienza di anni: quel “desiderio” non nasce in tutti. Nasce solo in anime ben disposte, ben formate e visitate dal Signore. Anime che, magari, della Messa Vetus Ordo non avevano mai sentito parlare. In poche parole cara Roberta, è una grazia davvero grande di cui dobbiamo rispondere direttamente a Chi ce l’ha data.
E non è una responsabilità da poco.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo

 
Caro Gnocchi,
ho sentito la trasmissione di Adinolfi a Radio Maria. Mi è sembrato che abbia detto delle cose corrette, e tra l’altro ha parlato con molta chiarezza. Sono d’accordo con voi sul fatto che il personaggio non è un “esempio” per la sua situazione di famiglia, però quello riguarda la sua vita privata. Se le sue trasmissioni a Radio Maria andranno avanti così, almeno trasmetterà dei messaggi positivi. Non le sembra quindi che sia ingiusto criticarlo, quando poi ci sono persone che magari hanno situazioni “regolari” nella vita privata, ma poi sostengono tutte le teorie pazze che sappiamo sulla famiglia, sull’aborto? La ringrazio e la saluto.
Francesco Giuffrida




Caro Giuffrida,
mi pare che lei stia facendo un po’ di confusione e che il suo ragionamento sia più o meno questo: meglio una persona che predica bene e razzola male piuttosto che una persona che predica male e razzola bene. Tradotto così penso sia chiaro anche a lei che non si tratta di un’alternativa molto cristiana. Di questi tempi, impasticcati di cosiddetto “sano realismo” e di “male minore”, troppi cattolici fanno i conti col bilancino tra il predicare e il razzolare, ma la morale cristiana non è stata prodotta in farmacia, arriva direttamente da Dio.
Non ho sentito la trasmissione di Adinolfi e non ho motivo per mettere in dubbio che abbia detto cose buone. Trovo disdicevole che un organo di informazione cattolico dia spazio a cattolici, perché tale è Adinolfi, che pontificano magnificamente su argomenti che nella loro vita trasgrediscono pubblicamente.
In tal modo si finisce per dire all’ascoltatore che una cosa è la dottrina e un’altra cosa è la pratica. Insomma, la solita distinzione tra dottrina e pastorale che va di moda da tanto tempo e che, sotto il pontificato di Bergoglio, è diventata un vero e proprio mantra, anzi la cifra di un “nuovo cristianesimo”.
È la realizzazione dell’immagine, così fortunata nella sua stoltezza, della Chiesa come ospedale da campo, dove c’è posto per tutti senza andare troppo per il sottile. Però poi, caro Giuffrida, non viene curato nessuno.
Forse sarebbe stato meglio chiamare il dottor Adinolfi e spiegargli che la sua situazione familiare non è in regola secondo la dottrina e la morale cattolica e quindi deve porvi riparo attraverso tutta l’assistenza e l’amore che può dare una pastorale che segua la dottrina. Una volta fatto questo, il dottor Adinolfi sarebbe pronto per pontificare, spiegando, tra l’altro, che è possibile cambiare vita.
Invece, sotto i fumi della teoria della Chiesa ospedale da campo, non solo si fa posto a tutti, ma i malati e i feriti si trasformano in medici. Lei, caro Giuffrida, si farebbe curare in un ospedale del genere?
Capisco se padre Livio, che deve essere uno che ama l’azzardo, avesse affidato al suo nuovo campione una trasmissione sul gioco del poker. Adinolfi stesso dice di essere così bravo da aver vinto al gioco i soldi per mettere su un quotidiano.
Ecco, caro Giuffrida, in questo Adinolfi ha, è il caso di dirlo, le carte in regola per tenere insieme teoria e pratica, ovvero, in termini che ci si sono abituali: dottrina e pastorale.
Sulle questioni che riguardano la famiglia, non ancora.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo






febbraio 2015

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