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CÒLTI QUA E LÀ di L. P.
Non è difficile, da due anni in qua, con l’avvìo del pontificio “corso argentino”, cogliere dalla vita ecclesiale spunti ed argomenti della più variegata specie e della più difforme e scadente qualità per cui, stante la tecnologìa dell’informazione in tempo reale, la loquacità irrefrenabile degli uomini di Chiesa, si riversa in quotidiane massicce dosi all’orecchie e al cuore dei fedeli e degli infedeli. Una volta è il cardinale Maradiaga, e poi Kasper, e poi don Farinella, e poi il cardinal Marx e, subito appresso, Parolin e don Capitani, e il Papa con Scalfari, e l’emerito ex Benedetto XIV con Odifreddi, e, per non peccare d’omissione, il cardinal Gianfranco Ravasi e gli atei ed ancora suor Cristina e le Clarisse di Napoli festanti intorno al Papa e in bacheca facebook, con la nuova leva degli Adinolfi in perenne vetrina tv. Insomma, una fiumana verbosa senza soluzione di continuità e su tutti i temi che la problematica umana può fornire: ecologismo, periferie esistenziali, coppie e non coppie, il governo e le sue riforme, san Valentino e l’accoglienza, il lavoro, la famiglia. Ed in sì fatta abbondanza non mancano, allora, passi, brani o intere espressioni di sbilanciato equilibrio intellettuale che vanno, purtroppo, ad incidere su aspetti eminenti del dogma e del senso comune. Noi, come di solito, proponendoci di essere attenti alle cose di Dio e degli uomini, facciamo scorta di quel materiale che si dimostra degno di nota, e non come semplice passatempo o esercizio di curiosità ma, lo diciamo con estrema e sincera umiltà, quale impegno apologetico che tiene conto della volontà del Signore che ci chiede di essere suoi testimonî: “Siete miei testimonî – oracolo del Signore – miei servi. . .” (Is. 43, 10) e del comando di Cristo: “Mi sarete testimonî in Gerusalemme, in tutta la Giudea e nella Samarìa, fino alle estremità della terra” (Atti ,1, 8). Sicché, dopo aver compulsato, in questi giorni, documenti, dichiarazioni, comunicati ed articoli, abbiamo estratto, per il momento, tre interventi relativi ad altrettante tematiche che vedono, quali interpreti, Papa Francesco I Bergoglio, Mons. Nunzio Galantino, segretario CEI, il cardinal Giuseppe Betori e l’immancabile “La Domenica” su cui, già in precedenza, abbiamo avuto occasione di sostare per taluni contenuti del tutto eterodossi ed ameni. Sono serie problematiche di cogente ed attualissima evidenza la cui intrinseca nefasta gravità e l’incombenza avvertita di pericolo dovrebbero attivare la vigilanza e la difesa degli apparati dello Stato e della Chiesa, pronti, quando che sia, ad intervenire. Parliamo della crescente ondata di violenza islamica che, da tempo, tramite il braccio armato del cosiddetto “califfato” semina, nei territorî del M. O., terrore e cumuli di vittime con una progressione che sembra non temere soste, con le cronache giornaliere che ci raccontano di chiese distrutte, di stragi di cristiani, di esodi biblici e di fosche previsioni, di contro a un blabla astenico, timido e ventriloquo delle Istituzioni politiche dell’Occidente. A seguire, l’introduzione, nella legislazione italiana che in tal modo si mette in riga con le disposizioni ONU, di norme e di leggi con che si vuol legittimare la cosiddetta “unione civile”, vale a dire il riconoscimento di coppie omosessuali – maschili/femminili – a cui, in parte, si vogliono attribuire le guarentigie e le connotazioni della famiglia naturalmente e cristianamente intesa. A conclusione di questo nostro intervento, presentiamo un’altra di quelle che, da tempo, denominiamo “Perle de La Domenica”, con l’escussione di un pensiero personale di un liturgista, ma indiziario di un generale e diffuso sentire, relativo al Sacramento della Confessione. Saremmo, poi, lieti, se i lettori volessero far pervenire presso la Direzione del sito una loro segnalazione non tanto sulle nostre considerazioni quanto sull’oggettiva gravità dei temi messi sotto lente. 1 - “La crociata di Papa Francesco in difesa dei cristiani aggrediti”. Questo il titolo con cui – Il Giornale 27 marzo 2015 – ci vengono illustrati gli “sganassoni” (sic) che Papa Bergoglio ha rifilato ai terroristi che perseguitano senza pietà i cristiani. E questi interventi sono così temibili, scrive l’estensore dell’articolo, che “ad aver paura del Pontefice argentino dovrebbero essere oggi proprio i jihadisti, assatanati tagliagole”. Del che dovremmo rallegrarci se non fosse che le decine di ammonimenti, in cui però prudentemente si tace la matrice religiosa dei tagliagole, altro non siano – ci perdoni Sua Santità – che mero “flatus vocis”. Non siamo così ingenui da pensare che i varî capi del califfato o gli altri compagni di sangue si siano sentiti intimiditi da queste esternazioni piuttosto vaghe, paterne, prive di decisione e di tagliente incisività. Se possiamo permetterci di osservare, diciamo che, dalla sua Lampedusa (2013), che altro non fu che stimolo ulteriore ed invito all’invasione “pacifica” e disordinata dell’emigrazione islamica, le azioni sanguinarie del terrorismo islamico hanno preso, in M. O. ed in Africa, un ritmo crescente, così come in Europa. Teste tagliate, crocifissioni, roghi, assalti a colpi di kalashnikov: tutto il repertorio dei nuovi vandali. Se queste invettive, suonate con la sordina, avessero avuto l’intensità della commossa, vibrante e profonda e dura convinzione con cui Papa Bergoglio si auspicò ulteriori sbarchi per una più fraterna accoglienza, avremmo assistito al lancio di interdetti, scomuniche, maledizioni, anatemi né più né meno dissimili da quelli scagliati contro i mafiosi o i camorristi. La camorra “puzza”, è vero, ma. . . il terrorismo islamico? Come dovremmo interpretare questa riflessione papale “Sarebbe bello che tutti i leader islamici dicessero chiaramente che condannano il terrorismo” se non come una pia formulazione, una mozione degli affetti, di cifra peraltro estetica - sarebbe bello – permeata di timido e cordiale accoramento ma priva di alcunché di autorevole? Forse che, l’uscita con cui Papa Bergoglio, sull’aereo di ritorno da Manila, quella con cui minacciava “un pugno” a chi avesse detto male di sua madre, è stata sufficiente a dar la tremarella alla jihad? Siamo alle solite: ci si copre gli occhi per non vedere e non capire che quello che scatena il terrore – le bibliche cavallette – non è un “fondamentalismo islamico”, una frangia cioè di esagitati estremisti, ma, detto alla breve, è il dettato del Corano stesso. Predicare il contrario altro non è che una diversione culturale e politica con che si vuol distinguere un Islam moderato da uno scellerato, un alibi all’inazione. Ora,senza voler porre analogìe, ricordiamo che anche in terra cattolica, “in partibus fidelium”, siffatta distinzione ha portato al ritratto di una Chiesa che, dopo il Concilio Vaticano II, si presenta aperta al mondo, flessibile nel dogma e nella pastorale secondo il moto e l’andamento dei tempi, molto duttile in morale e, pertanto, diversa assai da un Cattolicesimo integralista, vale a dire fondamentalista, quello che, secondo un generale giudizio, fu la Chiesa preconciliare col suo rito tridentino, la scomunica delle eresìe, la sequela all’etica evangelica, la condanna dell’adulterio e della bestemmia, il senso reverente del sacro. S’è prodotta, così, la tipologìa spregiativa del cattolico “integralista”, severo, antiquato, taccia che a noi viene sovente rivolta ma di cui facciamo diploma di benemerenza quando, con scorno degli omologati “cristiani adulti”, acculturati e dogmaticamente evoluti, ricordiamo il monito divino: “se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt. 18, 3). Sicché, con l’aver accomunato la personalità del cattolico “tradizionista”, alla figura del taliban “fondamentalista” islamico, l’Occidente ha creato un comodo nemico comune, utile per continuare la commedia degli equivoci e delle furberìe. Con la differenza immensa che l’integralista cattolico, il “tradizionista”, non pensa né decide di assolvere il mandato dell’evangelizzazione e della salvaguardia del Depositum Fidei, scannando, immolando, violentando i miscredenti, ma prega, adora in ginocchio, osserva i comandamenti ed ama il prossimo come se stesso. Ne son eloquente e grandiosa prova i martiri che, in questi giorni, vittime dell’orrore islamico, testimoniano l’appartenenza a Cristo. Cattolici integrali. Eppure, nonostante che questi cristiani si sostanzino e vivano nella fedeltà evangelica e nei fondamenti della inalterabile dottrina, c’è chi gestisce e manipola il termine “cattolico” come un che di orrido e di abominevole, legittimato, in questo odio, dalle sette richieste di perdono che GP II avanzò al mondo per le nefandezze compiute, secondo lui, dalla Chiesa cattolica preconciliare. Da quelle inopportune, infondate ed ingiuste richieste è scaturita una semantica negativa che aumenta il suo peso di giorno in giorno. Ne è testimonianza quanto accaduto, sere or sono – 28 marzo 2015 - in una trasmissione tv, di cui riveliamo l’entità: 8 ½, emittente La 7, durante la quale un ospite, tale Claudio Sabelli Fioretti, ad una ironica considerazione formulatagli da altra persona, risponde: “A me, cattolico non lo dice”, come a dire: non mi si dia del terrorista (Liberoquotidiano.it 29/3/2015). E così, anche l’aggettivo “cattolico” entra trionfalmente nella categorìa del male, della violenza e dell’intolleranza, una specie di persone da evitare come la lebbra e da condannare all’estinzione. Da quando la sventurata deriva conciliare ha portato gli uomini di Chiesa ad allearsi al mondo e ai suoi fondamenti illuministici liberal/massonici del 1789 - quelli del dubbio, del liberismo assoluto e dello scetticismo critico - anche le menti più acute e i cuori più fedeli, che avevano avvertito il rischio e l’imbarazzo di sentirsi appellare “tradizionalista”, ovvero “fondamentalista”, ora temono anche di essere tacciati di “cattolico”. Ma non è, forse, sulle fondamenta, solide e ben collaudate, quelle che il Signore pone a base della casa (Ps. 126, 1), che si costruisce? Ed allora, perché il termine dovrebbe, Santità, connotare chi crede con fermezza, senza l’ombra di dubbio, alla verità rivelata? Perché, secondo Mons. Nunzio Galantino, il giovane che recita il santo Rosario davanti alle cliniche abortiste, è un intollerante, uno sbiadito, un astenico? Ora, se qualche “sganassone” - come scrive l’articolista – lei intende rifilare al terrorismo, cominci a chiamare questa violenza col vero suo attributo, cioè “islamica” e non solo “criminale”. Punto e basta. 2 – La CEI prima, per bocca del suo Segretario Mons. Nunzio Galantino e poi dell’arcivescovo di Firenze, il cardinal Giuseppe Betori, ha anticipato alla stampa quale sarà l’atteggiamento della Gerarchìa di fronte al disegno di Legge avanzato dalla parlamentare Monica Cirinnà (PD), disegno che contiene le linee guida dell’omologazione delle coppie omosessuali a realtà familiari. Roba da far tremare le foglie. Ebbene, il cattolico si sarebbe aspettato un fuoco di sbarramento, quello che, un giorno sì e l’altro pure, è solito scaraventare il cardinal Angelo Bagnasco quando spara a palle incatenate su politica, economìa, stato, sindacati, regioni, enti locali. Ci saremmo aspettati un corale sollevamento, compatto ed agguerrito, della stampa cattolica e la chiamata delle parrocchie alle armi. Macché! Nello spirito conciliare del dialogo siffatte misure sono sconosciuti ricordi di antiquate e rifiutate devozioni, anzi, esecrate perché oggi, a forza di scindere il peccato dal soggetto peccatore, si è giunti a perdere anche la cognizione del male a favore di una visione russoiana, l’uomo, cioè, che nasce intrinsecamente buono ma che si corrompe per colpa della società. Un benservito alla dottrina rivelata del peccato originale che Papa Bergoglio ha, con fiera umiltà, sostituita con il foro della coscienza individuale: è bene quello che tale ti sembra e male quello che tale ti sembra. Scalfari Eugenio sorrise a simile affermazione: aveva convertito il Papa di Roma al relativismo etico. Ma “ad coepta feramur”, portiamoci alle cose iniziate, con l’esaminare il pensiero di Mons. Nunzio Galantino di cui commenteremo alcuni ed illuminanti stralci della sua dichiarazione (Avvenire on line 27/3/2015) che mostrano la caratura e la forza di certa controffensiva. “Ancora una volta è in atto un tentativo di equiparare realtà che di fatto sono diverse tra loro… La famiglia è una realtà storicamente, culturalmente e antropologicamente definita”. Il Segretario CEI dichiara che la famiglia e la coppia omosessuale sono realtà “di fatto diverse”. Avesse aggiunto o, meglio, premesso che non proprio diverse ma opposte, e non di fatto ma “de jure divino” avrebbe parlato da pastore della Chiesa e non da genetista alla Boncinelli. Ma, come si sa, la litote, cioè l’attenuazione, il dire e il non dire, è parte integrante del nuovo galateo basato su un mieloso rispetto delle altrui idee e sulla tolleranza. Voltaire, il commerciante di schiavi negri, insegna. “Occorre invece avere coraggio di riconoscere le differenze, senza pretese di fare del terrorismo linguistico”. Come ben si nota, il vescovo sta attento nella scelta delle parole, perché non sia mai che si arrivi a fare terrorismo col vocabolario! ed, infatti, egli non parla di “opposizione” ma di “differenze” così come il nuovo corso teologico, partito dal Concilio e sancito da Assisi ‘86/2011, ci insegna che l’unità ecclesiale si realizza nella diversità delle confessioni sotto l’ombra della cupola del Nuovo Ordine Mondiale, di un’unica ed indifferenziata “Chiesa di Cristo” fatta di tante chiese, come si augurava Giovanni XXIII. E, siccome, il termine opposizione verte sul versante dello scontro, la dirigenza ecclesiastica, onde evitare collisioni con un mondo a cui ha promesso lealtà, sfuma il concetto con la parola “differenze” che, nella fase dialettica, vanno riconosciute con coraggio. Il coraggio, Rev. Mons. Galantino, è una dote, è una tensione che si manifesta ed interviene nelle contrapposizioni gagliarde mentre, è noto, verso le differenze si adotta l’iperlodato e anemico dialogo. La coppia omosessuale, tanto per chiarire la sua interpretazione, non confligge con la famiglia eretta sul diritto divino/umano e non le si contrappone in termini teologici ed etici, ma si discosta per differenze che, tra l’altro, lei non elenca. Affermare che la famiglia è tale per storia, cultura e antropologìa è consegnare su un piatto d’oro la replica all’avversario il quale non avrà difficoltà a dimostrarle come la cultura, la storia e l’antropologìa siano categorìe umane che evolvono/involvono seco traendo schemi, leggi, usi e costumi. Lei, cioè, afferma un relativismo con cui demolisce quella famiglia che pensava di difendere. D’altra parte, non è stato lo stesso Pontefice, felicemente regnante, a dirci che “le coppie gay pongono sfide nuove che per noi sono persino difficili da comprendere”? (Il Messaggero 04 gennaio 2014). Ma san Paolo le aveva capite, eccome, tanto da metterne in guardia i cristiani di Roma e di Corinto! Solo che San Paolo non era un “gesuita” ma di un’altra compagnìa di Gesù, quella dei testimonî, dei martiri cioè, votati a dare la vita per Lui per custodirne e mantenerne intatta la Parola. Le sfide… ! Tralasciamo di soffermarci sulla pomposità retorica ed erronea di tale affermazione, ricordando che le sfide le lancia Cristo, e tutte riassunte nella semplice ed asciutta esortazione: “Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt. 16, 24). Il mondo, al contrario, allestisce trappole ed ordisce inganni, non lancia sfide e purtroppo, il Papa, inventatosi questa metafora, si è automaticamente inviscato in questo paludoso capovolgimento conferendo al mondo dignità di lodevole soggetto a cui rispondere e corrispondere. Insomma, dice Mons. Galantino, non è il caso di avviare anche un terrorismo linguistico dopo che, diamine! abbiamo abolito le Crociate e definito il proselitismo una sciocchezza! Sollecitato, perciò, a indicare qualche attività concreta, Mons. ha fatto riferimento “all’azione culturale… Formare persone a decidere se, attraverso la mobilitazione, si risolve il problema oppure avendo docenti capaci di rispondere con la testa a certi tipi di problemi… La cultura è il primo passo”. Ebbene, il Segretario CEI risponde con il fumoso stereotipato ricorso alla “cultura” a cui dovrebbero far capo, quali punte di formazione, docenti capaci. Ora, noi non sappiamo se il Mons. ci sia o ci faccia perché è ancora fresca la vergognosa e proditoria ferita inferta proprio alla categoria dei docenti di religione allorché a Milano e a Torino, le Curie arcivescovili rette, rispettivamente, dal cardinale Angelo Scola e dal Mons. Cesare Nosiglia, hanno sollevato dall’insegnamento due degni docenti di religione rei, secondo certa stampa laicista e massonica, di aver osato, il primo, prof. Giorgio Nadali – Milano, Liceo Cardano, febbraio 2015 – la proiezione di un filmato sull’aborto e la seconda, prof.ssa Adele Caramico – Moncalieri, Ist. Pininfarina, novembre 2014 – esprimere l’ortodossa opinione sull’omosessualità intesa quale anomalìa. Accusato di scarso senso didattico il primo e di omofobìa la seconda da un proditorio e codardo asservimento delle due Curie che, obbedienti ai comandi delle centrali liberali della disinformazione, hanno di fatto giubilato i due. E allora, Mons. Galantino: quali dovrebbero essere i docenti capaci di imporre uno stile culturale in risposta all’avanzata della pseudoscientifica teoria del “genere”? Se i docenti, quelli buoni, li cacciate, ci sa dire su chi fare affidamento? Ma non ci stupiamo, perché siffatto modo di agire è tipico degli uomini di Chiesa targata Papa Francesco, colui che ha inquisito e disperso i figli più devoti, fedeli e fecondi della Chiesa di Cristo, i Frati Francescani dell’Immacolata. Perciò non venga a snocciolarci ricette o provvidenze fumose, astratte ed ipocrite che lasciano il tempo che trovano. La verità è semplice: non sapete, voi vescovi, a che santo appellarvi e quali rimedî adottare, dal momento che avete disarmato la barca di Pietro, sfasciato il timone, convinti di essere capaci di saper traversare e affrontare da soli gli oceani della storia. I salvagente che ora proponete – docenti capaci, cultura, coraggio che non c’è , ecc. . – sono salvagenti di piombo perché intrisi di relativismo e di scienza laica oltre che di cultura apòstata. Ne è prova la recente tempestosa stagione invernale, quando, davanti ai danni delle intemperie, solo un prete, in quel di Brescello, si ricordò, con una processione in stile “rogazione”, di chiedere l’intervento non della Protezione Civile ma di quella più potente, quella Divina, trovandosi sbeffeggiato, irriso dalla stampa laicista e compatito da quella supponente cattolica modernista. Ed allora: di che vogliamo parlare? Veniamo al cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze che, sull’argomento del ddl Cirinnà, ha affermato che “nessuno ci tapperà la bocca”, confessione con cui implicitamente ci fa capire che, fino ad ora, la CEI non ha detto gran che, non ha fiatato davanti ai preparativi e alle parate dei varî “gay pride”, davanti alle mille e mille provocazioni di singoli personaggi in trasmissioni tv e sui giornali e dei suoi stessi sacerdoti alla “Don Gallo”. Ma vedrete: nessuno, da oggi in poi, tapperà la bocca al clero. Certamente non una grande intemerata questa, ché bisogna distinguere se la bocca che verrebbe tappata è una bocca che grida o una che sussurra. E, sull’onda di simile fierezza, il prelato prosegue dicendo di “essere in buona compagnìa: proprio oggi ho letto dalla bocca di un laico, laicissimo grande filosofo, Habermas, il diritto delle religioni a dire pubblicamente, a intervenire ed essere elemento costruttivo dell’umano”. Cari lettori: ma guardate un po’ se taluni uomini di Chiesa, per di più i suoi prìncipi, debbano aver bisogno del conforto di un filosofo gnostico marxista francofortese! Prima di Habermas, già Qualcuno, più grande di lui, al quale il filosofo tedesco è infinitamente indegno di slacciare i calzari – figuriamoci! – aveva comandato ai suoi: “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti” (Mt. 10, 27). Il cardinal Betori dimostra di non conoscere il Vangelo perché, diversamente, non avrebbe portato a debole ed inopportuno sostegno del proprio proposito una peregrina considerazione di un filosofo non cristiano passatagli durante una lettura. A meno che, pur conoscendo Mt. 10, 27, il cardinale non abbia fatto spallucce per uno, come Cristo, vissuto 2015 anni fa, che è passato di moda, siccome oggi premono i maestri del pensiero, specie se di parte laica, e che distillano affascinanti sistemi e idee concrete sulle cose di quaggiù! E come, infatti, non ricordare l’attrazione fatale che, dal Concilio ad oggi, sui tanti e tanti intellettuali cristiani, laici e consacrati, esercitano figure di pensatori atei, darwinisti, comunisti, eretici? L’emerito Papa, cardinal J. Ratzinger, non nasconde la sua predilezione per i talmudisti Martin Buber e Jacob Neusner, per il darwinista J. T. de Chardin, non si nega la corrispondenza epistolare con l’ateo matematico Piergiorgio Odifreddi. E, poi: il cardinal Ravasi che, a proposito della misericordia del Padre, preferisce narrare fiabe tibetane omettendo la luminosa parabola del figliol prodigo; i cardinali Marx e Kasper che citano Lutero e Balhasar. Insomma, la cultura del mondo è diventata il fondamento della nuova teologìa e della nuova pastorale. Cosicché, posti a difesa della purezza del dogma simili sentinelle, siamo sicuri che il fronte omosessuale troverà una larga strada, comoda, sgombra da intralci ed ostacoli perché, a vigilare, ci saranno i docenti di Mons. Nunzio Galantino e il filosofo di S. Em. Giuseppe Betori, come a dire che per la guardianìa del pollaio/ovile cristiano verrà dato incarico alle faine/lupi. 3 – “ Nel sacramento della penitenza, infatti, non è tanto importante ciò che si è fatto in passato, quanto piuttosto ciò che si intende fare per il futuro, per quanto possibile”. (La Domenica – Domenica delle Palme e della Passione del Signore /B – solennità – 29 marzo 2015 – pag. 23). Non è nostra intenzione operare un’estesa ricognizione sulla dogmatica del Sacramento della Confessione perché ci è sufficiente indicare ai lettori una delle tante domandine contenute nel grande e glorioso Catechismo di S. Pio X e, precisamente, la n. 684 che così interroga e poi risponde: «Che vuol dire confessione intera?
«– Confessione intera vuol dire che si debbono manifestare nel loro numero e con le loro circostanze (che ne mutano la specie) tutti i peccati mortali commessi dopo l’ultima Confessione ben fatta e dei quali si ha coscienza». Altro che poco importante! Il carico del passato è l’oggetto stesso del sacramento ed è tanto importante che se il penitente non lo espone al completo non lucra il perdono. Confessarsi non è uno snocciolare il catalogo delle mancanze seguito da uno “scurdammoce ‘o passate” perché, come dice il salmista “il mio peccato mi sta sempre davanti” (Ps. 50, 5). Che poi, alla coscienza del trascorso peccaminoso debba necessariamente seguire il proposito di non ripeterne, per l’avvenire, l’esperienza, lo esige la giustizia del Signore dopo di che la Sua misericordia scende a sanare le ferite. L’uomo non vive del solo futuro verso cui si proietta, ma è tale proprio per l’esperienza passata che ne costituisce l’elemento di qualificazione e di identità. Anzi, a dirla schietta, nessuno può affermare alcunché circa il futuro mentre il presente scorre incerto, e storico e inalterato è il passato. Nel sacramento vale, certo, il proponimento di non cadere ulteriormente nei peccati confessati, ed è requisito, questo, che guadagna il perdono, ma ciò che è veramente importante è lo scarico del pregresso peccaminoso, operazione primaria senza la quale non c’è assoluzione. Non è, pertanto, corretto e ancor meno educativo, diffondere queste idee che tendono a sbiadire non solo la gravità del peccato in sé ma a rendere i proponimenti delle semplici formule di circostanza. Per questo i confessionali sono sempre meno frequentati, quasi semplici elementi di arredamento. (torna
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marzo 2015 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |