Offese all’intelligenza

A proposito delle reazioni alla consacrazione episcopale di Mons.  Jean-Michel Faure

di Belvecchio





Indubbiamente, soprattutto per il mondo della Tradizione, l’evento più eclatante, e dirompente, è stata la consacrazione episcopale di Mons. Jean-Michel Faure effettuata da Mons. Richard Williamson il 19 marzo 2015. Essa ha suscitato una miriade di reazioni, com’era prevedibile e com’è logico che sia, molte delle quali però lasciano allibiti per la pochezza e per l’inconsistenza che palesano e per il vuoto argomentativo che le caratterizza.

La prima considerazione che si impone è relativa alla dichiarata e ripetuta sorpresa che l’evento avrebbe causato. Eppure, a partire dal Vaticano II, la divisione che si è prodotta nella Chiesa tra i sostenitori della millenaria continuità dottrinale e liturgica e i propugnatori e i realizzatori della moderna discontinuità, tendente alla realizzazione di una nuova religione e di una nuova Chiesa, non v’è dubbio che abbia imposto la necessità della consacrazione di nuovi veri vescovi cattolici, a partire dalla consacrazione di quattro di essi effettuata da Mons. Marcel Lefebvre il 30 giugno del 1988.
Ciò nonostante, questa nuova consacrazione, non solo non è piaciuta a tanti, ognuno per i suoi motivi particolari, ma avrebbe sorpreso tutti come fosse un evento caduto dal cielo e del tutto insospettabile.
Abbiamo ragione a parlare di offesa all’intelligenza?

Se poi si vanno a guardare i vari interventi, comunicati e dichiarazioni, si è portati progressivamente a sorridere e quindi a ridere amaramente.

C’è stata la solita inconsistente dichiarazione “romana” sulla scomunica “latae sententiae”, come se la divisione nella Chiesa e la “separazione”, lo “scisma”, fosse praticata solo da certi cattolici, detti “fondamentalisti” e non invece dai vescovi, a centinaia, che hanno rinunciato ai “fondamenti” del Vangelo per abbracciare il progresso intellettuale e comportamentale del moderno “illuminismo” seppure riveduto e corretto alla luce della teologia conciliare, come ha ripetutamente “insegnato” il cardinale Ratzinger, già papa cattolico ed oggi papa emerito.

La consacrazione episcopale senza il preventivo mandato pontificio sarebbe un atto scismatico, ripetono in tanti; ergo, i responsabili attivi e passivi sarebbero scomunicati “ipso facto”.
Il ridicolo è, l’offesa all’intelligenza è che in questa nuova Chiesa conciliare si pretende che certi vescovi chiedano al Papa regnante di essere autorizzati da lui ad agire contro il Papa regnante!
E se poi il Papa regnante, com’è logico  che accada, rifiutasse l’autorizzazione, ecco che i vescovi che agiscono contro di lui, per ciò stesso metterebbero di farlo.

Ma l’errore – dicono – è proprio quello di agire contro il Papa, quindi…!
Facile a dirsi, soprattutto per i cattolici, conciliari e “tradizionali”, che si ergono a critici di questa nuova consacrazione effettuata senza mandato pontificio; ma nei fatti non è permesso acconsentire al Papa se questi viene meno al suo mandato: che mandato potrebbe essere richiesto ad un papa che come unico mandato ha quello di trasformare la Chiesa tradizionale cattolica in Chiesa conciliare e mondialista?

C’è stata poi la reazione dei cattolici “tradizionali” che amano pensarsi “irriducibili”, tali da non riconoscere la sussistenza di un papa a Roma, e che partendo da una premessa schematica giungono ad una conclusione semplicistica: chiunque riconosca che a Roma c’è un papa, per ciò stesso non è cattolico; e siccome io, noi, sono, siamo gli unici a tenere questa posizione, gli unici cattolici siamo noi.
Posizione questa che, seppure apprezzabile per la bontà delle motivazioni, rivela un’evidente sterilità e produce distingui e critiche fini a se stesse.

C’è stata poi la reazione dei cattolici “tradizionali” che dirigono attualmente la roccaforte cattolica fondata da Mons. Lefebvre, i quali si sono distinti per la profonda riflessione secondo la quale, quando fanno qualcosa loro è certamente buona e giusta, quando la stessa cosa la fanno altri che prima erano con loro e oggi non lo sono più, questa cosa è certamente cattiva e sbagliata. 
Una sorta di seconda faccia dell’atteggiamento intellettuale e religioso dei cattolici che amano pensarsi “irriducibili”.
Mentre questi ultimi, però, partono dalla premessa che già Mons. Lefebvre avrebbe sbagliato, tanto da sentirsi autorizzati ad abbandonarlo a suo tempo, i primi si industriano a citare Mons. Lefebvre per dimostrare che Monsignore consacrò senza mandato pontificio, ma con un mandato personale che solo nel suo caso era quanto di più cattolico e di più tradizionale si potesse e si possa pensare.

In effetti, l’assunto di questi ultimi è basato sul seguente ragionamento:
l’attitudine di Mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X non è, quindi, un attaccamento personale al bene particolare di un’opera personale, ma la preoccupazione per la salvezza delle anime, per l’unità della fede e del culto, che corrispondono al bene comune della Chiesa.” (le citazioni sono riprese dall’articolo: “A proposito della consacrazione di Don Faure da parte di Mons. Williamson”, pubblicato nel n° 313 di DICI del 3 aprile 2015)
Peccato che lo stesso Mons. Lefebvre, nel corso del sermone del 30 giugno 1988 per la consacrazione di quattro vescovi, ebbe a dire:
«Oggi, in questa giornata, si compie l’operazione sopravvivenza, e se io avessi concluso quella operazione con Roma, proseguendo negli accordi che avevamo firmato e proseguendo con la messa in pratica di questi accordi, avrei compiuto l’operazione suicidio. Allora, non v’è scelta, sono obbligato, noi dobbiamo sopravvivere. Ed è per questo che oggi, consacrando questi vescovi, sono convinto di continuare, di far vivere la Tradizione, cioè la Chiesa cattolica.»

Concetto che rivela come Mons. Lefebvre avesse a cuore la sopravvivenza, il “bene particolare della sua opera personale”, perfettamente convinto che questo coincidesse “col bene comune della Chiesa”.

A volte, pur partendo da citazioni di Mons. Lefebvre, cápita che si esternino affermazioni che contrastano con la normale intelligenza, convinti che la contraddizione non venga colta da chi ascolta o da chi legge.
Non abbiamo ragione a parlare di “offesa all’intelligenza”?

Per concludere, ricordiamo un particolare interessante di questa consacrazione del 19 marzo 2015. Il consacrante, il consacrato e l’oppositore di entrambi, furono scelti da Mons. Lefebvre per la consacrazione del 1988, oggi essi si trovano su posizioni diverse: due dalla stessa parte, contrapposta a quella del terzo. Chi si trova in errore e chi no?

Noi pensiamo che la chiave per la risposta si trovi nel fatto scontato che da allora ad oggi la gerarchia cattolica ha sempre più fatto sprofondare i cattolici nell’apostasia, così che la decisione di Mons. Lefebvre di agire “per stato di necessità” oggi necéssita di essere confermata e rinforzata ed ampliata, mentre esige che molto più di ieri ci si allontani da questa Roma che si conferma anticattolica, come diceva Mons. Lefebvre. Chi cerca scuse per glissare questi imperativi, non persegue il bene delle ánime, ma il suo bene particolare e personale, del che accusa gli altri perché è risaputo che ogni banditore  riesce a parlare solo del prodotto suo proprio.

Qualcuno potrebbe pensare, sbagliando, che noi si esageri a parlare di visione personale, ma non c’è altra possibilità quando si legge: «Poco dopo, in una intervista Mons. Faure ha precisato: “La consacrazione ha dovuto essere realizzata così perché non fosse impedita. La situazione di Mons. Williamson rimane delicata. …” Qui si tratta di un’allusione al fatto che Mons. Williamson possa essere disturbato nei suoi spostamenti in seguito alle sue dichiarazioni sulle camere a gas durante la Seconda Guerra Mondiale

C’era proprio bisogno di precisare una cosa del genere in una comunicazione ufficiale? Se non spinti da una sottile acredine che preferisce avallare il pensiero del mondo moderno pur di sminuire l’avversario?

Semmai, questa sarebbe stata l’occasione per precisare che si tratta della moderna applicazione ebraico-mondialista del secondo Comandamento, stoltamente fatta propria dal mondo odierno, che quando íntima “non pronunciare il nome di Dio invano”, in realtà sostiene: “non pronunciare il nome della Shoa invano”, datosi che modernamente la nuova religione mondiale ha sostituito la Shoa a Dio.

La mancanza di questa precisazione e in sua vece il richiamo alla riprovazione del mondo secondo il nuovo canone dettato dal mondialismo ebraicizzante, rivela un convincimento e una condivisione che ha poco o niente di cattolico.
E poi ci si lamenta che nella consacrazione del 18 marzo Mons. Williamson abbia detto nel sermone: «In altre parole, noi oggi ripariamo, in qualche modo, la luce d’emergenza accesa da Mons. Lefebvre. Vi era la Chiesa, un grande edificio con una luce elettrica normale e questa luce si è spenta perché delle tenebre sono penetrate nella Chiesa. Mons. Lefebvre creò, accese una luce d’emergenza e oggi la Fraternità San Pio X è sul punto di seguire il compromesso del Vaticano II. I suoi capi vogliono associarsi, vogliono diventare amici dei Romani; vogliono seguire i Romani

Altro che processo alle intenzioni, in questi comunicati è contenuta la prova che quanto sostenuto da Mons. Williamson e da Mons. Faure circa la Fraternità San Pio X corrisponde alla pura verità.



aprile 2015