La saga dell’imbecillità
e
la responsabilità della Chiesa conciliare

di Belvecchio





In questi  giorni, non a caso a ridosso della Pasqua, si è accentuata la campagna politico-mediatica contro la religione, intesa “laicamente” come fattore discriminante, soprattutto sull’onda del diffondersi dell’attività bellica dei gruppi musulmani che, per una loro logica interna, intendono affermare l’esclusivismo dell’Islam.

Non staremo qui a ricordare le complicità dirette e indirette della gerarchia cattolica, papa in testa, che con il loro atteggiamento mellifuo e suadente e con la loro ingannevole blandizia hanno fatto credere ai fedeli, e agli infedeli, che “musulmano è bello”, soprattutto se a casa dei cristiani. Ci limitiamo a ricordare che agli albori dell’islamizzazione del Medio Oriente, nel 642, il generale Amr ibn al-As distrusse l’antica, preziosa e fornitissima biblioteca di Alessandria d’Egitto per ordine del califfo Omar; a riprova che da subito i musulmani applicarono la logica interna dell’Islam secondo la quale fuori dall’Islam c’è solo blasfemia e idolatria.
Con buona pace dei cattolici conciliari che mentre si sprofondano a rendere omaggio ad ogni sorta di culto esotico e non, respingono come “fondamentalismo” l’insegnamento che “extra Ecclesiam nulla salus”.

Politici, sociologi e pensatori hanno rafforzato e diffuso sempre più l’idea che se il cosiddetto “fondamentalismo” – islamico – procura ingenti danni,  diffuse razzie e ripetute stragi, è perché esso applica la logica della “religione”; così che il rimedio radicale sarebbe l’esclusione o l’eliminazione della “religione” dalla vita pubblica, e questo, ovviamente, a partire dalla laicissima Francia, patria della Rivoluzione.
Si noti come in fondo si tratta della vecchia sovversiva istanza del romanticismo ottocentesco che col socialismo, con Carlo Marx e il comunismo portò a definire la “religione oppio dei popoli” e praticò la conseguente negazione di Dio e la persecuzione della “religione”.

Solo la colpevole acquiescenza dei papi moderni ha potuto predicare la bontà del “sano laicismo” facendo finta di non sapere che la laicità è, comunque, per principio, una lotta a Dio.

Se poi si pone mente al fatto che da cinquant’anni la gerarchia predica e pratica l’insegnamento del Vaticano II secondo cui tutte le religioni sarebbero buone, solo la aberrante deviazione dei cattolici moderni riesce a non comprendere che, logica vuole, che se le religioni sono tutte buone, nessuna religione è buona. Tale che oggi i suddetti politici, sociologi e pensatori avrebbero semplicemente ragione.

Protestare, distinguere, precisare, a posteriori, è semplicemente indice della diffusa perdita dell’intelligenza dell’uomo moderno e massimamente dei prelati moderni. Chi è causa del suo male, pianga se stesso – verrebbe da dire – perché dopo avere accarezzato per decenni il pelo del lupo – laico, musulmano, ebraico – è davvero ridicolo strillare perché il lupo azzanna la mano che l’ha accarezzato; ma questi uomini e questi cattolici e questi prelati si rifiutano di accettare la realtà e, imperterriti continuano a predicare e a praticare ecumenismo, dialogo, incontro, accoglienza, continuando a farsi del male e soprattutto a fare del male a noi, persone normali e cattolici fedeli.

Ora, chi può negare che in tutto questo ci sia una logica perversa?
Come si fa a protestare, come hanno fatto tanti vescovi, contro le autonome decisioni e orientamenti dello Stato laico, quando gli stessi vescovi, papi in testa, hanno predicato e praticato da cinquant’anni la separazione tra Stato e Chiesa?

Se, come insegna da cinquant’anni la gerarchia cattolica, la Chiesa non ha più una preminenza spirituale e morale su tutta la vita pubblica, a principiare dallo Stato, tale da indirizzare e se necessario correggere le pubbliche decisioni che attengono al bene comune, come si può pretendere poi che lo Stato rispetti la “religione”?

Come fossero dei principianti da scuola serale, i prelati conciliari, col codazzo dei teologi moderni, ha cercato di propalare come vera la favoletta che tale concetto della separazione tra Stato e Chiesa si fondasse sulle parole di Nostro Signore: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo) (Mt. 22, 21 – Mc. 12, 17 – Lc. 20, 25).
Niente di più palesemente falso, niente di più calunnioso nei confronti di Nostro Signore.

Solo la presunzione clericale dei preti moderni può osare sottacere che quando Nostro Signore dice “date a Dio quello che è di Dio”, non si rivolge al primo che passa per la strada, ma a tutti gli uomini, e per ciò stesso alla struttura sociale che raggruppa gli uomini: lo Stato. Il primo a dovere dare a Dio quello che è di Dio è esattamente lo Stato, il principe, il Re; senza di che l’osservanza di questa norma da parte del solo cittadino sarebbe vana e insignificante.
È evidente quindi che queste parole di Nostro Signore, questo suo comando, non fonda la separazione tra Stato e Chiesa, bensì la sottomissione dello Stato alle leggi di Dio e quindi la sua subordinazione morale alla Chiesa.
Ma i preti moderni si rifiutano di accettare e quindi di insegnare che il bene materiale degli uomini, e quindi l’agire dello Stato, o è finalizzato al loro bene spirituale o non è; e che diversamente si persegue non il bene, ma il male degli uomini e dello Stato stesso: si chiami esso laicità, diritti umani, parità, libertà o qualsivoglia diavoleria moderna.


aprile 2015