Da Adamo maschilista
a Bergoglio femminista

di Giovanni Servodio



Jacopo Tintoretto - La tentazione di Adamo ed Eva
Galleria dell'Accademia di Venezia

Ormai dovremmo essere abituati alle esternazioni tanto maldestre quanto inaudite di questo nuovo Papa che si è voluto chiamare demagogicamente “Francesco”, eppure egli continua a stupirci. Chissà! Forse perché noi siamo duri di comprendonio! O forse perché è lui ad essere una vera e propria fucina di “bischerate”, come direbbe il suo caro amico Roberto.

Sarebbe davvero incredibile che papa Bergoglio non avesse mai letto il Libro della Genesi, quindi, dando per scontato che lo abbia letto, resta da concludere che non ne abbia capito un’acca.
È quello che si è costretti a dedurre dopo aver letto l’incredibile “sparata” del 29 aprile scorso, quando durante l’udienza “pubblica”, in piazza San Pietro, se n’è venuto fuori con la seguente frase:
«Le difficoltà non sono solo di carattere economico, sebbene queste siano davvero serie. Molti ritengono che il cambiamento avvenuto in questi ultimi decenni sia stato messo in moto dall’emancipazione della donna. Ma nemmeno questo argomento è valido, è una falsità, non è vero! E’ una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna. Facciamo la brutta figura che ha fatto Adamo, quando Dio gli ha detto: “Ma perché hai mangiato il frutto dell’albero?”, e lui: “La donna me l’ha dato”. E la colpa è della donna. Povera donna! Dobbiamo difendere le donne!» (Udienza del 29 aprile 2015)

Trascuriamo il fatto del tutto evidente che il richiamo ad Adamo non ha niente a che vedere con la prima parte della frase e con l’argomento trattato: il matrimonio; si capisce facilmente che si tratta di una delle infelici battute che papa Bergoglio usa buttare lì mosso dalla vanagloria di un uomo che vuole farsi bello davanti al mondo, usando i luoghi comuni del corrente pseudo-pensiero “femminista”, che non perde occasione per descrivere l’uomo come un orco o un deficiente.

E tralasciamo anche quella strana esegesi, tutta bergogliana, della vicenda delle Nozze di Cana durante le quali Nostro Signore, al suo primo miracolo pubblico, provvede a prefigurare il senso della sua missione con la mutazione dell’acqua in vino. Anche qui è evidente che papa Bergoglio non sa alcunché del valore simbolico dell’acqua e del vino e del significato dell’intercessione della Santa Vergine; e non ha capito niente della prefigurazione di ciò che farà realmente Nostro Signore trasformando l’acqua rituale della Vecchia Alleanza ebraica (Gv. 2, 6) nel vino della Nuova Alleanza che già da subito, dal primo miracolo, si rivela come la cosa più prelibata che ci sia (Gv. 2, 10). Ne è prova il fatto che si è dilettato a parlare della supposta attenzione di Nostro Signore per la “famiglia”, laddove – Gv. 2, 1-11 - si parla solo del “padrone di casa” e dello “sposo”, che anche uno studente del primo anno di seminario sa che sono la prefigurazione dello “Sposo” – Gesù – che prepara il posto per la Sua Sposa – la Chiesa. Non è casuale infatti che nel passo giovanneo non si accenni neanche alla figura “familiare” della sposa.
Dove papa Bergoglio abbia appreso che le nozze di Cana sarebbero da considerare come simbolo dell’attenzione di Nostro Signore per la “famiglia” è cosa che resta avvolta nel mistero di questo papato tanto originale quanto anomalo.

Ma, transeat! E veniamo all’immaginifica e falsa esegesi del versetto 12 del capitolo 3 del Libro della Genesi.

Non si tratta di una semplificazione, come abbiamo letto tante volte, bensì di un discorso demagogico atto a strumentalizzare gli ingenui fiduciosi, discorso che rivela in parte l’indole di papa Bergoglio, propagandista dei falsi miti della modernità, e in parte l’evidente ignoranza del significato del testo sacro, non solo nel suo senso simbolico ed edificante, ma perfino nel suo senso letterale.
E allora andiamo per ordine.

Innanzi tutto il testo sacro dice:
«Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato” (Dixitque Adam: Mulier, quam dedisti mihi sociam, dedit mihi de ligno, et comedi)», (Gn. 3, 12 – versione CEI e versione Vulgata Clementina, che seguiremo anche nel seguito).

Da cui è evidente che da parte di Adamo non si tratta di una scusa, né di una “cattiva figura”, ma della presentazione di un dato di fatto, direttamente connesso al disegno divino (quam dedisti mihi sociam - La donna che tu mi hai posta accanto).
Ma allora, in ultima analisi, sarebbe colpa di Dio? Assurdo, certo, ma non v’è dubbio che la donna, voluta da Dio come “aiuto dell’uomo” (Gn. 2, 18) si è rivelata facile preda delle lusinghe del “serpente”, mentre l’uomo, da parte sua, si è rivelato debole e facile preda delle lusinghe della donna. E in questo semplice, elementare quadretto, è racchiuso tutto il destino della degenerazione del normale rapporto umano uomo-donna.
È evidente che Adamo avrebbe potuto e dovuto rifiutarsi di mangiare il frutto di quell’albero, ma è in questo che sta la sua colpa e non certo nel supposto essersi vilmente scusato scaricando la colpa sulla donna, come immagina, e disgraziatamente predica, papa Bergoglio, chiaramente imbevuto di miti moderni e di luoghi comuni alla moda e quindi chiaramente vuoto di dottrina e di insegnamento cattolici.

Come fa un “prete”, per di più “papa”, a buttare giù la corbelleria: «E la colpa è della donna. Povera donna! Dobbiamo difendere le donne!», che ormai suona stonata anche in bocca ai pochi rimasti “femministi” di retroguardia?
Come fa un “prete”, per di più “papa”, a non sapere che il testo sacro è stato scritto per ispirazione divina e che quindi non contiene battute o accidenti semantici, per di più suscettibili di essere letti alla luce del moderno pensiero sovversivo che ha in vista solo la negazione di Dio?
Come fa un “prete”, per di più “papa”, a farsi portatore e propagandista della sovversione anticattolica e anti-umana?

Se poi si riflette sull’espressione «E’ una forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna», si rimane stupefatti per l’abissale ignoranza del testo sacro dimostrata da papa Bergoglio… a meno che non si voglia sostenere che non di ignoranza si tratti, ma di semplice, subdola, mala volontà.

Se si leggono con attenzione i primi tre capitoli del Libro della Genesi, - e ci limitiamo ad essi per ragioni di spazio e perché sono quelli da cui papa Bergoglio ha voluto trarre la sua “bischerata” -, ci si rende conto che il testo sacro insiste su una sequenza concettuale che esprime, “In principio”, una precisa gerarchia pensata, voluta e realizzata da Dio nella creazione. Sequenza che pone sempre un elemento “più alto” prima di un elemento “più basso”, sottoponendo il secondo al primo e facendo del primo il più prossimo a Dio anche in relazione e a beneficio del secondo.

Com’è logico, in questa sede, non pretendiamo di presentare un’interpretazione del testo sacro e quindi ci limiteremo a brevi richiami che basteranno a segnalare la sequenza di cui abbiamo appena detto.

1, 1: «In principio Dio creò il cielo e la terra (In principio creavit Deus cælum et terram)» – non è detto “la terra e il cielo”, proprio per esprimere la preminenza del cielo sulla terra.

1, 4-5: «Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. (Et vidit Deus lucem quod esset bona : et divisit lucem a tenebris. Appellavitque lucem Diem, et tenebras Noctem)».  – non è detto che le tenebre erano cosa buona, ed anzi separa queste ultime dalla luce, riservando le tenebre alla terra – “informe e deserta” (inanis et vacua) (1, 2) – e alla luce la funzione di illuminarla.

1, 7-8: «Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. (Et fecit Deus firmamentum, divisitque aquas, quæ erant sub firmamento, ab his, quæ erant super firmamentum. Et factum est ita.  Vocavitque Deus firmamentum, Cælum)»
Qui viene presentato chiaramente il duplice valore simbolico dell’acqua: da un lato le “acque inferiori” – sulla terra – dove si può morire affogati se non si sa dominarle, come Nostro Signore che “cammina sulle acque”; acque inferiori che simboleggiano anche le passioni umane. Dall’altro, le “acque superiori” – sopra il cielo – che simboleggiano la vita eterna dove non c’è più posto per le passioni e dove si realizza il risultato di aver dominato le “acque inferiori”. Il simbolo delle acque è apparentemente il medesimo, ma le “inferiori” sono foriere di morte, le “superiori” sono la vita, tali che le “inferiori” vanno dominate in forza delle “superiori”, la terra va dominata in vista della vita eterna.

1, 16-18: «Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre (Fecitque Deus duo luminaria magna: luminare majus, ut præesset diei: et luminare minus, ut præesset nocti: et stellas. Et posuit eas in firmamento cæli, ut lucerent super terram, et præessent diei ac nocti, et dividerent lucem ac tenebras)».
Anche qui, la luce maggiore viene prima della luce minore: la prima simboleggiando il giorno, la “luce”, la seconda simboleggiando la notte, le “tenebre”; e con la seconda – la luce minore - che dipende tanto dalla prima – la luce maggiore -, che pur posta ad illuminare la notte, può farlo solo perché riflette la luce maggiore. Così che la luce minore è tale solo in forza della luce maggiore, senza la quale non sarebbe che tenebra anch’essa.

1, 26–28: «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l'uomo a sua immagine;
 a immagine di Dio lo creò; 
maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro:
“Siate fecondi e moltiplicatevi,
 riempite la terra;
 soggiogatela e dominate 
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo 
e su ogni essere vivente, 
che striscia sulla terra” (et ait : Faciamus hominem ad immagine et similitudinem nostram : et præsit piscibus maris, et volatilibus cæli, et bestiis, universæque terræ, omnique reptili, quod movetur in terra. Et creavit Deus hominem ad imaginem suam : ad imaginem Dei creavit illum, masculum et feminam creavit eos. Benedixitque illis Deus, et ait: Crescite et multiplicamini, et replete terram, et subjicite eam, et dominamini piscibus
maris, et volatilibus cæli, et universis animantibus, quæ moventur super terram)».

Versetti che vanno letti con quelli che seguono, ma che subito precisano che l’“uomo” fatto a immagine e somiglianza di Dio, non è il maschio o la femmina, ma l’essere vivente che porta il nome “uomo” in forza dell’immagine e somiglianza con Dio (Et creavit Deus hominem ad imaginem suam – 1, 27); tale che parlare di maschilismo o di femminismo è semplicemente sintomo di cattivo uso dell’intelligenza. Piuttosto, questi versetti non suggeriscono ancora il rapporto gerarchico che espliciteranno i versetti seguenti, e che vedremo dopo, ma intanto precisano che l’essere posto a dominare il creato in nome di Dio – per la sua immagine e somiglianza con Lui – è precisamente l’uomo, quello che in ebraico è detto Adam, a significare un ente al di sopra dello stesso uomo in quanto tale, direttamente connesso all’immagine e somiglianza che Dio stesso ha voluto.
Tale entità, per la sua connotazione di carattere superiore, è precisata da una sequenza significativa.
Dio crea l’uomo per ultimo e lo destina a dominare sul resto del creato, fino al punto che il creato stesso, in tutte le sue diverse componenti è come inesistente fino a quando Dio non comanda all’uomo di dare un nome ad ognuno di esse, che solo da quel momento sono nominabili, cioè esistono veramente.

2, 7-8: «allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. (Formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terræ, et inspiravit in faciem ejus spiraculum vitæ, et factus est homo in animam viventem. Plantaverat autem Dominus Deus paradisum voluptatis a principio, in quo posuit hominem quem formaverat.)»
2, 15: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. (Tulit ergo Dominus Deus hominem, et posuit eum in paradiso voluptatis, ut operaretur, et custodiret illum)».

Versetti dai quali si evince che l’entità “uomo”, fatta a immagine e somiglianza di Dio, è il centro del creato da cui quest’ultimo riceverà cura e custodia, in nome e per conto di Dio. Si intravede così il rapporto diretto tra Dio e l’uomo e il rapporto indiretto del creato con Dio che passa attraverso l’uomo.

Fino a questo punto non v’è traccia della donna. Se non nel versetto 27, dove è detto: “maschio e femmina li creò (masculum et feminam creavit eos)”.
Questo versetto, di per sé non significa nulla di preciso, salvo offrire la possibilità a qualcuno di ricondursi all’idea dell’androgino, idea scorretta perché del tutto sconnessa col resto del testo sacro, soprattutto se si pensa che il nome “Adamo” può essere inteso solo nel senso di nome collettivo in grado di indicare la volontà di Dio che vuole il genere umano al centro del suo creato, come abbiamo già accennato. Così che questo versetto può essere letto solo alla luce di 2, 20-23: «Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa
 è carne dalla mia carne 
e osso dalle mie ossa.
 La si chiamerà donna 
perché dall’uomo è stata tolta (Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia, et universa volatilia cæli, et omnes bestias terræ : Adæ vero non inveniebatur adjutor similis ejus. Immisit ergo Dominus Deus soporem in Adam : cumque obdormisset, tulit unam de costis ejus, et replevit carnem pro ea. Et ædificavit Dominus Deus costam, quam tulerat de Adam, in mulierem : et adduxit eam ad Adam. Dixitque Adam: Hoc nunc os ex ossibus meis, et caro de carne mea : hæc vocabitur Virago, quoniam de viro sumpta est)».

Questi versetti, non solo spiegano il versetto 27, ma introducono l’elemento chiave per comprendere il senso della nuova sequenza gerarchica che porta alla definizione del genere umano. L’essere vivente creato da Dio e da Lui posto a reggere il creato (2, 15) è l’ente uomo, inteso nel suo senso superiore e generale, ma nell’economia del disegno divino, Adamo non trova un aiuto che gli fosse simile (2, 20), e questo fa comprendere come tale aiuto potesse essere solo dello stesso genere dell’uomo, tale che Dio realizza una sequenza simile a quella della creazione dell’uomo a Sua immagine e somiglianza (1, 27): solo che questa volta l’aiuto dell’uomo dev’essere simile all’uomo stesso, di per sé simile a Dio, così che basta tale similitudine con l’uomo a rendere il suo aiuto anch’esso simile a Dio.
E così che Dio crea la donna.


La descrizione dei versetti 2, 20-23, che porta Adamo a constatare che: «Questa volta essa
 è carne dalla mia carne 
e osso dalle mie ossa (Hoc nunc os ex ossibus meis, et caro de carne mea)” è di fatto la chiave del rapporto gerarchico esistente tra l’uomo e la donna: intanto la stessa creazione della donna come “una parte dell’uomo”, poi il riconoscimento da parte dell’uomo che essa è l’aiuto giusto che gli si confà, infine l’atto definitivo che, a pari dell’intero creato, la donna esiste dal momento in cui Adamo le dà un nome.
Il testo italiano usa i termini “uomo”, “donna”, che così non suggeriscono alcuna intrinseca particolarità, ma già il testo latino usa i termini “viro” e “virago”, con la chiarissima derivazione del secondo dal primo, della donna dall’uomo; il testo ebraico, addirittura è ancora più incisivo, perché usa i termini “ish” e “ishsha”, dove la medesima radice – ish - indica propriamente la medesima appartenenza al genere umano, ma al tempo stesso precisa che ishsha non è un ente autonomo, ma derivato dall’ente ish; tale che ishsha senza ish è di fatto inesistente, mentre in nessuna parte del testo è possibile reperire una qualsivoglia autonomia o auto-esistenza di ishsha.
Se da qui ritorniamo ai termini italiani, uomo e donna, è facile per chiunque trarne le conseguenze relative, che distruggono alla radice ogni falsa concezione moderna di maschilismo, di femminismo, di parità dei sessi, di uguale dignità e fesserie dicendo. Tale che le parole di papa Bergoglio da cui siamo partiti, risultano essere delle mere fantasticherie inconsistenti e delle vuote concezioni parolaie dettate dalla sottomissione della retta intelligenza alla mancanza d’intelligenza del mondo e dell’uomo moderno.

A questo punto è necessario fare una doverosa precisazione.
Il versetto 1, 27 che dice “Dio creò l'uomo a sua immagine;
 a immagine di Dio lo creò; 
maschio e femmina li creò (Et creavit Deus hominem ad imaginem suam : ad imaginem Dei creavit illum, masculum et feminam creavit eos)», ad un’isolata lettura lascerebbe intendere che Dio, creando l’uomo, in generale, avrebbe creato insieme il maschio e la femmina. Ed è in questa ottica che spesso il versetto viene citato. Sfortunatamente per i furbi servi sciocchi del pensiero moderno, questo versetto è decisamente soverchiato dai versetti 2, 7 e 18-23.
A leggere diverse introduzioni al testo sacro, viene spiegato che si tratterebbe di versioni diverse raccolte insieme in un secondo momento, ma questa spiegazione non chiarisce perché il testo sacro debba presentare una sorta di contraddizione, dev’esserci quindi un motivo preciso che giustifichi la compresenza di 1, 27 e di 2, 7 e 18-23.

Non possiamo addentrarci in questa sede in un’articolata spiegazione, pensiamo che basti far notare che il versetto 1, 27 è indicativo della caratteristica che connota tutta la creazione: dove Dio vuole un elemento femminile, ricettivo e procreativo atto ad accogliere il principio insito nell’elemento maschile, adduttivo e reggitivo; e tale elemento femminile è creato da Dio non in maniera autonoma, ma traendolo dallo stesso elemento maschile, così che la femmina è di fatto un prolungamento del maschio o, come dice il testo sacro, un aiuto simile a lui (adjutor similis ejus) (2, 20).
Non è un caso infatti che tale combinazione, presente in tutto il creato, è retta dal versetto 2, 19, dove non sono il maschio e la femmina a dare l’esistenza terrena, nominandoli, a tutti gli esseri creati, ma è solo l’uomo [li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. (adduxit ea ad Adam, ut videret quid vocaret ea : omne enim quod vocavit Adam animæ viventis, ipsum est nomen ejus)]. 
Caratteristica, questa, che viene ribadita nella creazione della donna (2, 23), così che questa è tale solo in forza della preesistenza dell’uomo; e la si ritrova nuovamente descritta, con forza e in maniera maggiormente esplicativa, dopo la Caduta, dove al versetto 3, 20, che segue la nuova legge imposta da Dio all’uomo e alla donna che hanno disobbedito, e di cui parleremo tra poco:  «L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi (Et vocavit Adam nomen uxoris suæ, Heva: eo quod mater esset cunctorum viventium)

È innegabile che questo versetto ribadisce in maniera inequivocabile la preminenza di Adamo, che dà il nome, su Eva, che riceve il suo nome da Adamo e non da Dio, preminenza che definisce una precisa gerarchia: Dio crea Adamo a sua immagine e somiglianza, e a lui assegna il compito di dare il nome a tutti gli esseri creati da Dio, da Adamo Dio trae Eva, che è simile ad Adamo e da cui lei stessa riceve il nome; in tal modo c’è un rapporto diretto tra Dio e Adamo e un rapporto indiretto tra Dio ed Eva, che passa attraverso Adamo.

Arriviamo adesso alla Caduta, descritta nel capitolo 3
3, 6-13: «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato” (Vidit igitur mulier quod bonum esset lignum ad vescendum, et pulchrum oculis, aspectuque delectabile : et tulit de fructu illius, et comedit : deditque viro suo, qui comedit. Et aperti sunt oculi amborum ; cumque cognovissent se esse nudos, consuerunt folia ficus, et fecerunt sibi perizomata. Et cum audissent vocem Domini Dei deambulantis in paradiso ad auram post meridiem, abscondit se Adam et uxor ejus a facie Domini Dei in medio ligni paradisi. Vocavitque Dominus Deus Adam, et dixit ei : Ubi es ? Qui ait : Vocem tuam audivi in paradiso, et timui, eo quod nudus essem, et abscondi me. Cui dixit : Quis enim indicavit tibi quod nudus esses, nisi quod ex ligno de quo præceperam tibi ne comederes, comedisti? Dixitque Adam: Mulier, quam dedisti mihi sociam, dedit mihi de ligno, et comedi. Et dixit Dominus Deus ad mulierem: Quare hoc fecisti? Quæ respondit : Serpens decepit me, et comedi.)»

Da questi versetti risulta evidente la responsabilità della donna, come appare evidente che l’unico ad essere chiamato per nome è solo Adamo, mentre la donna, non ancora Eva, è detta uxor e mulier, ma è ancora senza nome.
La giustizia di Dio, allora, si manifesta secondo un preciso ordine di responsabilità, con le relative distinte e gerarchizzate conseguenze.

3, 14-21: «Allora il Signore Dio disse al serpente: “Poiché tu hai fatto questo,
 sii tu maledetto più di tutto il bestiame
 e più di tutte le bestie selvatiche;
 sul tuo ventre camminerai 
e polvere mangerai 
per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna,
 tra la tua stripe
 e la sua stirpe:
 questa ti schiaccerà la testa 
e tu le insidierai il calcagno”. Alla donna disse: “Moltiplicherò
i tuoi dolori e le tue gravidanze,
 con dolore partorirai figli.
 Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
 ma egli ti dominerà”. All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
 maledetto sia il suolo per causa tua! 
Con dolore ne trarrai il cibo 
per tutti i giorni della tua vita.
 Spine e cardi produrrà per te 
e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
 finché tornerai alla terra, 
perchè da essa sei stato tratto: 
polvere tu sei e in polvere tornerai!”. L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e le vestì. (Et ait Dominus Deus ad serpentem : Quia fecisti hoc, maledictus es inter omnia animantia, et bestias terræ: super pectus tuum gradieris, et terram comedes cunctis diebus vitæ tuæ. Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius: ipsa conteret caput tuum, et tu insidiaberis calcaneo ejus. Mulieri quoque dixit: Multiplicabo ærumnas tuas, et conceptus tuos : in dolore paries filios, et sub viri potestate eris, et ipse dominabitur tui. Adæ vero dixit: Quia audisti vocem uxoris tuæ, et comedisti de ligno, ex quo præceperam tibi ne comederes, maledicta terra in opere tuo: in laboribus comedes ex ea cunctis diebus vitæ tuæ. Spinas et tribulos germinabit tibi, et comedes herbam terræ. In sudore vultus tui vesceris pane, donec revertaris in terram de qua sumptus es : quia pulvis es et in pulverem reverteris. Et vocavit Adam nomen uxoris suæ, Heva : eo quod mater esset cunctorum viventium. Fecit quoque Dominus Deus Adæ et uxori ejus tunicas pelliceas, et induit eos)»

La giustizia di Dio si esercita sulla base della responsabilità: per primo viene punito il serpente, per seconda la donna e solo in ultimo Adamo. E questa sequenza rinnova ulteriormente la preminenza di Adamo sulla donna. Fino ad allora, l’uomo e la donna sono indicati come il principio maschile e il principio femminile, al punto che il testo indica che la procreazione della specie umana, nel Paradiso, non si svolge secondo il modo che oggi conosciamo e che risale a dopo la Caduta; è solo dopo che Adamo informa la procreazione come maschio, mentre Eva, che diventa tale per la decisione di Adamo, certo voluta da Dio, procreerà in quanto femmina per Adamo e per Dio.
Per di più, è anche in questi versetti che viene ribadita la gerarchia Dio, Adamo, Eva (3, 16): «Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
 ma egli ti dominerà (et sub viri potestate eris, et ipse dominabitur tui)»; versetto che è meno incisivo in italiano e molto più incisivo in latino (sub viri potestate); e al tempo stesso, esprime in forma figurata il rapporto complessivo di Eva nei confronti di Adamo: lei dipenderà in toto da lui, sia in termini ormai  umani, sia in termini spirituali, poiché, a seguire sia il testo italiano sia il testo latino, la potestas di Adamo dev’essere intesa non solo in termini meramente umani, ma anche in termini spirituali, tale che ne deriva la necessità di Eva  di doversi riferire ad Adamo per potersi riferire a Dio.

Sono proprio questi versetti che reggono quanto dice San Paolo a riguardo del rapporto fra l’uomo e la donna in I Corinzi 11, 7-8 e 14, 34-35; Efesini 5, 22; Colossesi 3, 18; I Timoteo 2, 12; Tito 2, 5; e che San Pietro (I, 3, 1-6) ribadisce in termini anche spirituali.

Oggi è d’uso, in maniera del tutto irreale, precisare che San Paolo e San Pietro si esprimessero in forza delle normative sociali del loro tempo, così che quanto si legge nelle loro lettere andrebbe depurato da tali influenze legate alla società patriarcale del tempo. Ora, se parlassimo di un elaborato sindacale, si potrebbe certo seguire un tale ragionamento, ma, sfortunatamente per i figli del Vaticano II, qui si tratta di ciò che appartiene al testo sacro, di ciò che viene letto tutte le Domeniche nel corso della S. Messa, ad edificazione dei fedeli, di ciò che oggi viene proclamato, alla fine di ogni lettura, come “Parola del Signore”; quindi, delle due l’una: o è valida la precisazione contingente e temporale avanzata dai cattolici moderni o è valida la proclamazione “Parola di Dio”, perché le due cose sono inconciliabili, se non secondo la sovversiva mentalità corrente oggi in seno alla Chiesa conciliare, secondo la quale Dio parlerebbe non secondo verità, ma secondo convenienza, magari secondo la convenienza dell’uomo moderno.

Concludiamo con due considerazioni.

La prima relativa a quanto abbiamo esposto fin qui.
Abbiamo coscienza del fatto che ciò che abbiamo detto potrebbe rivelare una sorta di nostro pregiudizio nei confronti della donna, tale da poter essere confutato col richiamo allo stesso San Paolo, che nella Lettera ai Galati (3, 26-28) dice:
«Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. (Omnes enim filii Dei estis per fidem, quæ est in Christo Jesu. Quicumque enim in Christo baptizati estis, Christum induistis. Non est Judæus, neque Græcus: non est servus, neque liber: non est masculus, neque femina. Omnes enim vos unum estis in Christo Jesu)».

Ma, ancora una volta ci troveremmo al cospetto dell’equivoco voluto a vantaggio delle erronee concezioni moderne. San Paolo non predica una società anarchica, un azzeramento delle differenze o una fantasmagorica realtà fuori dal mondo come Dio l’ha voluto, né è un anticipatore dell’anomalo e anticristico mondo moderno. San Paolo parla del valore unitivo e trascendente dell’essere tutti “uno in Cristo Gesù”, così che egli ribadisce l’unica dignità possibile per ogni essere vivente, quella di appartenere a Cristo, per la Fede; concetto magistralmente espresso da San Giovanni nel Prologo del Vangelo da lui redatto (Gv. 1, 12-13):
«A quanti però l’hanno accolto,
 ha dato potere di diventare figli di Dio: 
a quelli che credono nel suo nome,
 i quali non da sangue,
 né da volere di carne,
 né da volere di uomo,
 ma da Dio sono stati generati. (Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine ejus: qui non ex sanguinibus, neque ex voluntate carnis, neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt.)»

Ma questa pari dignità dell’uomo e della donna, davanti a Dio “in Cristo Gesù”, non esclude affatto la gerarchia che regge l’intero universo, anzi la presuppone, poiché la vera dignità dell’uomo e della donna sta in quanto afferma San Pietro (I, 3, 1-7):
«Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti -; cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. Così una volta si ornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di essa siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia. E ugualmente voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così non saranno impedite le vostre preghiere. (Similiter et mulieres subditæ sint viris suis: ut etsi qui non credunt verbo, per mulierem conversationem sine verbo lucrifiant: considerantes in timore castam conversationem vestram. Quarum non sit extrinsecus capillatura, aut circumdatio auri, aut indumenti vestimentorum cultus: sed qui absconditus est cordis homo, in incorruptibilitate quieti, et modesti spiritus, qui est in conspectu Dei locuples. Sic enim aliquando et sanctæ mulieres, sperantes in Deo, ornabant se, subjectæ propriis viris. Sicut Sara obediebat Abrahæ, dominum eum vocans: cujus estis filiæ benefacientes, et non pertimentes ullam perturbationem. Viri similiter cohabitantes secundum scientiam, quasi infirmiori vasculo muliebri impartientes honorem, tamquam et cohæredibus gratiæ vitæ: ut non impediantur orationes vestræ.)»

La seconda considerazione è relativa a quanto detto da papa Bergoglio e che abbiamo riportato all’inizio: dove quel richiamo puerile: “povera donna, dobbiamo difendere le donne!”, non trova riscontro in alcuna realtà attuale, poiché è solo nell’interessata sovversiva concezione moderna che la donna avrebbe bisogno di “difesa”, come fosse offesa dall’uomo. In realtà, il mondo moderno ha, non solo demolito la concezione patriarcale della famiglia, ma con la supposta parità dei sessi, quasi fossero patate, ha demolito la famiglia stessa, escogitando un espediente davvero diabolico nel ridurre la donna a mero essere appariscente, fino al punto che se anche l’uomo non va alla ricerca di tale appariscenza, mettendo da parte ogni realtà sostanziale, ecco che diventa un nemico della donna.

Da un papa ci si aspetterebbe che tuonasse contro la sempre più devastante “femminilizzazione” dell’uomo, che è la causa più dirompente della distruzione della famiglia e della depravazione dei figli.
Ci si aspetterebbe che mettesse in guardia i cattolici dal soggiacere alle lusinghe moderne che ricalcano pari pari la prima lusinga del “serpente” che fu la causa del peccato originale e della “maledizione” del suolo.
Ci si aspetterebbe che ricordasse ai cattolici i testi del Vecchio e del Nuovo Testamento che, insieme al Catechismo di San Pio X, dovrebbero essere gli strumenti guida della vita cristiana.
E invece no, siamo costretti a sorbirci battute da balera sulla povera donna bisognosa di difesa contro la ridicolaggine del maschilismo, esistente solo nella mente deviata dell’uomo moderno, religioso o laico che sia, che non si rende più conto di essere ormai diventato oggetto delle nefaste influenze demoniache che vogliono e pretendono un mondo capovolto e tutto proteso a combattere Dio.

Un papa che nella sua malata immaginazione parla a ruota libera dell’innocenza dell’emancipazione della donna e della colpa del maschilismo, in tempi normali non avrebbe potuto fare neanche il sagrestano.

Ahimè! Mala tempora currunt, sed peiora parantur.



maggio 2015