Contravveleni alle banalità perbeniste e politicamente corrette offerte dalla “maturita”,
da assumere durante l’estate



di Alessandro Gnocchi


Pubblicato sul sito Riscossa Cristiana
nella rubrica del martedì “Fuori moda” - La posta di Alessandro Gnocchi
 
  7 luglio 2015

Titolo, impaginazione e neretti sono nostri




Ogni martedì Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti potranno partecipare indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it, con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni martedì sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.


martedì 7 luglio 2015

È pervenuta in Redazione:

Caro dottor Gnocchi,
vorrei il suo parere sulle tracce proposte ai maturandi: a mio parere facili per lo studente di sinistra, con una piccola infarinatura di topoi cattocomunisti, laddove allo studente di destra sarebbe occorsa la penna di Guareschi o di Chesterton per venirne a capo, ed essere comunque bacchettato. Spero che, nel generale clamore sulla Grecia, lei mi possa dedicare una risposta, anche breve,  perché della scuola italiana dovremo occuparci ancora.
Mi stia bene,
Marina Panetta



Gentilissima Marina,
la sua  lettera merita una risposta lunga, anche se l’argomento, da sterminato che potrebbe essere, può essere ridotto a una considerazione molto breve: la scuola di stato spacciata come strumento di liberazione di qualsiasi cittadino non è altro che una grande gabbia in cui vengono allevati gli schiavi di domani. Mi rendo conto di apparire sommario, ma basta pensare a che cosa è diventata e che cosa ancora diventerà la scuola che dispensa e diffonde l’omosessualismo di Stato.

Non c’è proprio nulla di strano nelle tracce per la maturità di cui parla, cara Marina.
Da Calvino alla resistenza, che proprio non riesco a scrivere con la “r” maiuscola, passando per le nuove frontiere della tecnologia, ci sta dentro tutto quello che ci aspetta. Topoi cattocomunismi compresi, visto che la devastazione della scuola italiana ha tra i suoi padri un prete, nella veste talare di don Lorenzo Milani: la conseguenza della demolizione di liturgia e dottrina poteva essere solo quella di demolire la scuola e l’educazione, con i risultati che ora abbiamo sotto gli occhi.
Lei, cara Marina, mi prende per la gola citando Guareschi e Chesterton. Con questo mi ricorda il mio ormai lontanissimo esame di maturità, al quale mi venne proibito di portare una tesina sullo scrittore della Bassa e mi rifeci portandone una sull’anima reazionaria di Tolkien.

Qui giunto, mi permetta di seguire l’istinto e di prendere tutt’altra strada cogliendo l’occasione per suggerire qualche contravveleno alle banalità perbeniste e politicamente corrette offerte dalla “maturita”, da assumere durante l’estate.



Seguendo il suo suggerimento, inizierei con due classici che fanno bene all’anima come il Guareschi di Mondo piccolo e il Chesterton di Padre Brown, a cui aggiungerei il Tolkien de Il Signore degli Anelli. Sull’onda dei titoli più famosi, ci sono poi la guareschiana “Calda estate del Pestifero”, i chestertoniani “Paradossi di Mr. Pond” o le tolkieniane “Avventure di Tom Bombadil”.
Poi, si potrebbe provare con “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solgenitsin. Nessuno come questo gigante della letteratura e dell’anima è riuscito a spiegare che il comunismo nasce intrinsecamente malvagio, che non è una buona idea applicata male, ma una cattiva idea applicata bene. Chi si fa intimorire dai tre volumi di “Arcipelago Gulag”, può orientarsi su “Processo e morte di Stalin”, di un grande italiano come Eugenio Corti. Da lì, se non lo ha già fatto, potrà passare al capolavoro dello scrittore brianzolo, “Il cavallo rosso”. Chi ama la storia, non può perdersi Louis De Wohl, un autore che fa genere per conto proprio con le biografie romanzate di grandi personaggi della Cristianità. Due titoli su tutti, “La città di Dio” e “La liberazione del gigante”, il primo dedicato a San Benedetto e il secondo a San Tommaso d’Aquino. Da portare assolutamente se si va in vacanza tra Lazio e Campania.



Per quanto riguarda l’umorismo, è presto detto. Non ci sono libri contemporanei capaci di far ridere veramente, in modo intelligente e sano. Non ci sono autori capaci di far ridere di cuore, salvo uno che era un mio amico, stava a Napoli, è morto poco prima di Mario Palmaro e si chiama Marcello D’Orta. Dal celebre “Io speriamo che me la cavo” a “Dio ci ha creato gratis”, fino ai più recenti “Nero napoletano” ed “Era tutta un’altra cosa”, questo scrittore mostra come le cose e le parlate quotidiane diventano divertenti là dove rimarcano l’attenzione che gli uomini hanno sempre riservato al buon Dio.
Insomma, l’umorista deve essere serio, ma oggi, a parte rare eccezioni, non ce ne sono più.

Per ridere di cuore, bisogna rifarsi con gli inossidabili Guareschi e Chesterton. Il Chesterton italiano sorprenderà con “Il destino si chiama Clotilde” e “Il marito in collegio”, mentre il Guareschi inglese lo farà con “L’osteria volante” e “L’uomo che fu Giovedì”. Nel “Destino si chiama Clotilde” è da leggere, rileggere e poi leggere ancora la “Digressione” ambientata nella Pampa argentina, un vero ordigno umoristico di quelli che si costruivano una volta. Nell’“Uomo che fu Giovedì”, è imperdibile l’elogio dell’orario ferroviario presentato come la più grande rappresentazione della più grande tra le avventure: il fatto che il treno arrivi ogni volta nella stazione giusta.



E veniamo ai gialli. Non possono mancare almeno un volume dei Racconti di Padre Brown e le avventure di un altro fra i tanti detective inventati da Chesterton, per esempio il Basil Grant del Club dei “Mestieri stravaganti”: se si vuole condurre la ragione fino davanti al mistero e farvela inginocchiare, non si sbaglia mai. Poi una bracciata delle Inchieste di Maigret (Adelphi). Non fa niente se si conosce già il finale, il bello sta nel seguire passo a passo il lavoro di un uomo che si è trovato a fare il commissario ma, se si fosse potuto inventare un mestiere su misura, avrebbe “voluto fare il riparatore di destini”. I miei preferiti, fra i settantacinque romanzi e i ventotto racconti di Georges Simenon, sono “Maigret esita”, “Firmato Picpus”, “La balera da due soldi”, “Il cavallante della Providence”, “Maigret si confida”, “Maigret e i vecchi signori”.
Ma attenzione, si sta parlando del Simenon di Maigret. Perché quello dei “non Maigret” è di tutt’altra pasta: eccelso nella scrittura, nell’invenzione della trama e nel tratteggio dei personaggi, ma pervaso di un malessere che rischia di essere contagioso per il lettore non avvertito, specialmente quello più giovane. I Maigret vanno letti in quest’ottica, perché Simenon vi racconta l’uomo che avrebbe voluto essere e non mai riuscito a diventare. Affrontati così, questi gialli diventano il diario straziante di un uomo che avverte il morso del peccato originale e rimane in attesa, chissà se con la forza del passo definitivo, che Qualcuno venga a riparare il suo destino.

Se piacciono i thriller e non lo si è già fatto, leggete “Il Nemico” di Michael D. O’Brien. Per descrivere in poche righe questo libro di buona trama e di buon ritmo, si può definirlo una riscrittura del “Padrone del mondo” di Robert Hugh Benson. Non per diminuirne la portata, ma per inscriverlo in un filone glorioso che trae linfa dall’Apocalisse e narra la comparsa dell’anticristo. Da leggere assolutamente l’uno e l’altro.
In questo filone bisogna segnalare “Dodici”, di Giovanni Donna d’Oldenico. Innanzi tutto perché è un bel romanzo e poi perché devo la sua scoperta a un libraio, evento sempre più raro al giorno d’oggi. Ben pensato, ben scritto, “Dodici” sottende all’azione del “Nemico” una lettura tremendamente attuale della follia scientifica. Ai cultori del genere, il romanzo di d’Oldenico ricorderà “Quell’orribile forza” di C.S. Lewis, un capolavoro, una delle prove narrative più ardentemente visionarie su questo tema. Una vera e propria meditazione teologica che analizza e descrive nel dettaglio il declino della ragione là dove gli uomini intendono sostituirsi al Creatore della vita. Con alcune acutissime pagine sull’assurdità del femminismo.
Stesso filone, ma declinato in chiave dottrinale, per “Habemus Papam” di Walter Martìn. Sotto questo pseudonimo, si cela don Giuseppe Pace, salesiano che dalla sua fedeltà alla Tradizione ha tratto la fonte della propria fede e l’ispirazione per una multiforme attività letteraria da cui è uscito questo romanzo ambientato nella Roma degli Anni Settanta, con un Papa che somiglia tanto a Benedetto XVI. Una miscela di suspense, buona dottrina e intuizioni visionarie funestate, bisogna dirlo per onestà, da una prefazione scritta da Mario Palmaro e dal sottoscritto. Ma, si sa, nulla è perfetto.



Infine, un mio amato italiano e i miei amati inglesi. Se vi piacciono i racconti, anche brevi, leggete senza indugi quelli di don Francesco Fuschini, un amore di sacerdote che ha consumato la sua vita terrena in Romagna, tra anarchici e comunisti. Don Fuschini racconta la sua storia, fatta di piccole storie proprie e altrui, in varie raccolte, tra le quali io ho una passionaccia per “Mea culpa”, “Parole poverette” e “L’ultimo anarchico”.  Ma prima di passare agli inglesi, parlando di don Fuschini e di anarchici voglio ricordare anche Giovanni Lugaresi,  che è un mio amico, ma soprattutto, uno scrittore di razza e un uomo di cultura così profonda da aver capito il valore di Guareschi quando tutti cercavano di dimenticarlo. Leggetevi “Anarchico il pensier…”, un inno alla libertà vera, quella fatta delle cose e delle idee di tutti i giorni: sarà una bella cavalcata nelle praterie di casa nostra come fossero una specie di Frontiera del Sudovest americano.



Tra gli inglesi, ho già detto di Tolkien: poco, ma parlare di Tolkien vuol dire scoperchiare “Il Signore degli Anelli” e quindi scrivere un libro. Poi di Chesterton, di Lewis e di Benson. Rimane il tempo per raccomandare caldamente Bruce Marshall con almeno due romanzi, “Il Miracolo di padre Malachia” e “Tutta la gloria nel profondo”. Quest’ultimo è una nuova traduzione dello straordinario “Il mondo, la carne e padre Smith”. Tra i romanzi di Marshall è il mio preferito per quanto è cattolico quel prete cattolico di padre Smith e per la splendida descrizione della Messa gregoriana, la più commovente che io abbia trovato in un’opera di narrativa.



Qui mi fermo cara Marina, ma potrei continuare ancora per molto. E penso che anche lei abbia di che consigliare i nostri “maturati” per disintossicarsi da tanti anni di scuola.
Bisogna proprio che si riprenda a insegnare ai nostri ragazzi, ma anche a tanti adulti, come si sta al mondo. Con la scuola  e, come spero di aver brevemente mostrato con queste letture, anche con il doposcuola.

Alessandro Gnocchi

Sia lodato Gesù Cristo




luglio 2015

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