LA SACRA UMANITÀ DEL CRISTO

del Dott. Prof. Dietrich von Hildebrand

L'articolo è stato pubblicato in due parti sulla rivista Chiesa Viva:
la prima parte nel n° 483, giugno 2015,
  la seconda parte nel n° 486, ottobre 2015



Forse, uno degli errori peggiori e più disastrosi che minacciano la Chiesa di oggi è la falsificazione della sacra Umanità del Cristo e una errata interpretazione
del mistero dell’Incarnazione.
All’inizio del Vangelo di S. Giovanni noi leggiamo: «Et Verbum caro factum est et abitavi in nobis; et vidimus gloriam ejus, gloriam quasi Unigeniti a Patre, pienum gratiae et veritatis» (Jo. l. 14); parole che non solo definiscono il tremendo mistero che la seconda Persona della SS. Trinità – il Logos – ha assunto la natura umana, ma che questa sua natura umana fu piena di Grazia e di Verità.



1) INTEGRITÀ E SOVRA-EMINENZA DELL’UMANITÀ DI CRISTO

La seconda Persona – il Logos – assunse l’umana natura senza perdere la sua natura divina. Voi tutti sapete che il Cristo possiede due nature – quella divina e quella umana – in una sola persona. Così fu definito solennemente e dichiarato solennemente dal Concilio di Calcedonia.
Le due nature rimangono diverse, ma, nello stesso tempo, ineffabilmente connesse, essendo le nature della stessa ed identica persona.

Il dogma sottolinea: “totus Deus et totus homo”. Ed è proprio qui, nel significato del “totus homo” che s’insinua, oggigiorno, un’interpretazione ereticale del Cristo.
Molti, cioè, oggi pretendono che l’avere il Cristo assunto una natura pienamente umana voglia dire che Egli ha diviso con noi assolutamente tutto quanto è umano. Così, presentano l’umanità di Cristo come quella di un uomo ordinario – una personalità umana secolarizzata e desacralizzata.
Prima di discutere tale grave errore, che forma la base della falsificazione della SS.
umanità del Cristo e del significato di “totus homo”, dobbiamo esaminare brevemente le caratteristiche che formano la natura umana.

LA NATURA UMANA

Tra tutti gli esseri che noi troviamo nella natura soltanto l’uomo è persona. Egli solo è dotato di chiara coscienza; e la coscienza implica una nuova dimensione dell’essere.
La filosofia scolastica ha definito con esattezza che la persona è “un essere in possesso di sé”. Difatti, tutto un mondo separa un essere materiale di una pietra, la vita di una pianta e persino di un animale, dall’essere umano, il quale solo possiede la facoltà del conoscere, del libero arbitrio, della responsabilità; il quale solo è insignito di valori o di non-valori morali.

Questa dimensione completamente nuova dell’essere – la coscienza – è proprio solo dell’uomo, tra le creature tutte che ci è dato conoscere.
L’uomo è il solo essere “sveglio” – per cosi dire – mentre gli altri esseri sono “in stato di sonno”: essi subiscono l’essere.
L’uomo è il solo essere personale; il solo capace di cercare la verità, o, come dice Sant’Agostino: «è fatto per Dio» – capace, mediante la ragione, di elevarsi alla conoscenza dell’esistenza di Dio.
Per questo, San Bonaventura chiama tutte le altre creature (materia inanimata, piante, animali) “vestigia Dei”, mentre chiama l’uomo, in quanto è persona, “imago Dei”. È l’espressione usata dall’Antico Testamento: «Iddio creò l’uomo secondo la sua immagine».

La natura umana porta il carattere dell’immagine di Dio e i tratti di un essere personale: dotato di coscienza. Socrate e Buddha hanno questo in comune con HitIer e Stalin: essi hanno tutti una natura umana, creata secondo l’immagine di Dio; essi formano, ontologicamente, lo stesso tipo di essere. Ma è chiaro che c’è una distanza
enorme tra Socrate e Hitler, tra Buddha e Stalin. Questa distanza non riguarda la struttura ontologica della persona umana – che entrambi posseggono – ma le differenze qualitative esistenti tra loro. Socrate è una persona nobile e buona. Hitler,
un criminale. Socrate ha una mente grande e geniale. Hitler, fu uno spirito mediocre e insignificante.



Il discorso della Montagna

L’UMANITÀ DEL CRISTO


Dobbiamo renderci conto che la sentenza: Cristo era “totus homo”, (totalmente uomo), riguarda la struttura ontologica dell’uomo, e cioè il carattere di «immagine di Dio», ma in alcun modo riguarda le caratteristiche qualitative della sua umanità.
La sua umanità era sacra – non soltanto perché unita alla sua natura divina in un’unica persona, ma anche per la sua santità, unica ed incomparabile, appunto per la qualità
della sua umanità «piena di grazia e di verità».
Qualitativamente, l’umanità di Cristo non solo non era quella di un uomo qualunque, e neppure di un uomo straordinario e nobile al pari di Socrate o di Buddha, ma era ineffabilmente santa, ciò che è una qualità completamente differente della stessa bontà morale, sia pure eminente.

La sacra umanità del Cristo era qualcosa che la mente umana non riesce neppure ad immaginare: era l’Epifania di Dio. Il Prefazio di Natale così si esprime: «Quia per incarnati Verbi mysterium nova mentis nostrae oculis lux tuae claritatis infulsit: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur».

Ogni essere umano è chiamato a farsi santo, a raggiungere la “somiglianza” di Dio, secondo la formula del dogma. Questa similitudine, evidentemente, è solo qualitativa
e in nessuna maniera minimizza la differenza ontologica irraggiungibile che esiste tra Dio, onnipotente Creatore, e l’uomo sua creatura.
Ma, per diventare santi, per raggiungere, cioè, la somiglianza con Dio, l’uomo dev’essere redento dal Cristo e ricevere nuovamente dal Cristo la vita sovrannaturale, quella vita di grazia che Adamo possedeva nel paradiso, prima della caduta.
Tuttavia, questa riconciliazione dell’umanità mediante il Cristo sulla croce e il conseguire la vita di Grazia mediante il battesimo, non cambiano il carattere naturale dell’uomo come uomo, né cambia la struttura ontologica dell’uomo come persona, e cioè come immagine di Dio; elementi che tutti gli uomini hanno in comune.
Papa Pio XII disse: «La Grazia né distrugge né cambia la natura, ma la trasfigura».

Quindi, il possesso di questo nuovo principio ontologico di vita – la vita di Grazia – non è una garanzia di santità. Noi la possiamo raggiungere solo mediante la nostra libera collaborazione con la Grazia.
«Qui fecit te sine te, non justificat te sine te», dice Sant’Agostino.
Rendiamoci conto che la distanza che separa noi, poveri peccatori, anelanti alla santità,
da un San Francesco d’Assisi o da Santa Teresa d’Avila, è incomparabilmente più breve che non l’abisso che separa un Santo dalla sacra umanità di Cristo.

La sacra umanità di Gesù è di una santità ineffabile, in cui si riflette l’ineffabile gloria divina. Cristo stesso lo ha detto: «Filippo, chi vede me, vede il Padre».
La sacra umanità di Gesù è il cuore di tutta la Rivelazione cristiana. Fu questa santità qualitativa indicibile a costringere gli Apostoli ad abbandonare ogni cosa e a
seguirlo. Più che tutti i miracoli, la sacra umanità del Cristo ha reso testimonianza della sua divinità; e questo per il fatto che la sua natura umana era sostanzialmente
unita alla sua natura divina, senza alcuna confusione delle due nature.
«Cor Jesu, in quo habitat omnis plenitudo divinitatis», dicono le Litanie del Sacro
Cuore. La natura divina del Cristo non era visibile, ma la sua santa umanità – sebbene umana in toto nella sua struttura ontologica – era, qualitativamente, una rivelazione
della sua divinità.

Fa parte della natura ontologica dell’uomo l’avere un’anima e un corpo radicalmente differenti anche se uniti misteriosamente.
Fa parte della natura ontologica dell’uomo nascere da una donna, come bambino impotente, per svilupparsi, poi, e diventare adolescente e, infine, uomo.
Fa parte della natura ontologica dell’uomo essere capace di soffrire, di provare
dolori fisici, psichici e spirituali.
Fa parte della natura umana il conoscere la paura e l’angoscia.
Quando parliamo della natura umana, noi dobbiamo considerare il suo duplice aspetto: da una parte, il suo carattere di “immagine di Dio”, in cui risiede la sua immensa superiorità su tutte le creature terrene; dall’altra parte, la sua fragilità che è anche maggiore, sotto un certo aspetto, di quella degli esseri inanimati; fragilità che gli è causata dal corpo, soggetto al ritmo dello sviluppo, della crescita e della morte. Ma, anche qui, la superiorità dell’uomo appare evidente.

Pascal, in una sua mirabile forma, ha detto: «l’uomo non è altro che una canna, la cosa più debole della natura; ma è una canna pensante. Non occorre che si armi tutto l’universo per schiacciarla; basta un vapore, una goccia d’acqua per ucciderlo. Eppure, quando l’universo lo schiaccia, l’uomo è ben ancora più nobile del suo uccisore, perché lui sa di morire, mentre l’universo del vantaggio che ha su di lui non ha conoscenza alcuna».

In questo mistero ineffabile di condiscendenza, quale è l’incarnazione, la seconda Persona della SS. Trinità ha assunto la natura umana con tutta la sua fragilità e accettato le sue limitazioni ontologiche, salvo il fatto decisivo che Gesù non fu concepito da un uomo umano, ma che è divenuto uomo «de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».
Ma questo non impedisce affatto che Egli possieda una perfetta natura umana; solo testifica che il suo essere, la seconda Persona della SS. Trinità, che ha assunto la natura
umana senza né perdere né svilire la sua natura divina.



Gesù, Marta e Maria


2) LA FALSIFICAZIONE DELL’UMANITÀ DEL CRISTO


Su tale sfondo dell’umanità del Cristo, ineffabilmente santa, sorge l’orribile falsificazione dell’umanità del Cristo, dilagante, oggi giorno, in larghi strati della Chiesa. Pensiamo alla frase che si sente ripetere di frequente: «Se Cristo era
realmente un “uomo completo” – “totus homo” – allora, doveva possedere tutti gli elementi qualitativi che si riscontrano nell’uomo.
Nel Catechismo di Benzinger si menziona l’interesse di Gesù per la buona tavola; e l’episodio di Betania è riportato in modo da provare che Marta sapeva preparare un buon pranzo. E questo è il tema centrale del discorso. (lo non sapevo che la natura umana completa richiedesse che l’uomo fosse un buongustaio!).

Ma c’è di peggio: si sentono, perfino, delle disgustose discussioni sulla vita sessuale di Gesù perché, si dice, il sesso fa parte della natura umana; e una persona umana che non ha il senso del sesso è una persona mutilata, un essere umano non del tutto compiuto.
Si cerca d’insinuare, così, degli elementi sessuali tra le sante relazioni tra Gesù e Maria
Maddalena. Si sottolinea di continuo, il “totus homo”, “l’uomo completo”; e questo per sostenere che Gesù ebbe tutte le qualità che si riscontrano nell’uomo, ignorando che il “completamente umano” della natura umana di Cristo si riferisce solo alla sua struttura ontologica e che sul piano delle realizzazioni qualitative, Gesù era ineffabilmente santo.

Di più: la sua posizione unica di Uomo-Dio, di Redentore, lo mette al di sopra della possibilità di possedere tutte le realizzazioni qualitative degli uomini.
L’essere al di sopra non significa affatto incompletezza e privazione.
È un punto questo di somma importanza.
La pienezza non consiste nella moltitudine delle qualità e delle possibilità che appartengono all’uomo, ma nell’altezza dei valori posseduti.
Vi sono cose che, in se stesse, non sono cattive, ma, anzi, positive, come lo sport,
che, però, vengono superate quando si raggiunge un certo grado di santità.

Si parla molto, oggi, di auto-sufficienza, di personalità. Si dice che il celibato dei preti dovrebbe essere abolito, appunto perché ostacolerebbe questa formazione totale di sé. Ma chi vuole una tale rivendicazione, dimentica che soltanto il Santo è l’uomo completo, il solo che ha raggiunto, veramente, una personalità.
Questo l’ho spiegato, quarant’anni or sono, nel mio libro: “Liturgia e Personalità”.

Il grande scrittore francese Léon Bloy diceva: «Non vi è che una sola infelicità: quella di non essere santi».
La santità è il vero adempimento di ogni uomo; solo nella santità l’uomo si eleva a quella pienezza alla quale l’ha chiamato la misericordia e la bontà di Dio.

L’Arcangelo Gabriele così ha salutato la Vergine: «Ave Maria, gratia plena»; la Liturgia canta: «Tota pulchra es, Maria»!
Senza dubbio, Essa fu pienamente umana; Ella ebbe la nostra natura umana; Ella non era affatto divina. E ciò nonostante, Ella è chiamata «Regina degli Angeli, Regina di tutti i Santi», ed è considerata la più santa di tutte le creature.

Il dire che Maria non ha mai raggiunto la sua pienezza, la sua personalità, perché estranea alla vita sessuale, sarebbe la più sconcia delle sciocchezze che potrebbe formulare mente umana.




Gesù precipita Satana


IL CRISTO È INCOMPARABILE


Il Cristo non può essere comparato ad alcuno altro uomo, sia pure possedendo, ontologicamente,una completa struttura umana, come abbiamo già detto.
E questa condizione incomparabile gli deriva non solo per l’ineffabile santità della sua umanità sacra, ma, soprattutto, per la sua natura divina, quale seconda Persona
della SS. Trinità.
L’immensurabile mistero dell’unione intima delle nature divina e umana, in una sola e medesima persona, eleva il Cristo al di sopra di tutte le creature umane, compresa la SS. Vergine.

Il fatto che la sua santa umanità è connessa con la natura divina, che non è solo una Epifania della divinità per la sua santità, ma che è unita alla divinità in una sola e stessa persona, rende il Cristo incomparabilmente superiore ad ogni altro essere umano.
Anzi, il fatto d’essere “Uomo-Dio”, fa della sua umanità un qualche cosa di assolutamente unico, anche sul piano ontologico.

Certamente, voi avrete sentito consigliarvi – come usavano consigliare i sacerdoti d’altri tempi più ortodossi! – «Chiedetevi come Gesù avrebbe agito nella medesima situazione!»; ma la formulazione non è esatta. L’intenzione era, senz’altro, buona; però, tale formulazione, per esprimere “l’imitazione di Cristo”, è poco giusta ed offre i suoi pericoli.
Dovremmo, invece, domandarci in ogni situazione: «Può il mio atteggiamento reggere davanti al Cristo? Desidererebbe Egli che io agissi in questo modo? Corrisponde la mia azione ai suoi comandamenti?».
Chiedersi, invece: «Come Gesù avrebbe agito?» immette in una strada sbagliata,
giacché esistono molte situazioni nella vita dell’uomo in cui il Cristo, l’Uomo-Dio, non poteva trovarsi; inoltre, ci sono molte azioni che solo Lui poteva compiere e che
sarebbe blasfemo, per una semplice creatura umana, imitare.
Cristo poté dire ai suoi Apostoli: «Unus est magister vester, Cristus». Solo Lui poteva perdonare ai peccatori; poteva dire a Maria Maddalena: «I tuoi peccati sono perdonati»; e alla donna adultera: «Neppure io ti condannerò; va e non peccare più!».

Noi possiamo e dobbiamo perdonare tutto il male che ci vien fatto, ma noi non possiamo cancellare l’offesa fatta a Dio con lo stesso male fatto a noi.
Noi possiamo perdonare; noi possiamo eliminare ogni pensiero di vendetta; noi possiamo non prendere nota del male che subiamo; noi possiamo cercare la riconciliazione con chi ci ha fatto del torto, ma il danno morale del male fattoci, il peccato cioè che quel male rappresenta – l’offesa di Dio – quello rimane immutato, anche dopo il nostro perdono. Solo Dio può perdonare il peccato.

Una moglie può dire al marito che l’ha tradita: «Ti perdono con tutto il mio cuore e prego Iddio perché ti perdoni». Ma a Dio solo noi possiamo dire: «Asperges me hyssopo et mundabor».
Il Cristo solo, cioè, l’Uomo-Dio, può perdonare i peccati; e questo potere divino Egli l’ha dato ai suoi Apostoli quando disse loro: «A coloro cui perdonerete i peccati, saranno perdonati». Ed è per questo che i sacerdoti possono perdonare i peccati in confessione, in virtù del potere d’ordine, conferito loro mediante la ordinazione sacerdotale e in virtù del potere di giurisdizione, delegato loro dai Vescovi.

Abbiamo fatto questo rilievo per attirare la vostra attenzione sul fatto che l’Uomo-Dio Cristo è capace di compiere azioni che nessun altro, semplicemente uomo, è in grado di compiere con le sue forze umane e che non potrebbe neppure tentare di compierle se non per presunzione blasfema.
Soltanto Cristo, l’Uomo-Dio, poteva redimere l’umanità mediante la sua morte in croce.
Noi non dovremmo mai avvicinarci al Cristo se non attraverso una adorazione amante, una contemplazione della Sua sacra umanità, considerata nella sua ineffabile santità pienamente consapevoli dell’intima unione dell’Uomo-Gesù con la seconda Persona della SS. Trinità.
Come è espresso nelle Litanie del Sacro Cuore: «Cor Jesu, Verbo Dei substantialiter unitum».




Gesù Bambino in braccio a Sant'Antonio da Padova


3) LA CHIESA HA TRASCURATO L’UMANITÀ DEL CRISTO?


Noi dobbiamo anche renderci pienamente conto che il carattere assolutamente unico della Sacra Umanità del Cristo non contraddice affatto che il Cristo era “totus homo” nel possesso completo della natura umana. Questi due fatti non sono in contraddizione tra loro, ma appartengono entrambi al mistero della incarnazione.

Nel passato, diverse eresie hanno negato l’uno o l’altro aspetto di tale mistero.
Il Docetismo negò la piena realtà dell’umanità di Cristo e fece della sua umanità una pura apparenza, una veste della sua divinità.
Il Monofisitismo negò le due nature del Cristo.
Tutte e due queste eresie furono solennemente condannate.
Ma, oggi, è la falsificazione, la sfigurazione qualitativa della Sacra Umanità del Cristo, e ciò costituisce il più grande pericolo che ci minaccia; anzi, in un certo senso, una tale deformazione è diabolica.

Talora si sente dire: «dopo la condanna dell’Arianesimo, la Chiesa ha dato troppo peso alla divinità del Cristo e ha troppo trascurato la sua umanità».
Qualche tempo fa, all’Episcopato degli Stati Uniti, fu mandato un documento, da parte di un gruppo di progressisti, in cui si chiedeva il permesso di introdurre la comunione sulla mano. Tale documento conteneva un lunghissimo passo in cui si affermava che la Chiesa aveva negletto l’umanità di Cristo, sottolineandone troppo la sua divinità; e che questo era stato fatto quale reazione contro l’Arianesimo.
Si sottolineava, poi, che una tale tendenza unilaterale era stata finalmente superata e che, oggigiorno, si dava la debita attenzione alla umanità del Cristo.

Una simile tesi (senza parlare del legame che c’è tra umanità del Cristo e la comunione sulla mano) rivela diversi gravi errori.

Il primo: l’Arianesimo non sottolinea affatto con esagerazione l’umanità del Cristo. Ario dichiarava che il Cristo, sebbene incomparabilmente superiore ad ogni altro uomo, pure non era l’equale a Dio, ma soltanto simile a Lui. Egli si sforzava di interpretare la Rivelazione cristiana nei termini della filosofia di Plotino, con la scaladegli esseri. In cima: l’essere assoluto, l’unico, poi, il “Nous” (il Logos), il Verbo, emanante dall’essere assoluto; poi, l’anima del mondo, emanante dal Logos; e, infine, l’uomo individuale, emanante dall’anima del mondo.
Ario assicurava che il Cristo era assolutamente differente dall’uomo individuale; che era ontologicamente ben al di sopra di lui; che era il Logos, il Verbo, ma per nulla eguale a Dio.
È perciò che l’Arianesimo differisce essenzialmente dalla tesi dei teologi protestanti liberali, i quali insegnano che il Cristo era il più nobile tra gli uomini, ma che Egli era, ontologicamente, soltanto un uomo; che non aveva affatto la natura divina e che non era affatto Dio, come uno qualsiasi di noi.
La teoria che la reazione all’Arianesimo abbia avuto, come conseguenza, di far trascurare l’umanità del Cristo, è erronea, perché dimostra che si ignora la natura dell’eresia di Ario. (Le conoscenze storiche dei progressisti, del resto, sono assai limitate; come pure la loro logica e la loro teologia!).

Secondariamente – e questo è ancor più importante – la tesi secondo la quale la Chiesa trascuri l’umanità di Cristo, quale reazione all’Arianesimo, non è affatto vera.

L’eresia del Docetismo, che faceva dell’umanità del Cristo una mera apparenza e che non accettava come reale se non la sua natura divina, fu condannata altrettanto solennemente che l’eresia ariana. E chi può osare nel dire che il “totus homo” sia stato trascurato, quando si pensa al culto che professava un S. Francesco per il Bambino Gesù; quando si pensa all’accento che fu dato al Cristo sofferente nella spiritualità francescana; quando si pensa al mirabile “Stabat Mater” del francescano Jacopone da Todi; quando si pensa alle “Via Crucis” di un S. Leonardo da Porto Maurizio?
Il fatto di sottolineare l’infanzia e la sofferenza di Gesù non è, forse, un chiaro segno di contemplazione della Sacra Umanità del Cristo?

E che dire del culto del Sacro Cuore di Gesù? Il fatto stesso di avere un cuore, non solo in senso fisico, ma anche in senso psichico e spirituale del termine, (Io scrissi
un libro su questo soggetto: “Il Sacro Cuore di Gesù”) è un tratto specificamente umano.

No, la natura umana del Cristo non è mai stata negletta dalla Chiesa; anzi, Essa l’ha sempre considerata nelle sue ineffabili qualità di santità e di sacralità; nel suo carattere di Epifania di Dio; nella sua radicale unione sostanziale con la divinità.
L’attuale desacralizzazione e secolarizzazione della Sacra Umanità del Cristo non era mai entrata, prima, nel santuario della Chiesa. Pur sottolineando la realtà ontologica dell’Umanità del Cristo, la Chiesa aveva sempre sottolineato anche la ineffabile santità di questa Umanità nel mistero dell’incarnazione, che ne è la sorgente; aveva sempre messo l’accento su queste due nature, così radicalmente diverse – la divina e l’umana – ma sostanzialmente unite in una sola e medesima persona, il Cristo, l’Uomo-Dio.

Pensiamo alle litanie del Sacro Cuore: «Cor Jesu, Verbo Dei Substantialiter unitum»
«Cor Jesu, majestatis infinitae» «Cor Jesu, in quo habitat omnis plenitudo divinitatis»
«Cor Jesu, fons vitae et sanctitatis».
E ripensiamo al Prefazio natalizio: «Quia per incarnati Verbi mysterium nova mentis nostrae lux oculis tuae claritatis infulsit: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur».

La sfigurazione della Sacra Umanità del Cristo distrugge la Rivelazione cristiana nel suo centro e nel suo stesso cuore. La Sacra Umanità del Cristo è – come già abbiamo sottolineato – la base stessa di tutta la Rivelazione cristiana.

A prescindere dai miracoli, a prescindere dalla voce di Dio che fu udita durante il Battesimo di Gesù e sul Tabor – l’Epifania di Dio – il fatto che il Cristo è Dio si rivela egualmente nella Sacra Umanità del Cristo. Questa Sacra Umanità è – come dice il Prefazio natalizio – la diretta auto-rivelazione di Dio. Iddio parlò per bocca dei Profeti, ma, nella Sacra Umanità del Cristo, in Gesù, si è rivelato direttamente.
Ogni parola pronunciata da Gesù partecipa a questa santità ed è in contatto divino con essa.



Gesù risorto e San Tommaso


CONSEGUENZE DI QUESTA FALSIFICAZIONE

Sfigurare Gesù dissacralizzandolo col pretesto che questo è necessario per rendere giustizia all’integrità della sua umanità, equivarrebbe a distruggere la nostra fede cristiana.
I progressisti si sforzano di renderci ciechi su quello che è il centro medesimo della Rivelazione di Dio.
A pari passo con questa disastrosa, o, meglio, diabolica sfigurazione, avanza la negazione del fatto storico della sua Risurrezione ed Ascensione.
Questi due avvenimenti rivelano, in modo rigorosissimo, il carattere unico di Gesù, come uomo e come Dio.
La narrazione del Vangelo sul Cristo che sale al cielo e le parole dette da Lui, ci manifestano un Gesù trasfigurato, padrone di una forma nuova d’esistenza, pur rimanendo sempre l’Uomo-Gesù; e costituiscono il punto culminante e il coronamento dell’Epifania multiforme di Dio nel Cristo.

La sfigurazione della Sacra Umanità del Cristo mina lo stesso centro della nostra vita religiosa: l’amore di Gesù, l’adorazione amorosa del Cristo! Noi contempliamo la situazione-chiave della Sacra Umanità del Cristo nella vita di tutti i Santi.
Il centro della loro vita religiosa era la loro intima personalissima relazione d’amore col Cristo; la fonte donde scaturisce tutta la loro santità e donde proviene anche la loro carità verso gli uomini.

La sfigurazione della Sacra Umanità del Cristo è anche il fondamento di quell’altra teoria funesta, e cioè: che tra l’amore del Cristo e quello del prossimo non corre differenza.
Noi abbiamo parlato di tale errore in altra sede.
Un abisso separa l’amore, pieno d’adorazione per il Cristo – identico al nostro amore a Dio – dall’amore del prossimo.
L’amore di Cristo implica l’obbedienza assoluta e il dono totale di sé, che può farsi solamente a Dio e all’Uomo-Dio, Gesù-Cristo, ma non mai al nostro prossimo, il quale non è che una creatura come noi.
Già la formula dei due comandamenti: «Ama il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze» e «Ama il tuo prossimo come te stesso» dimostra chiaramente la differenza tra l’amore di Cristo e quello del prossimo.

Molti dimenticano che l’amore del prossimo, il vero amore cristiano del prossimo, non solamente è diverso dall’amore di Cristo, ma presuppone l’amore di Cristo.
La carità è possibile soltanto nell’amore diretto e personale del Cristo; da qui, questo sovrabbondare di santa bontà verso ogni creatura umana, sia essa buona o indifferente o malvagia. Ogni altro amore umanitario del prossimo, che non sia radicato nell’amore di Cristo, non è vero amore, ma benevolenza, che non saprà mai estendersi verso i malvagi ed i nemici personali. Un mondo lo separa dall’amore cristiano del prossimo, dalla carità che incontriamo nei Santi.

La sfigurazione della Sacra Umanità del Cristo è anche alla base di quell’infelice mondanizzazione di cui ho già parlato diverse volte.
Tale atteggiamento implica uno spostamento del centro di gravità; la nostra attenzione e il nostro interesse, cioè, si spostano dal soprannaturale e dalla eternità verso il progresso terrestre dell’uomo. Mentre diventiamo ciechi verso l’indicibile bellezza della Sacra Umanità del Cristo e verso la sua santità, ogni desiderio di unione eterna col Cristo, ogni anelito alla santità, viene rimpiazzato dal desiderio di diventare membra utili alla società, cercando in ogni modo di rendere più perfetta questa terra.
Non più compresi dell’Epifania divina di Gesù, di quell’inimmaginabile pienezza di santità che ha rivoluzionato il mondo, convertito un numero sterminato di peccatori, fatto sorgere innumerevoli Santi, finiamo col perdere e la nostra fede e la nostra vita cristiana.

È caratteristico che, insieme alla sfigurazione della Sacra Umanità del Cristo, si perda anche l’affetto e l’interesse per i Santi, per quei Santi che danno una così gloriosa testimonianza alla Redenzione del mondo, mediante il Cristo.
Di più: molti non comprendono neppure più il significato del termine “Redenzione”; né sentono più alcun bisogno di Redenzione.
Torna al pensiero come Riccardo Wagner, nel suo Tannhäuser, abbia intuito l’incredibile smisurata profondità del senso di redenzione, lungi da ogni illusione di autoredenzione dell’uomo. Ma come sono pochissimi, ormai, coloro che parlano di redenzione; non se ne parla più nemmeno nelle prediche, né nelle lettere pastorali dei Vescovi o nelle Conferenze Episcopali!

Il grande scrittore cattolico francese, Gustave Thibon, parlando di questa malattia catastrofica, l’attuale orizzontalismo – entrato, ormai, anche nel santuario della Chiesa, in questa nostra famosa epoca post-conciliare! – che ha sostituito all’eternità il futuro terrestre, così si esprime: «Preferisco una eternità senza futuro a un futuro senza eternità».





4) COME COMBATTERE QUESTA FALSIFICAZIONE


Che fare, allora, per opporsi a questa defigurazione della Sacra Umanità del Cristo e a questo spirito di bieco modernismo?

1) La prima cosa da farsi è di concentrare – ancor più di prima! – la nostra personale vita sulla Sacra Umanità del Cristo; di gettarsi nella sua ineffabile bellezza e santità; di leggere – per quanto possibile – i grandi Maestri che hanno parlato e che, con i loro scritti, ci sospingono verso la presenza di Gesù; di leggere il Vangelo, le Epistole dei SS. Pietro e Paolo; di leggere, nel Breviario, le lezioni di San Leone Magno e di Sant’Agostino, nei mattutini delle feste di Nostro Signore; l’inno “Jesu, dulcis memoria” di San Bernardo, ai Vespri del Santo Nome di Gesù e l’inno dei Vesperi della Ascensione; gli scritti di San Francesco d’Assisi e la “Philotea” di San Francesco di Sales!

In tutte le situazioni importanti della vita, in cui ci sono state concesse grandi grazie, noi siamo chiamati a rispondere con la più profonda gratitudine verso Dio, e, in tutte
le situazioni, in cui ci vengono imposte delle pesanti croci, noi dobbiamo accoglierle con amore, sia pure soffrendo molto, e dire: «Fiat voluntas tua!».
Anche nelle grandi prove d’ordine generale, negli eventi che, pur essendo permessi da Dio, sono piuttosto delle offese a Dio – peccati, blasfemie, apostasie, eresie – ciascuno
di noi è chiamato a dare una cristiana risposta.

Chiediamoci, allora, che cosa Iddio ci dice – a noi personalmente mediante questa orrenda distruzione della sua vigna.
C’è forse un richiamo per la mia anima, in questo saccheggio del santuario della Chiesa, che Dio ha permesso?
Un pio religioso ebbe a dirmi, anni or sono: «Non comprende che tutte queste vittorie di Satana contengono uno speciale richiamo per tutti? Un richiamo a intensificare il nostro sforzo di farci santi, di crescere nella fede, nella speranza e nell’amore di Gesù».
Ed è vero. Questa crescita della nostra fede personale e del nostro amore verso Gesù, dev’essere la prima ed essenziale risposta alla desacralizzazione e alla secolarizzazione della Sacra Umanità del Cristo.
E siamo chiamati anche a fare penitenza per queste orribili bestemmie!

2) Ho già indicato quali sono i mezzi atti a favorire questa crescita: erigere un altare nelle nostre anime, sul quale il Cristo, Uomo-Dio e la sua Sacra Umanità, siano adorate nella loro insondabile gloria; evitare coscienziosamente e costantemente di infettarci del grave virus dell’orizzontalismo, e, specialmente, di sfigurare la Sacra Umanità del Cristo.

È di somma importanza che conosciamo chiaramente la situazione nella quale ci troviamo oggigiorno.
Cinquant’anni fa, la nostra attenzione si concentrava sulla necessità di vincere le tentazioni che ci portavano ad offendere Dio con i peccati della carne, del fariseismo, dell’orgoglio, della cupidigia e dell’ambizione; con le mancanze di carità verso il prossimo e con la disobbedienza ai comandamenti divini.

San Pietro ci invitava a tale vigilanza dicendo: «Fratres, sobrii estote et vigilate, quia adversarius vester, diabolus, tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret!»; ma, oggi, tale vigilanza deve dilatarsi ancora però: dobbiamo difenderci da eresie che ci vengono presentate, perfino nelle prediche, quasi fossero elementi vitali di un’autentica vita cristiana.
Non siamo più minacciati solo dai nemici delle nostre anime, che si trovano fuori della Chiesa; no, oggi, li troviamo persino in mezzo a coloro che erano stati chiamati a guidarci a Dio.

SONO I GIUDA!

È nell’interno della Chiesa stessa che noi dobbiamo essere vigilanti, per non subire l’infezione e per saper dare la giusta risposta che Dio aspetta da noi in quest’ora di prova; perché questa è la prova a cui noi siamo chiamati!
Abbiamo l’umiltà di riconoscere la nostra fragilità, ma anche il grandissimo potere che è rappresentato dal clima spirituale in cui viviamo. Vale, qui, l’antico proverbio latino: «gutta cavat lapidemnon vi, sed saepe cadendo».
Al primo momento, si può sentire lo choc; dopo un po’ di tempo, però, è facile che ci si avvezzi agli errori e che si accettino.

3) Oltre la prima risposta (concentrarci maggiormente sull’ineffabile santità della Sacra Umanità del Cristo per crescere nella fede, nella speranza e nella carità); oltre la seconda risposta (vigilanza per evitare anche il più piccolo germe dell’infezione pestifera che sconvolge, oggi, la Chiesa), noi abbiamo il dovere di lottare attivamente, affinché questa peste non si propaghi maggiormente.
Noi dobbiamo lottare – ciascuno al proprio posto – secondo le proprie facoltà e possibilità.
Noi dobbiamo comprendere che attraverso la devastazione che avviene nella vigna del Signore, è lo stesso Dio che ci chiama a diffondere il giusto concetto dell’umanità del Cristo, sottolineandone costantemente il carattere unico, la santità insondabile di questa Sacra Umanità.

Ma non dimentichiamo mai che, nonostante tutte le distorsioni della dottrina che riguarda la Sacra Umanità del Cristo; nonostante la malattia dell’orizzontalismo; nonostante le eresie, propagate da professori e teologi cattolici, la verità della Rivelazione divina, contenuta nel deposito della fede cattolica, è rimasta immutata e che la santità della Sacra Umanità del Cristo continua a risplendere nella sua gloria sovrana.

In mezzo a noi vivono ancora molti Santi, sconosciuti. E, come ha detto Padre Pio: «Cristo è ancora presente: Egli non ci fu tolto».
Dobbiamo continuare a credere che, dietro queste nuvole diaboliche, la divina Rivelazione, la gloria della Santa Chiesa – la Sposa di Cristo – e tutta l’armata dei Santi, rimangono ancora una piena realtà.

Sì, la vigna del Signore è stata messa a saccheggio, devastata, ma, malgrado le devastazioni, non ha perduto la sua gloria oggettiva.
Noi, però, dobbiamo combattere questa devastazione, dobbiamo darci da fare.
Le lacrime che versiamo non saranno mai troppe, ma la santa gioia deve rimanere viva nel fondo dei nostri cuori, perché la Rivelazione divina e il deposito della fede cattolica rimangono sempre, e perché la Sacra Umanità del Cristo è rimasta ancora d’una piena irresistibile bellezza, santità e gloria.

Noi non siamo dei facili ottimisti; noi siamo piuttosto pessimisti, osservando il successo di satana nel santuario della Chiesa; eppure il nostro cuore è ricolmo di speranza, perché Gesù ha detto: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno!».






L'AUTORE



Dietrich von Hildebrand nacque a Firenze nel 1889, da genitori protestanti. Seguì gli studi a Monaco di Baviera, dove conobbe Max Scheler che lasciò in lui il richiamo alla conversione al cattolicesimo.
Sposatosi nel 1912 con Margaret Denck, nel 1914, a Roma, abbracciarono entrambi il cattolicesimo.

Insegnò a Monaco di Baviera, dove ebbe modo di conoscere e frequentare il cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII. Per la sua posizione anti-nazionalista, nel 1933 decise di lasciare la Germania e di stabilirsi in Italia. Ma nel 1935 ottenne di insegnare all’università di Vienna. Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, fu costretto a lasciare l’Austria e si recò in Svizzera, da dove passò in Francia, a Tolosa, dove insegnò all’Università Cattolica.

Nel 1940 ottenne un visto d’uscita dalla Francia e si recò in Brasile, per poi passare a New York, dove insegnò all’Università di Fordham, tenuta dai Gesuiti.

Nel 1957 morì la moglie e nel 1959 sposò una collega insegnante: Alice M. Jourdain.
Nel 1960 lasciò l’insegnamento e girò il mondo scrivendo e tenendo conferenze.

Considerato uno dei migliori filosofi cattolici del XX secolo, fu convinto difensore della Tradizione cattolica e si oppose al nuovo corso post-conciliare; fu tra i fondatori della sezione americana dell’Associazione Una Voce.
Morì a New York il 26 gennaio 1977.
I suoi scritti autobiografici, a cura della moglie, sono stati pubblicati nel 2000 dall’editrice americana Ignatius Press.



 

ottobre 2015

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