Un assordante silenzio

di A. Nonim



Conferenza stampa di Mons. Charamsa

Dopo il clamore mediatico intorno a Mons. Charamsa, voluto, cercato, studiato e dettagliatamente pianificato per un impatto propagandistico il più eclatante possibile, strumentalizzando l’abbrassons-nous a tutto campo di Papa Francesco e ai fini di dipingere la Chiesa agli occhi del mondo come arretrata, oscurantista e disumana per la sua morale sessuale, qual è la reazione delle alte gerarchie?
Silenzio assoluto, appena appena rotto dalla timida e spaurita dichiarazione del portavoce vaticano P. Federico Lombardi (concordata, a detta del Corriere della Sera, parola per parola con la Segreteria di Stato) che lamenta semplicemente «la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia del Sinodo che appare molto grave e non responsabile».
Tutto qui.

Nemmeno una parola sulla dottrina della Chiesa in materia così grave; nessun richiamo alla scomunica latae sententiae, come prescrive l’art. 1394 CIC; nessuna condanna per il fatto in sé, ma semplice rammarico e disappunto per l’inopportunità del momento scelto (come dire che se l’avesse fatto in un altro momento…) e per l’irresponsabilità, anzi la non responsabilità, di un atto volto a condizionare l’assemblea sinodale, il che è come dire (e anche questa è irresponsabilità, in questo caso di P. Lombardi) che i Padri sinodali sarebbero facilmente manovrabili e suggestionabili.

Stando alla dichiarazione di P. Lombardi, ciò che è grave non è l’aberrante e sacrilega situazione in cui vive Mons. Charamsa, ma il suo gesto di “coming out” proposto alla vigilia del Sinodo.
E’ incredibile!

Quel che è più grave nella dichiarazione di P. Lombardi è la sottesa affermazione che la convivenza omosessuale di un sacerdote con un compagno fisso, meriti tutto il rispetto se rimane una realtà della sua vita privata. Come dire che un sacerdote può tranquillamente convivere con una persona dello stesso sesso, purché la cosa rimanga segreta.
E perché - vien subito da chiedersi - la stessa cosa non dovrebbe valere per il concubinato?
Ma no! Ma no! Ma no!

Questa purtroppo è la deduzione più ovvia dall’affermazione di P. Lombardi, che pur condannando il “coming out”di Mons. Charamsa, non per la sua intrinseca immoralità e l’oggettiva materia grave, bensì solo per la sua inopportunità, gli riconosce il diritto ad essere rispettato sul piano personale.
Quale altro significato può infatti avere l’incidentale: «nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali»?
Dunque massimo rispetto per le vicende personali, purché rimangano nell’alveo della sfera strettamente privata e nel nascondimento.
Ma questa è una canonizzazione dell’ipocrisia, della doppiezza e del relativismo morale più sfacciato.
E chi si fiderebbe più del voto di castità dei sacerdoti?




   
Ma adesso mi viene da fare un’altra domanda: come mai il “coming out” di Mons. Charamsa sarebbe inopportuno e potenzialmente condizionante il Sinodo, pur essendo il monsignore polacco uno sconosciuto, e invece non lo sarebbe il gesto di Bergoglio che telefona a un omosessuale dichiarato di sua conoscenza e lo invita a un incontro con lui e lo abbraccia e lo bacia in modo platealmente caloroso, a tutto corpo, insieme al suo convivente, con larghi e compiaciuti sorrisi?

E come non dire che tutto ciò sia la conseguenza della famosa (o famigerata) risposta del Papa a un giornalista che gli chiedeva il suo parere sui gay: «Chi sono io per giudicare un gay che cerca il Signore?»?

E che dire della sua telefonata a un transessuale e dell’udienza privata a lui concessa?

Anche questi atti, non sono un pesante, anzi un pesantissimo condizionamento del dibattito sinodale sul tema?
E non sono causa di disorientamento e sconcerto tra il popolo di Dio che non sa più da quale parte guardare?
   
Qui veramente si vede tutta la piaggeria di tanti ecclesiastici di fronte a Papa Francesco, quando invece ci vorrebbe il coraggio evangelico di dirgli che su certi argomenti, finché vige una già chiara dottrina della Chiesa, è bene che a parlare siano solo i teologi e che a lui, Papa, spetta solo l’ultima parola dopo che liberamente le questioni dottrinali siano state affrontate e dibattute nelle opportune sedi.
   
Mi sia permesso, per esempio, di contestare apertamente il famoso suddetto «Chi sono io per giudicare un gay che cerca il Signore?». Nella domanda di Bergoglio (dico Bergoglio e non Papa, perché in un’intervista in volo su un aereo non può parlare come Papa) c’è una intrinseca contraddizione, perché vi è implicita l’ammissione che si può allo stesso tempo peccare e cercare il Signore (chi non ricorda il luterano «pecca fortiter, sed crede fortius»?).

Cerca veramente il Signore chi prima di tutto smette di peccare!

Se al posto del peccato di omosessualità, noi mettessimo il peccato di furto, potremmo dire la stessa cosa, cioè: chi sono io per giudicare un ladro che cerca il Signore?
E così si potrebbe dire di un adultero, di un omicida, di un abortista, ecc., ecc.

E’ fin troppo ovvio che una cosa siffatta non va: non si può pretendere di andare volontariamente contro i comandamenti di Dio e al contempo cercare Dio, perché cercare Dio è anzitutto volontà di osservare i suoi comandamenti.

Gesù infatti dice: «Se mi amate, osservate  i miei comandamenti. …Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14, 15 e 21); e l’evangelista Giovanni scrive: «In questo consiste  l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti» (1Gv 5, 3); e ancora: «In questo sta l’amore: nel camminare secondo i comandamenti di Cristo» (2Gv, 6).
   
Cerca veramente il Signore chi, come Matteo, Zaccheo, Maria Maddalena, capisce di aver sbagliato e vuole rompere con la vita passata e cominciarne una nuova con Gesù.

Rimanere nel proprio errore e contemporaneamente pretendere di seguire il Signore (o cercarlo, come dice Bergoglio), non si chiamava una volta presunzione di salvarsi senza merito? E non era uno dei peccati contro lo Spirito Santo, che sono imperdonabili, come recita il Catechismo di San Pio X?

 

ottobre 2015

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