Dialogo tra
un “resistente” e un “accordista”

di Petrus

10 ottobre 2015


Pubblicato sul sito dell'Autore


Il “resistente”: Ciò che fa Mons. Fellay è orribile, spaventoso. È sul punto di svendere l’opera di Mons. Lefebvre. È un traditore. Come può agire così mentre Papa Francesco distrugge la morale familiare e coniugale e si fa fotografare tutto sorridente con dei sodomiti e dei transessuali…

L’“accordista”: Calma, amico mio. Tu esageri. Ti scaldi troppo. Io ti assicuro che Mons. Fellay è il fedele discepolo di Mons. Lefebvre, il quale non ha mai voluto rompere con Roma e con il Papa. Non si è sempre recato alle convocazioni dei diversi dicasteri romani? Non ha condannato in tutta la sua vita, fino alla morte, il sedevacantismo ed imposto dal 1983 l’una cum nel Canone della Messa a tutti i suoi sacerdoti? Nella sua lettera a Giovanni Paolo II, nel 1981, non scrisse che si era infuriato con i sacerdoti e i seminaristi che si rifiutavano di riconoscere l’autorità e la legittimità del Papa polacco? Non negoziò e firmò un protocollo d’intesa col cardinale Ratzinger, il 5 maggio 1988?

Il “resistente”: Sì, ma egli ritirò la sua firma l’indomani, dopo aver passato una notte spaventosa. Dopo Assisi capì che non era più possibile ricercare e trovare un accordo con la Roma modernista…

L’“accordista”: Ti sbagli di grosso. Assisi è dell’ottobre 1986. Mons. Lefebvre ha certo condannato questa deplorevole iniziativa di Papa Giovanni Paolo II, ma questo non gli impedì di dare inizio alcuni mesi dopo a dei negoziati col Vaticano; di ricevere ad Ecône con tutti gli onori dovuti al suo rango il cardinale Gagnon, che aveva il diritto ad un trono nelle Messe e negli uffici ai quali assisteva ad Ecône; di intrattenersi calorosamente con i cardinali Gagnon e Ratzinger; di firmare il protocollo d’intesa del 5 maggio 1988, che riconosceva il Vaticano II, il Papa Giovanni Paolo II, la validità della nuova Messa e dei nuovi sacramenti, il nuovo Codice di Diritto Canonico, e che prometteva obbedienza alla Santa Sede.

Il “resistente”: Tu non capisci che ha ritirato la sua firma. Comprendi bene: l’ha ritirata! Ritirata!

L’“accordista”: Ragioniamo con calma. Ti devo contraddire: Mons. Lefebvre non ha mai rinnegato nella sostanza questo protocollo. Né più né meno come il nostro venerabilissimo Superiore Generale, Sua Eccellenza Mons. Fellay, non ha ritrattato nella sostanza la sua dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012. In verità, dei quattro vescovi Mons. Fellay è probabilmente il più fedele al pensiero, all’azione e ai metodi del nostro venerato fondatore. Peraltro, non trovi che gli assomiglia? Con le sue arie ispirate nei suoi sermoni, inframmezzati da lunghi silenzii durante i quali la sua anima contempla le realtà celesti? Mons. Fellay è la santità in azione!

Il “resistente”: Non cambiamo discorso, non cercare di confondermi. Mons. Lefebvre ha ritirato la sua firma quando ha capito che si era fatto raggirare…

L’“accordista”: Finíscila di parlare sempre di trappole. Bisogna avere fiducia. Non pensi che il Papa possa veramente desiderare di trovare una soluzione soddisfacente per tutti, di chiudere questo episodio doloroso e di andare avanti, avanzare verso l’unità? Io amo questa espressione: andare avanti…
Te lo ripeto. Mons. Lefebvre non ha mai rinnegato nella sostanza ciò che ha firmato. Pensi che il santo vescovo fosse un uomo da ricredersi, una girandola mossa dal vento, un modello di incostanza? Evidentemente no! Pretenderlo, significherebbe diffamare gravemente il nostro santo fondatore. Se alla fine, nel 1988, l’accordo non si fece, non fu a causa del contenuto del protocollo d’intesa, ma perché non si concedevano a Mons. Lefebvre le garanzie che aveva chiesto: la maggioranza nella commissione romana incaricata della Tradizione e una data certa per la consacrazione di un vescovo destinato ad assicurare la successione. Quindi il disaccordo non sorse per delle ragioni dottrinali, ma fu generato da ragioni puramente pratiche, prudenziali, circostanziali.

Il “resistente”: Ma almeno devi riconoscere che a partire dalle consacrazioni, il Sant’Atanasio del XX secolo non ha più vacillato, ha indurito il tono contro la Roma modernista ed ha rifiutato ogni prospettiva di accordo…

L’“accordista”: Errore, mio giovane amico. Si vede che non hai conosciuto Mons. Lefebvre. Un uomo così dolce, così umile, così ponderato, così romano, come avrebbe potuto accettare l’idea di una separazione profonda e duratura con Roma, col Santo Padre? Piaccia o no, nella sua omelia il giorno delle consacrazioni, Mons. Lefebvre parlò del “nostro Santo Padre il Papa”, piaccia o no, all’indomani di quella cerimonia disse che aveva buone speranze che un accordo con Roma sarebbe stato raggiunto al massimo in quattro, cinque anni, cosa di gran lunga diversa dalla durata che tu pensi di attribuirgli.

Il “resistente”: In definitiva, Mons. Lefebvre ha fatto delle dichiarazioni molto dure su quelli che si erano “accordati”, su Dom Gérard, dicendo che non voleva più vederli, che bisognava rompere ogni contatto con loro, che i fedeli non dovevano recarsi alla Messa dell’Indulto, sotto pena di peccato grave. E tu non puoi negare che ha detto tutte queste cose.

L’“accordista”: Ma bisogna collocare tutto questo nel suo contesto. Mons. Lefebvre soffriva per essere stato toccato dolorosamente dal fatto che alcuni dei suoi vecchi compagni che egli aveva contribuito a formare, che aveva aiutato, che aveva anche ordinato, lo abbandonassero, si separassero da lui. Da qui le dichiarazioni che tu ricordi, ma che è necessario relativizzare, contestualizzare. Non bisogna accordare un valore assoluto a delle dichiarazioni fatte sotto la spinta dell’emozione o dell’indignazione, che non possono ispirare in tutto e per sempre una linea di condotta.
D’altronde, se tu guardi a tutta la storia della Fraternità, Mons. Lefebvre si è espresso altrettanto duramente nei confronti dei sacerdoti che lo abbandonarono (o che egli cacciò) per sedevacantismo. Chiédilo ai nove sacerdoti sedevacantisti americani del 1983, se Mons. Lefebvre li ha particolarmente coccolati. Quand’era necessario, il nostro santo fondatore sapeva essere fermo ed energico! Chiedilo a Don Zins, a Don Seuillot, a Don Guépin, a Don Belmont, se Mons. Lefebvre ha avuto riguardi nel dire loro che nella sua santa Fraternità non voleva rognose pecore sedevacantiste. Il nostro fondatore conferì il diaconato a Don Zins e poi lo cacciò perché aveva strappato un’immagine di Giovanni Paolo II, così che l’interessato non poteva diventare sacerdote, né poteva sposarsi e si trovava quindi in un vivolo cieco. Ecco fino a che punto andava la fermezza sui principii di Mons. Lefebvre. Meglio condannare alla miseria uno dei suoi diaconi inflessibili che mettere in dubbio l’autorità di Papa Giovanni Paolo II!
Anche qui, Mons. Fellay è del tutto fedele al prelato che l’ha ordinato sacerdote e vescovo: guarda con che sangue freddo egli ha cacciato tutti i sacerdoti ribelli, Don Pinaud, Don Salenave, Don Rioult, Don Méramo, Don Ceriani e tanti altri. Ed è arrivato perfino ad allontanare il suo confratello nell’episcopato, più vecchio di lui di 18 anni, decano dei quattro vescovi: Mons. Williamson. Che ferma autorità questa del nostro Superiore! Che bella intransigenza! Che franca determinazione! E guarda bene che Mons. Fellay, se sa colpire a destra, sa reprimere anche a sinistra: guarda a quello che è capitato a Don Aulagnier, allontanato per un semplice fax, dopo 43 anni di Fraternità, perché ha avuto il torto di approvare troppo presto e troppo rumorosamente l’accordo di Campos con Roma; guarda a Don Laguérie, privato della copertura sociale e a cui nel priorato di Bruges sono state inviate le guardie. Mons. Fellay ha preferito perdere la chiesa di Saint-Eloi piuttosto che negoziare sui principii. Che uomo! Che grand’uomo! Piuttosto perdere dei beni che negoziare sull’essenziale, una grandezza alla San Pio X!

Il “resistente”: Sei davvero disgustante! Che cinismo! Eppure non puoi negare che Mons. Lefebvre è conosciuto nel mondo intero come il vescovo valoroso che ha resistito al Vaticano II e alla rivoluzione conciliare…

L’“accordista”: Anche qui, le cose sono più complesse di ciò che crede il tuo spirito ristretto. Mons. Lefebvre, ha firmato o no tutti i testi e i documenti del Vaticano II, compreso quello sulla libertà religiosa? Mons. Tissier, di cui non si può negare l’amore che egli porta al venerabile arcivescovo, nella sua biografia pubblicata nel 2002, ha riconosciuto che, contrariamente a quanto aveva affermato in vita, Mons. Lefebvre aveva firmato, approvato, tutto il Vaticano II.

Il “resistente”: Vuoi insinuare che il nostro santo fondatore fosse un mentitore? Se è così, dillo francamente. Ripetilo!

L’“accordista”: Mentitore! Ma che dici! Mons. Lefebvre era animato dall’amore per la verità. Diciamo solamente che in questo affare egli ha spinto fino all’estremo il concetto di restrizione mentale caro ai nostri amici gesuiti… Non dimentichiamo neanche che Mons. Lefebvre si è rifiutato di apporre la sua firma al Breve Esame Critico sulla nuova Messa dei cardinali Ottaviani e Bacci. Anche qui… quella prudenza soprannaturale che lo guidò per tutta la vita.

Il “resistente”: Ancora cinismo! Tu cerchi solo di confondermi!

L’“accordista”: Cerco solo di calmarti, amico mio. Io sono pieno di ottimismo per l’avvenire della Chiesa. Smettiamola di lasciarci influenzare, come diceva San Giovanni XXIII, dai «profeti di sventura». Non ti accorgi dei segni di rinnovamento nella Chiesa? Certo, non tutto è perfetto, ma cerchiamo di vedere e di analizzare i segni positivi. Non lasciamoci prendere dall’amarezza e dallo zelo amaro. Evitiamo gli indurimenti del cuore e le suggestioni dell’orgoglio. Apriamoci, accogliamo con gioia, con gratitudine, con ammirata meraviglia il gesto paterno di Sua Santità Papa Francesco che ha giudicato valide e lecite le assoluzioni amministrate dai nostri sacerdoti durante tutto l’Anno della misericordia, che festeggia i 50 anni di chiusura del concilio Vaticano II. Rendiamo grazie a Dio per questa meravigliosa novità.
Come Mons. Fellay fece cantare il Magnificat dopo il Motu Proprio del 2007 che liberava la Messa tridentina, e fece cantare il Te Deum nel 2009 per la remissione delle scomuniche, cantiamo il solenne Salve Regina per questo gesto coraggioso del nostro Santo Padre, perché evidentemente si tratta di un terzo miracolo della Madonna.
Come ebbe a dichiarare il nostro Superiore Generale, che sa riconoscere infallibilmente i miracoli, tanto è santo e ispirato: il Motu Proprio e la remissione delle scomuniche furono in tutta evidenza dei miracoli della Madonna, che ricompensò la nostra beneamata Fraternità per le sue Crociate del Rosario, che il tanto zelante e spirituale Don Lorans ebbe modo di qualificare, in Nouvelles de Chrétiente, come  la «nuova battaglia di Lepanto». Il coraggioso Don Lorans, che le male lingue appellano con cattiveria «il piccolo barboncino di Mons. Fellay», è sempre eccellente, ma quella volta superò se stesso. Proprio così: la nuova battaglia di Lepanto! Mi vengono i brividi, talmente è bella! Con Don Lorans noi respiriamo l’aria delle vette!

Il “resistente”: Fermati, ché bestemmii! Strumentalizzare la Madre di Dio per condurre in porto un’operazione di ricongiungimento apostatico con la chiesa conciliare… non c’è niente di più vomitevole! Dovresti vergognarti! Mons. Lefebvre ha sempre combattuto la chiesa conciliare… lui! E non si riparava dietro la Santa Vergine per giustificare i suoi rari approcci con Roma!

L’“accordista”: Mons. Lefebvre aveva per la Santa Vergine lo stesso amore che ha Mons. Fellay. Pensa che dopo le consacrazioni egli aveva cambiato il celebre adagio cattolico «Ubi Petrus, ibi Ecclesia» in «ubi Maria, ibi Ecclesia». Dov’è Maria, lì è la Chiesa, Che meraviglia! Che gran teologo! Il filo conduttore tra Mons. Lefebvre e Mons. Fellay è questo stesso amore per Dio, per il Papa, per la Santa Vergine, questa stessa fedeltà ad una linea diritta, questo rifiuto permanente dei discorsi ambigui e della manipolazione degli spiriti.
Per altro, se il santo fondatore di Ecône avesse sempre combattuto la chiesa conciliare come tu pretendi, credi che si sarebbe recato con buona grazia alle convocazioni dei cardinali Seper e Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede? Credi che sarebbe stato attento a tutte le sospensioni di Paolo VI nel 1976 e di Giovanni Paolo II fin dalla sua elezione nel 1978? Credi che avrebbe chiesto ed ottenuto le autorizzazioni necessarie per la fondazione della Fraternità San Pio X, per l’erezione del suo seminario internazionale nel 1970? Mons. Lefebvre ha sempre riconosciuto l’autorità del Papa e dei dicasteri romani, come quella dei vescovi residenziali e dei parroci. Questa è la realtà.
Quand’egli ha parlato di chiesa conciliare, si è riferito allo spirito liberale e cioè modernista che ha invaso, a seconda dei momenti, una parte più o meno importante della gerarchia, ma non ha mai negato pubblicamente né la legittimità, né l’autorità di questa gerarchia. Ai suoi occhi, la chiesa conciliare non era un’entità autonoma e distinta dalla Chiesa cattolica. Pensare diversamente significa essere sedevacantisti, cosa che Mons. Lefebvre non è mai stato.

Il “resistente”: Benché i miei amici ed io rigettiamo il sedevacantismo per fedeltà a Mons. Lefebvre, che non poteva né sbagliarsi né ingannare, bisogna riconoscere almeno che nel suo sermone ad Ecône, a Pasqua del 1986, riferendosi alla prossima riunione di Assisi organizzata dal Papa Giovanni Paolo II, il nostro fondatore disse proprio che entro qualche settimana o qualche mese sarebbe stato obbligato a riconoscere pubblicamente che il Papa non è il Papa, perché non si può essere contemporaneamente capo della Chiesa ed eretico formale. Ad un certo punto, dunque, Mons. Lefebvre si è posto seriamente la questione!

L’“accordista”: Ma anche qui, tu accordi un’importanza eccessiva ad una citazione avulsa dal suo contesto. Per comprendere Monsignore bisogna tenere presente la totalità dei suoi scritti, delle sue omelie, delle sue conferenze e delle sue interviste, non si può prendere isolatamente questa o quella citazione.
Se veramente bisognasse accordare una grande importanza alle dichiarazioni da te ricordate, occorre tenere presente che Mons. Lefebvre le ha fatte a ridotto di Assisi o subito dopo. Ma fino alla sua morte, cinque anni dopo, non ha più ripetuto tali cose che, è bene notarlo, erano espresse in forma interrogativa, esplorativa e non certo affermativa e definitoria.
Se poi vuoi saperlo, ti dirò perché Mons. Lefebvre quel giorno fece quelle dichiarazioni: nel dicembre 1985, quattro sacerdoti del distretto italiano della Fraternità, che dirigevano la rivista Sodalitium (creata nel 1984 con la benedizione di Mons. Lefebvre), avevano appena abbandonato la Fraternità ed avevano fondato a Torino un piccolo istituto che ancora esiste: Istituto Mater Boni Consilii (IMBC). Diversi seminaristi di Ecône, scandalizzati per Assisi, allora furono tentanti di raggiungerli. Per buona politica, Mons. Lefebvre fece quelle dichiarazioni, per rassicurarli e neutralizzarli. L’operazione funzionò perfettamente: rimasero tutti al seminario di Ecône, tranne un seminarista italiano, Don Giugni, che raggiunse l’IMBC nel dicembre 1986. Ma il nostro fondatore non aveva alcuna intenzione di dichiarare la vacanza della Santa Sede, come provato dagli anni successivi.
Ci si dimentica spesso che Mons. Lefebvre era anche un gran politico. Sapeva essere diplomatico, pragmatico e astuto. Non si prendono le mosche con l’aceto: è cosa risaputa.

Il “resistente”: Ma se Mons. Lefebvre era veramente l’uomo che tu descrivi, io non so più che pensare. Per 40 anni ci è stato ripetuto che il sedevacantismo è un errore e un peccato, e il ricongiungimento con la chiesa conciliare mi appare come un tradimento della battaglia per la fede. Non so più a che santo votarmi.

L’“accordista”: Tranquillízati e abbi fiducia nel successore legale e legittimo di Mons. Lefebvre. Mons. Fellay è il suo degno successore: stessa prudenza di governo, stessa abilità, stesso senso dell’equilibrio, stessa attitudine ragionevole che rifugge da ogni estremismo, stessa forza soprannaturale, stesso amore per i principii unito al pragmatismo, stessa intransigenza verso i sacerdoti che deviano, stessa santità evidente, stessa umiltà, stesso zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, stesso successo materiale, stessa mimica, stesso eloquio e stessi mezzi per portarlo avanti… a Roma. Questa Roma da cui veniamo e dove ritorneremo sotto l’autorità del buon Papa Francesco, il quale, per umiltà, non giudica né i gay né i transessuali.

Dall’alto del Cielo, Mons. Lefebvre può andar fiero di Mons. Fellay e di tutti i suoi sacerdoti: noi gli siamo rimasti fedeli.
Grazie, Monsignore, per aver posto dei santi a capo della sua opera. Grazie, grazie, grazie!



ottobre 2015

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