La dissoluzione della famiglia
nella “nuova chiesa cattolica”

di Patrizia Fermani
Articolo pubblicato su Riscossa Cristiana

L'immagine è nostra




I due discorsi presinodali  tenuti da  Bergoglio, l’omelia del 4 ottobre e l’introduzione inaugurale del giorno successivo, contengono l’intero protocollo vaticano di annientamento dell’etica famigliare e sessuale.  E tuttavia il suono di parole  accattivanti e di frasi apparentemente e banalmente ineccepibili, è prevalso sul loro significato reale e sulle intenzioni di chi le ha  preparate o pronunciate.
Molti si sono sentiti addirittura rincuorati,  rassicurati,  e convinti  di poter pensare che persino il  plateale spot pubblicitario del rapporto sodomitico, messo in onda in diretta dai sacri palazzi, possa essere stato del tutto casuale e non faccia parte di un copione messo in piedi con studiata arroganza, per abituare la gente ad ogni cambiamento attraverso le emozioni forti.

In realtà tutto il marchingegno sinodale è stato ideato come  una nuova costituente rivoluzionaria che sul terreno cruciale dell’etica adeguasse ufficialmente la dottrina cattolica allo spirito del tempo, secondo  il principio già formulato dal Concilio, e che si è risolto di fatto nella istituzione di una nuova religione. 
Tale   principio di fondo, su cui ruota questa programmata rivoluzione dottrinale, era  stato espresso formalmente già un anno e mezzo fa nel primo instrumentum laboris  per il sinodo preparatorio 2014.  Qui, nella manciata di articoli che vanno dal 20 al 30,  è stata infatti ripudiata in via pregiudiziale la legge naturale, quella che dal punto di vista cattolico è la legge divina,  ed introdotta la Grundnorm del nuovo assetto “costituzionale”, con un rinvio espresso a quanto già proposto  nel 2009  dalla Commissione Teologica internazionale.

In questi articoli si dice chiaramente che trattando di morale famigliare e sessuale il sinodo non potrà fondarsi sull’idea della legge naturale, perché anche dai questionari  questo concetto,  di contenuto assai incerto in ragione dei diversi sistemi di pensiero in cui è stato elaborato, è risultato essere ostico o incomprensibile per i più. Ma i questionari miravano ad ottenere proprio  un tale  risultato, oscurando quello che è il significato della legge naturale  nell’orizzonte giudaico cristiano.

Essa  è la  legge di Dio riconoscibile dall’uomo per virtù di ragione, ovvero, secondo le parole di S.Tommaso, “partecipazione della legge eterna nella creatura razionale”. È quanto della legge eterna che governa tutto l’universo può essere conosciuto dall’uomo con la retta ragione,  per diventare norma affidabile di comportamento.
La legge naturale nel suo  vero significato, l’unico valido per la Chiesa di Cristo,  è stata dunque prima oscurata e poi  eliminata dall’instrumentum laboris per il sinodo, quale criterio fondamentale di lavoro, perché divenuta estranea alla  Chiesa “dal basso”, quella che registra gli orientamenti della gente e si guarda bene dal  guidarli secondo un  Principio superiore.

Sullo sfondo c’è l’eliminazione definitiva, cara ai Kasper e ai Forte, della distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente,  ché anzi,  la Chiesa deve essere ora  quella “che ascolta e impara”.

Questa premessa fornisce  la chiave di lettura di tutto il programma sinodale.  La legge divina non è l’a priori immutabile sul quale va misurato l’insegnamento della Chiesa e quindi La legge regolatrice della esistenza  dell’uomo, fondamento per una vita buona  comune, perché  la realtà dell’uomo contiene già un codice per sé valido.  Il mondo autodidatta, cattolico in quanto capace di assorbire tutti e tutto, è esso stesso la Chiesa che trasmette la fede apostolica in marcia con l’uomo.

Quello della morale sessuale e famigliare è il terreno privilegiato su cui proclamare l’abbattimento della legge naturale, perché qui la si può facilmente sostituire con l’etica individualistica del sentimento che diventa l’unica legge regolatrice dei comportamenti nel nuovo umanesimo della compassione. Inoltre, una  volta  messa da parte la legge divina, non resta neppure alcun criterio superiore di giudizio.  Ognuno ha il proprio  e uno vale l’altro, affinché   non venga violato il  dogma del pluralismo democratico.  Nessuno può più giudicare  come insegna Bergoglio ai giorni nostri, e insegnava una nota canterina degli anni settanta.  E questo nonostante la chiara lettera   di  GV, 7,24,  secondo cui non si deve giudicare secondo il proprio metro personale ma secondo il  giudizio giusto,  cioè secondo un criterio oggettivo di giustizia.    Che se anche la si volesse intendere come giustizia umana oggettiva, nella visione cristiana, deve essere sempre modellata sulla legge divina.

La scelta  sostanzialmente relativistica, è stata caldeggiata da tanta  teologia postconciliare che ha stigmatizzato la “pretesa” della Chiesa di presentarsi come depositaria di verità assolute.  Tuttavia, una volta adottata questa prospettiva, rimaneva il problema, per una Chiesa che si presenta ancora come  universale sul presupposto dell’universalità  del proprio annuncio,  di trovarsi  improvvisamente spogliata di questa sua forma  costitutiva.  Così è stato sostituita alla  universalità dell’annuncio cristiano fondato sulla legge divina,   quella dei “principi  generalmente riconosciuti”, con uno sguardo particolare  alle varie  dichiarazioni universali dei diritti.  Senza tenere conto che questi principi e questi diritti, dettati storicamente da  determinati poteri politici,  e quindi  ancorati  alla  loro  volontà  contingente, e ad una  certa visione del mondo,  possono trasformarsi, come si sono trasformati  puntualmente nel tempo, in strumenti per legalizzare condotte contrarie alla morale naturale.  E in questa prospettiva pericolosissima purtroppo non è mancato di porsi  anche in passato  qualche pronunciamento papale.

Su questo sfondo il nuovo cattolicesimo ha riformulato il proprio più importante criterio di riferimento.  La legge può essere sostituita dall’amore come comandamento e come criterio di giudizio: l’amore è ciò che deve muovere le azioni umane e il parametro sul quale esse vanno quindi soppesate.  Non si tiene conto che se tutto va misurato sull’amore,  non ancorato a null’altro che a se stesso, viene introdotto immancabilmente l’ arbitrio del sentimento e dell’irrazionale.   È vero che l’amore si presenta come valore cristiano per eccellenza perché rappresenta il comandamento nuovo. Ma proprio perché è un comandamento nuovo,  presuppone tutti gli altri.  È l’amore che chiede l’obbedienza  ai comandamenti,  e pertanto non può essere  quello che li rimuove.   “Se mi amate osservate i miei comandamenti” dice Cristo obbediente alla volontà del Padre.

Ma destituire il Dio Padre legislatore per iscriverlo nella  telenovela moderna dell’amore senza frontiere, significa dissolverlo nell’uomo che  non si distingue  più per la forza regolatrice della ragione ma solo per la varietà delle emozioni.  Un uomo che dopo avere eletto i propri desideri a diritti, punta anche alla santificazione dei propri peccati.

Significa dissolverlo  nell’uomo che non trovando  limite ai propri desideri santificati, non avrà  neppure  la capacità di sollevarsi da essi per un  più alto progetto  morale e spirituale.  Un uomo incapace di  dare un senso al dolore  di fronte al quale si troverà senza la forza morale per  affidarsi ad una  volontà superiore.

Senza un Dio legislatore l’uomo non approda affatto come si vorrebbe a  quella felicità che pretende di garantirsi da solo.

Senza la legge e senza la dottrina cristiana, la rivoluzione dell’amore  diventa  la rivoluzione della compassione, la categoria che secondo la Arendt ispirò la Rivoluzione Francese come poi ispirerà quella  bolscevica.  E’ la rivoluzione  della Chiesa di Bergoglio, di Kasper e di Forte, che guarda da una parte  alla religione civile dei “diritti umani” e dall’altra a quella tutta umana delle ragioni del cuore.

La compassione che aveva  giustificato  la violenza contro  gli oppressori,  nella rivoluzione  già avviata dal  Concilio,  assume il nome religioso di misericordia,  e mira ad  arrivare a poco a poco alla abolizione del peccato, cioè  alla abolizione della legge di Dio in nome di Dio.  Sappiamo che Bergoglio  a ragion veduta ha sottratto solo la corruzione alla propria  amnistia generale,  per il dovuto omaggio alla sensibilità del cittadino cattolico che professa la religione civile.  Ed è curioso rileggere, a questo punto,  quanto proclamato nella dichiarazione dei diritti proposta da Robespierre nel 1793 alla Convenzione: “ogni istituzione che non suppone il popolo buono e il magistrato corruttibile è viziosa”.

Dalle idee di fondo  sulle quali  è stata montata l’impalcatura del Sinodo,  fatti recenti hanno messo in luce due obiettivi specifici: la abolizione della indissolubilità del matrimonio cattolico, e la promozione della omosessualità a forma normale della sessualità. Lo hanno dimostrato, in modo palese, i due motu proprio emanati  poche settimane prima della apertura del Sinodo,  e la reintroduzione proditoria del tema della omosessualità, cassato dall’assemblea dell’ottobre scorso, nell’instrumentum laboris per la sessione definitiva ora in corso.  E che questi siano gli obiettivi dati da Bergoglio al Sinodo,  è emerso senza troppi veli proprio dai discorsi  di Domenica 4 e lunedì 5 ottobre,  che contengono teoria e prassi di una nuova etica “cattolica”.

Nella omelia la teoria è esposta con i dovuti artifici retorici capaci di attrarre anche i diffidenti.  Se il sinodo mira a cancellare la condanna dell’omosessualità e a  infrangere la indissolubilità matrimoniale,  come era palese fin dalla formulazione dei famosi questionari, vengono utilizzate  anzitutto le letture bibliche che introducono il dramma della solitudine.  Viene messo l’accento più che sull’intervento  provvidenziale di Dio, quale emerge dal testo sacro,  sulla sofferenza  di chi ha subito l’abbandono  o comunque cerca un rimedio ad una condizione  esistenziale dolorosa.  Ma nella prospettiva di un Sinodo appena preceduto dai motu proprio che favoriscono lo scioglimento dei legami matrimoniali e di un instrumentum laboris che ha reintrodotto proditoriamente d’autorità la tematica della omosessualità, teoricamente estranea alla materia trattata, è legittimo  leggere in questo soffermarsi  sulla solitudine un motivo per giustificare i desideri  di chi aspira ad un nuovo legame matrimoniale o alla legittimazione della relazione omosessuale. Forse non è un caso, a tale proposito,  che nella istruttiva conferenza stampa inscenata dal teologo polacco si sia parlato il giorno prima dell’amore omosessuale come rimedio alla solitudine, rispetto alla quale la Chiesa non dovrebbe  rimanere sorda.

Da notare anche come poco dopo venga  fatto un curioso riferimento al divorzio  quale causa di disgregazione della società, a poche  settimane dai famosi  motu proprio che incoraggiano di fatto il divorzio “cattolico”.

Si passa quindi al  tema della felicità: Dio ha creato l’uomo e la donna per la felicità che viene dal condividere  il cammino con un’altra persona. Anche questo passo può valere ovviamente per le aspirazioni sia  dei  divorziati che degli omosessuali, senza contare tutta la fasulla retorica del diritto alla felicità, cavallo di battaglia dei movimenti omosessualisti, che può rendere ambiguo il riferimento.   Ma ben più problematico è  il  richiamo successivo  alla indissolubilità. Infatti anche se viene preso l’abbrivo  dalle parole di Cristo pronunciate a proposito del divorzio, la indissolubilità  non risulta  riferita al matrimonio come ci si aspetterebbe,  ma al legame d’amore.

Ecco dunque squadernata tutta la distorsione moderna del matrimonio  concepito come unione affettiva e dunque legato alla durata aleatoria di questa. Una volta appoggiato il  matrimonio  sulla indissolubilità dell’amore e non del vincolo,  poiché la prima è una bella aspirazione ma di fatto rimessa all’alea del sentimento individuale, la solubilità del rapporto consegue ipso facto,  come  avveniva con il venir meno della maritalis affectio per il matrimonio romano contratto in forma libera.

Il  matrimonio  è stato sentito in tutte le culture come una entità ideale superiore alle passioni individuali  per il suo intrinseco valore sociale. Nella promessa iniziale gli sposi impegnano la volontà e il senso morale  assumendo un munus che trascende le rispettive individualità. La promessa è per sempre nel matrimonio cristiano, perché con  essa l’ndividuo impegna le proprie qualità superiori in vista di una finalità più alta. Di qui la solennità che accompagna questa scelta di vita.  Finalità sociale e culturale che il nichilismo diffuso ha spento dalla coscienza comune e dei singoli trasformando il matrimonio in una convivenza precaria perché legata al rapporto amoroso che, data anche la liberalizzazione dei costumi, è declinato sempre più sul piano della precaria intesa sessuale.

Se avessimo capito male, questa concezione è confermata nella successiva digressione sulla famiglia. Essa è tutta  imperniata  ancora sull’amore coniugale che per il Vescovo di Roma ha la “follia della gratuità”. Quella gratuità  sbandierata,  guarda caso,  proprio come la qualità principale dell’amore omosessuale che un pensatore di vaglia come  Veronesi,  in sintonia col cardinal Martini, ha definito “la forma migliore di amore perché non interessato”.

Poco dopo Bergoglio interpreta Mc 10,9 (l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto) come un invito a superare ogni forma di individualismo e di “legalismo”,  cosa questa che nasconderebbe la paura di aderire all’autentico significato della coppia e della sessualità umana nel progetto di Dio. Dunque  ancora un invito a seguire le ragioni del cuore?

Sono seguite citazioni ad pompam di scritti vari di Benedetto XVI, con dovuto richiamo alla verità. Solo che per quest’ultimo la verità è proprio quella che viene da Dio, mentre per Bergoglio è quella propria dell’uomo. Differenza  non di poco conto.

Alla fine  immancabili gli inviti a  non giudicare, all’accoglienza e alla  misericordia, e all’eterno  ospedale da campo in cui saranno ricoverati soprattutto i trasgressori.

Posta la base teoretica con l’omelia di Domenica,  con il discorso inaugurale del giorno dopo  Bergoglio passa ad esporre  come la nuova teologia della famiglia sarà realizzata in via istituzionale.

Nel suo genere un vero capolavoro.  Dice che viene ripresa la riflessione e il dialogo sull’Instrumentum laboris elaborato sulla relatio che ha concluso la prima fase sinodale, ma poiché nel testo attuale è stato reinserito il tema della omosessualità che era stato espunto per la forte opposizione interna dalla relatio finale,  il riferimento suona irridente, o  meglio, come una sorta di  compiaciuto omaggio al proprio egotismo dispotico.

Segue il preambolo con il principio ispiratore della  nuova religione e della relativa teologia. “La fede non è un museo da guardare e nemmeno solo da salvaguardare” ma è “una fonte viva alla quale la Chiesa attinge per illuminare il deposito della vita”.  E poiché si tratta di una fede in divenire misurata sulla realtà della vita (c.d. teologia delle cose terrestri già esaltata da B.Forte ) e siccome la Chiesa popolo di Dio illumina il deposito della vita con la fonte viva della fede, il circolo vizioso è saldato alla perfezione.

La legittimazione  dell’esito sinodale  è garantita  dallo Spirito Santo:  esso assiste il Sinodo il quale è parte della Chiesa tutta compresa nel Popolo di Dio che abbraccia pecore e pastori. Rende buona a priori  qualunque scelta finale, o meglio iniziale,  dato che come abbiamo visto, l’instrumentum è stato riportato esattamente al contenuto che si voleva avesse fin dall’inizio.

Perché non rimangano dubbi su quello che lo Spirito Santo è tenuto a patrocinare,  Bergoglio, citando se stesso,  gli ha tracciato il promemoria:  saranno debitamente ispirati solo i padri sinodali che avranno:
1) “il coraggio apostolico di portare vita e non fare della vita cristiana un museo di ricordi”.
2) l’umiltà  evangelica di non giudicare gli altri e sentirsi superiori ad essi.
3) la capacità di  lasciarsi guidare dallo Spirito Santo stesso che peraltro già guida il Sinodo in quanto parte della Chiesa che è compresa nel popolo di Dio.

L’agenda del Sinodo era in fondo già contenuta, come dicevamo all’inizio, in quel programmatico abbandono della legge naturale divina  che incoraggia la Chiesa a non opporsi per nulla alle più recenti e distruttive istanze del secolo, quelle volte specificamente alla decostruzione totale della società attraverso il definitivo annientamento della famiglia. 
Dietro a Bergoglio ci sono soprattutto Forte e Kasper,  che hanno curato  in passato, ognuno per proprio conto, i due aspetti fondamentali di questa eversione dottrinale.
Le posizioni di Kasper sui divorziati risalgono nel tempo,  ed è presumibile che abbiano ispirato i motu proprio volti ad introdurre la desacralizzazione del matrimonio e il venir meno del concetto di indissolubilità.
Bruno Forte ha elaborato già vent’anni fa quell’idea del valore delle differenze,  che sarebbe banalmente ovvia se non avesse acquistato il preciso significato di valorizzazione delle realtà omosessuali, in quanto varianti umane e troppo umane della sessualità. Su questo sfondo  la scelta della relazione omosessuale, condannata dalle scritture e dalle culture,  ha acquistato una legittimazione prepotente dalla teologia dell’amore, che tutto scusa perché è virtù specificamente cristiana, e dalla teologia delle realtà terrestri autogiustificate. 
Anche del problema della solitudine che viene risolto nell’amore aveva trattato a lungo Forte in “La chiesa della Trinità”.

Come abbiamo visto con il tema della solitudine  Bergoglio ha aperto l’omelia per il sinodo della famiglia.  Dell’amore  come rimedio cristiano per la solitudine ha parlato il prelato accasato in vaticano nel presentare in conferenza stampa la propria scandalosa scelta di vita.  Coincidenze innocue?  Forse non troppo.

Resta comunque il fatto che  in questo oceano di aspirazioni terrene e di amori profani,  di peccatori  mondati e di peccati cancellati, della compassione misericordiosa per ogni espressione dell’esperienza umana,  scompaiano del tutto le vittime del peccato altrui,  e quelle che pagano un prezzo  immane in ogni rivoluzione.  Il Sinodo della famiglia, se manterrà  le sue nefaste promesse,  non potrà sottrarsi ad una responsabilità enorme che sembra sfuggire ai suoi euforici  ideatori,  provvisti o meno di sigillo pontificio,  che nessun pensiero hanno riservato a quelli che saranno travolti  dai rottami di una chiesa in dissoluzione.

Insomma, sembra proprio che l’antica storia di Sansone vada minacciosamente a ripetersi a parti rovesciate.


ottobre 2015

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO