Se i guerriglieri entrano in Vaticano

di Carlo Lottieri
Articolo pubblicato sul quotidiano Il Giornale del 10 0ttobre 2015

Condannata da Ratzinger nel 1984,
la Teologia della Liberazione ha trovato nuove sponde perfino nel Prefetto Müller



Quella teologia della liberazione che negli anni Sessanta e Settanta aveva visto molti sacerdoti dell’America Latina benedire gruppi armati di orientamento marxista, subendo poi la condanna del cardinale Joseph Ratzinger (allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Chiesa), sta conoscendo una nuova primavera.



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L’11 settembre 2014 papa Francesco ha ricevuto in udienza il successore di Ratzinger, monsignor Gerhard Müller, accompagnato da Gustavo Gutierrez, ideologo del movimento. E in seguito vi sono state altre occasioni di riavvicinamento con le gerarchie cattoliche.

Un volume di Julio Loredo dal titolo Teologia della Liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri (edito da Cantagalli e in vendita al prezzo di 34 euro) reagisce dinanzi a tutto ciò.
L’autore è un cattolico tradizionalista peruviano che nel 1973 fu costretto a lasciare il suo Paese, oppresso dalla dittatura marxista del generale Velasco Alvarado, dopo che aveva partecipato a una campagna proprio contro la teologia della liberazione, vicina al regime. Molte pagine del libro erano già state scritte nei decenni scorsi, ma l’autore le aveva tenute nel cassetto. Nel 1984 la condanna vaticana di questa teologia marxista aveva indotto molti a lasciare la Chiesa e altri a rivedere le proprie posizioni; e in seguito vi era stato il venir meno del socialismo reale.
La questione poteva sembrare superata.

La recente crisi finanziaria ha invece riportato in auge il marxismo, dato che la responsabilità prima è stata addossata al libero mercato. È dentro questo scenario che una nuova versione della teologia della liberazione è tornata sulla scena: con meno kalashnikov sotto braccio e più retorica pauperista.

Il risultato è che oggi un connubio tra cattolicesimo e marxismo è gradito a tanti. Se alcuni anni fa Fidel Castro dichiarò che «la teologia della liberazione è più importante del marxismo per la rivoluzione in America Latina», numerosi teologi di alto livello ritengono che il socialismo sia in grado di aiutare la liberazione dei più deboli.
A questo punto, il vero problema non sono più i Gutierrez o i Leonardo Boff.

Per l’autore del volume, se si vogliono studiare le radici della teologia della liberazione, bisogna cogliere i legami tra il modernismo, il cristianesimo sociale e gli orientamenti cattolico-liberali, ma anche il dissolversi della società occidentale nell’età postmoderna. Così, larga parte del volume ricostruisce i cambiamenti culturali conosciuti dal cattolicesimo negli ultimi secoli.
Loredo collega strettamente perfino la «Nouvelle Théologie» (Jean Danielou, Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar) agli esiti marxisti latinoamericani, vedendovi «una versione radicale e politicizzata della nuova teologia europea».
Per comprendere i preti guerriglieri si deve allora «capire quanto si ispirino ai maestri europei, specialmente francesi e tedeschi. Essi hanno costruito su principi modernisti e neo-modernisti, hanno condito il tutto con l’ideologia marxista, salvo poi applicare il risultato alla concreta situazione del loro continente negli anni Sessanta».

Alla base di questa corrente ideologica vanno comunque individuati due errori maggiori, che Loredo sottolinea con forza: l’uno di carattere teologico e l’altro di ordine socio-economico.

Il primo era stato focalizzato da Ratzinger quando aveva evidenziato come nella teologia della liberazione la centralità non sia più per Dio e nemmeno per la persona umana: al cuore ci sono i movimenti, le battaglie politiche (anche armate), le rivendicazioni economiche. La liberazione di cui si parla è l’affrancamento da istituzioni ingiuste e soprattutto dal capitalismo, fonte di ogni sofferenza.
La condanna della Chiesa nasceva dalla consapevolezza che non si possa abbracciare il materialismo storico senza, al tempo stesso, accoglierne l’immanentismo.
Come afferma uno dei fondatori del movimento, il brasiliano Hugo Assman: «Il punto di partenza contestuale di una Teologia della liberazione è la situazione storica di dipendenza e di oppressione in cui versano le popolazioni del Terzo Mondo».

Queste parole svelano l’altro errore: il rigetto della libertà individuale, della proprietà, del diritto a contrattare liberamente. Perché nonostante la vernice anarcoide il cattolicesimo socialista è dominato da logiche autoritarie.

Il ritorno dei teologi della liberazione è però il segnale di una malattia più ampia, che riguarda la Chiesa e l’umanità nel loro insieme. D’altra parte lo stesso Müller ha affermato che quando ci si confronta con il marxismo bisogna riconoscere che «non esiste una teoria alternativa capace di spiegare meglio i fenomeni e i fatti relativi allo sfruttamento, alla povertà e all’oppressione, una teoria che possa porre in atto una strategia di reale cambiamento».

Tesi che erano appannaggio di pochi preti confusionari provenienti da Brasile o Colombia, oggi sono professate dalle più alte gerarchie cattoliche. Questo vuol dire che la situazione è davvero seria e le conseguenze potrebbero essere devastanti.



ottobre 2015

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