Fuoco incrociato a favore della mutabilità della dottrina praticata dei Pastori



Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi

di Giovanni Servodio

Come è logico che sia, in vista della conclusione del Sinodo “per la famiglia” e delle deliberazioni che di conseguenza assumerà il Papa, qua e là, su giornali e giornaletti, e soprattutto sulla “rete”, appaiono dichiarazioni giustificative che lasciano intendere come il Sinodo realizzerà una svolta significativa nell’insegnamento della Chiesa sulla famiglia e su quanto ad essa è connesso.

Una di queste dichiarazioni giustificative è stata presentata dal vaticanista Andrea Tornielli, che nel sito Vatican Insider ospita una predisposta intervista con un teologo domenicano, ormai noto ai più, sia per la sua ripetitività, sia e soprattutto per la sua difesa ad ogni costo di tutto quanto di scomposto e di eterodosso viene partorito nella Chiesa a partire dal Vaticano II.

Sembra evidente che Tornielli abbia interpellato il teologo, Padre Giovanni Cavalcoli, domenicano 74enne, perché questi giustificasse a priori le decisioni che assumerà il Sinodo, decisioni che questa intervista conferma che saranno, come si temeva, scomposte ed eterodosse.

Francamente, forse non era il caso di perdere tempo a sindacare certe orchestrazioni, ma vista la diffusione che queste finiscono con l’avere, è possibile che qualche precisazione possa essere utile a qualcuno.
Ci limiteremo quindi a toccare alcuni punti, che pensiamo siano cruciali, soffermandoci sulle risposte e tralasciando le domande che le hanno intenzionalmente stimolate.

Inciso d’obbligo:
nel seguito, non è tanto il teologo che ci interessa, che come tutti noi è libero di pensarla come vuole e di scavarsi la fossa che più preferisce, quanto i messaggi che lancia ai fedeli cattolici, portati a fidarsi delle parole di un “teologo” più o meno accreditato.

Ecco allora cosa afferma il teologo:

«Dobbiamo quindi pensare che un eventuale mutamento dell’attuale regolamento sui divorziati risposati, non intaccherà affatto la dignità del sacramento del matrimonio, ma anzi sarà un provvedimento più adatto, per affrontare e risolvere le situazioni di oggi».

Questa chiara e incredibile affermazione, preceduta da una sconnessa e illogica premessa in cui si ripete che la sostanza del sacramento dev’essere rispettata, certifica che il cambiamento ci sarà: “l’eventuale mutamento” della coppia Tornielli-Cavalcoli suona troppo come “il sicuro mutamento” che delibererà il Sinodo e il Papa.
Mutamento che, sostiene il teologo, “non intaccherà affatto la dignità del sacramento del matrimonio”. Cosa che dovrebbe significare che se fino a ieri, per la Chiesa, i divorziati risposati erano in peccato, e quindi impossibilitati ad accedere all’Eucarestia, pena il mangiare la loro condanna eterna (cfr. San Paolo, 1 Corinti, 11, 26-30), dopo il mutamento apportato dal Sinodo, questi stessi divorziati risposati, per la Chiesa che dovrebbe essere la stessa, non saranno più in peccato, e quindi potranno accedere all’Eucarestia.

Noi, che non siamo teologi, non riusciamo a capire come, per il teologo, il peccato che non sarebbe più peccato per deliberazione sinodale, possa non intaccare la dignità del sacramento del matrimonio.
Delle due l’una: o divorziare e risposarsi è peccato o non lo è. Se la Chiesa fino ad ora ha ritenuto che lo fosse, non è possibile che da domani ritenga che non lo sia più… tranne che non intenda mutare “la dignità del sacramento del matrimonio” e ancor meglio non intenda mutare la legge di Dio.

Il teologo, non si rende conto che cercando di sostenere l’insostenibile, e cioè che la legge di Dio sarebbe semplicemente un “regolamento” della Chiesa, finisce col certificare che il Sinodo e la Chiesa conciliare sarebbero legittimati a considerare una mera formalità quanto comandato da Nostro Signore in Matteo 19, 6: Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi.

Che un teologo, pur di anticipare la difesa delle violazioni dei comandi di Dio messe in essere dal Sinodo, faccia finta di non aver mai letto il capitolo 19 del Vangelo secondo San Matteo, più che indignare aiuta a capire la nuova forma mentis della nuova Chiesa abortita dal Vaticano II.
Rileggiamo allora questo capitolo 19 (3-12):

«Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

Questo ultimo monito di Gesù è quasi la chiave per leggere tutto il passo: chi vuol capire capisca, dice il Signore, ed è come se parlasse al teologo che si fa intervistare per giuocare d’anticipo sulle decisioni del Sinodo, giustificandole perché lui sa già che saranno in contraddizione col Vangelo.

La cosa curiosa è che in questo passo di San Matteo, Nostro Signore spiega la condizione di difetto e di regresso in cui si trovavano gli Ebrei al tempo di Mosè e che continuarono a mantenere fino all’arrivo di Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così”. Il che indica due cose importanti da tenere presenti per comprendere cosa accade ai giorni nostri: la prima è che l’uomo si allontana sempre più dalla iniziale innocenza (in principio non fu così), e la seconda è che le concessioni della legge ecclesiastica, in deroga alla legge di Dio (Mosè), non sono dettate da una migliore comprensione dell’insegnamento divino, bensì dall’indurirsi del cuore dell’uomo; il che, mutatis mutandis, qualifica le prossime decisioni del Sinodo, non tanto come mosse dalla carità e dalla misericordia, quanto come dettate dall’indurimento dei cuori dei moderni prelati.

Tutto questo il teologo lo conosce – se no, che teologo sarebbe? – ma stranamente fa finta di ignorarlo, forse per sminuire la portata del suo avallo anticipato delle deviazioni certe che produrrà il Sinodo.

«Per un cattolico è assolutamente impensabile che un sinodo sotto la presidenza del Papa possa compiere un attentato alla sostanza di qualunque sacramento. Il concedere o non concedere la comunione entra nel potere della pastorale della Chiesa e nelle norme della liturgia, che sono stabilite dalla Chiesa secondo la sua prudenza, che è sempre rispettabile, benché non infallibile. Da qui il mutamento o l’abrogazione delle leggi della Chiesa»

Ora, che i teologi la sappiano lunga, perché devono saperla lunga per poter contrastare il teologare di Satana, è cosa risaputa, ma che tale lunghezza sia così elastica e stiracchiabile come dimostra la prosa del nostro teologo, è cosa che lascia il sorriso sulle labbra, per la leggerezza con la quale si possa confondere così facilmente il sacramento con la pastorale, confusione che non vogliamo pensare sia voluta, ma che allora è davvero dirompente.

Vero è che la Chiesa ha il potere di dettare le norme della liturgia, che però non c’entrano un bel niente con la Comunione, che la Chiesa non “concede”, ma ha l’obbligo di amministrare ai fedeli; tuttavia il sacramento dell’Eucarestia è disponibile per tutti i fedeli, sui quali soli ricade la responsabilità del richiamo della grazia, a seconda del loro stato di pentimento o di peccato. Ogni fedele ha il dovere di comunicarsi e ha il diritto di ricevere la Comunione, sotto la sua personale responsabilità: se indegno mangerà la sua condanna invece che la sua salvezza, come insegna San Paolo.

Da parte della Chiesa è necessario che essa ricordi questo ai fedeli, per indurli a pentirsi e a ricevere degnamente la Comunione, ma è anche necessario che l’amministrazione della Comunione, che è prevalentemente pubblica, avvenga senza causare scandalo negli altri fedeli, pena il castigo di Dio.
Per far questo, la Chiesa insegna che chi vive in stato di peccato, come i divorziati risposati, non può accedere alla Comunione, così da salvaguardare la salvezza loro e quella degli altri fedeli. E poco importa che qualche fedele non si attenga a questo, andandosi a comunicare laddove non è conosciuto, come ha già suggerito papa Bergoglio, perché la scelta tra la via per il Cielo e quella per l’Inferno è tutta sua, così che proibire la Comunione ai divorziati risposati è quanto di più misericordioso possa praticare la Chiesa.

Degna di nota è l’introduzione a questa risposta: “Per un cattolico è assolutamente impensabile che un sinodo sotto la presidenza del Papa possa compiere un attentato alla sostanza di qualunque sacramento”.
Chiuso il discorso, dice il teologo, qualsiasi cosa stabilirà il Sinodo, “sotto la presidenza del Papa”, sarà da considerarsi come del tutto ortodossa… e guai al fedele che pensasse diversamente.
A volte i teologi, soprattutto se interessati, assumono il piglio dell’intransigente, non tanto per salvaguardare l’insegnamento cattolico, quanto per tutelare il proprio convincimento di parte. Peccato che questa cinquantennale ripetizione della impossibilità di errore per i sinodi e per i papi, non solo si chiama correttamente “idolatria della gerarchia” – che è cosa ben diversa dal rispetto dovuto ai Pastori della Chiesa -, ma ha prodotto danni immensi nella vita ordinaria dei cattolici e conseguenze terribili per le anime di tanti fedeli.

Il teologo, si lancia poi in una contorsionista disquisizione sulla immutabilità del dogma da coniugare tranquillamente con la mutabilità della pastorale, come se la pastorale non dipendesse dall’immutabilità del dogma e non fosse da questo vincolata all’assoluto rispetto della suprema legge della Chiesa: la salus animarum, la salvezza delle anime.

Il nesso della legge della Chiesa con la legge divina – dice il teologo – “è solo di convenienza”, tale da evitare “da una parte la rigidezza di un conservatorismo rigorista, che rifiuta il cambiamento della legge ecclesiastica in nome dell’immutabilità della legge divina e, dall’altra, il modernismo storicista e lassista, che, col pretesto della mutabilità della legge ecclesiastica e del suo dovere di tener conto della modernità e della debolezza umana, annacqua e relativizza la legge del Vangelo”.

In che cosa consisterebbe quindi questo “nesso di convenienza”?
Come spiega il teologo: in niente; perché la supposta similitudine tra “la rigidezza di un conservatorismo rigorista” e “il modernismo …che annacqua e relativizza la legge del Vangelo” è un mero espediente dialettico che non ha alcun fondato significato e serve solo alla “convenienza” di un ragionamento che volutamente non afferma alcunché e pretende di aver posto dei punti fermi.

Qui non si tratta di rigorismo o di modernismo, ma del rispetto della legge di Dio che, a quanto afferma Nostro Signore, non è “indeterminata” come pretende il teologo, ma determinata una volta per tutte: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi.” E questo sia in termini dottrinali sia in termini pastorali, perché non si può affermare dottrinalmente che il matrimonio è indissolubile e praticare pastoralmente la sua dissolubilità.
Chiunque capisce facilmente che dissolvere un matrimonio non può costituire un’applicazione “pastorale” della sua indissolubilità. Tranne che non si voglia accettare per definitiva e sacrosanta la perdita di ogni logica e di ogni buon senso.

«La Sacra Tradizione, come dice la parola, è la trasmissione orale e fedele del dato rivelato, … è un Magistero vivente… Certamente la Tradizione contiene la dottrina immutabile del Vangelo ed è criterio assoluto della verità della fede, ma insieme e congiuntamente alla Scrittura nell’interpretazione che ne dà la Chiesa sotto la guida di Pietro

E qui torniamo ancora al noto ritornello: la Tradizione è immutabile, ma tale immutabilità dev’essere coniugata con l’interpretazione della Scrittura che via via ne dà la Gerarchia. Come dire che l’immutabilità del dato tradizionale dev’essere considerato alla luce della mutabilità dell’interpretazione dei Pastori. E questo tenendo presente “che i dati della Tradizione sono certo in se stessi immutabili, essendo Parola di Dio; ma la Chiesa e quindi tutti noi sotto la guida della Chiesa stessa, per esempio dei Concili, progrediamo verso una sempre migliore conoscenza di quei medesimi dati.
Vuota affermazione che, tradotta in parole povere, pretenderebbe di sostenere che col passare del tempo “i dati immutabili” verrebbero meglio conosciuti (?) comportando la loro stessa mutabilità.
Vero è che c’è differenza tra “dati immutabili” e “conoscenza di quei medesimi dati”, ma, tolto l’espediente dialettico, è ridicolo affermare che esistano dei dati immutabili che non sarebbero conosciuti bene e che col tempo verrebbero conosciuti meglio, perché equivale a sostenere che gli Apostoli non avessero una conoscenza completa dell’insegnamento divino e quindi la Tradizione da essi trasmessaci sarebbe incompleta, tale che solo col “tempo” essa si completerebbe, grazie all’interpretazione della Gerarchia.

Questa cervellotica supposizione fa strame di quanto affermato da Nostro Signore: «il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.» (Gv. 14, 26).
E lo Spirito Santo è venuto ad insegnare tutto e bene fin dall’inizio, e non sta scritto da nessuna parte che sarebbe regolarmente ritornato ad insegnare “meglio”.

Contrariamente a quanto pretende il teologo, la promessa assistenza dello Spirito Santo non riguarda il “miglioramento” della comprensione dei dati immutabili, bensì l’aiuto a non deflettere dall’insegnamento ricevuto una volta per tutte.
Fermo restando che i destinatarii di tale assistenza, siano essi papi, vescovi o semplici fedeli, non sono impediti dal resistere, perché Dio lascia sempre impregiudicato il libero arbitrio degli uomini, indipendentemente dallo stato in cui essi si trovano.
Nessuno sano di mente potrebbe sostenere che un papa o un vescovo sarebbero impossibilitati a resistere allo Spirito Santo; solo i moderni uomini di Chiesa pretendono che l’assistenza dello Spirito Santo si eserciterebbe in maniera automatica, come in una macchinetta a gettoni, così che tutto quanto riescono a partorire dalla loro mente deviata non potrebbe non godere di tale assistenza.
L’inversione è palese: non sarebbero più i Pastori a servire lo Spirito Santo, ma questi a servire i Pastori. Questa, prima ancora che blasfemia, è colpevole insensatezza.

Quanto poi alla portata di tale insensatezza ecco che il teologo pontifica:
«Non esistono “condizioni peccaminose”, perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente. L’atto del peccato può essere prolungato nel tempo, come può avere per sua essenza una durata temporale (per esempio un furto in una banca); ma, trattandosi di un atto della volontà, può essere interrotto in qualunque istante e comunque cessa entro un certo lasso di tempo, una volta che l’atto è compiuto.»

Disquisizione che palesa la precisa volontà coercitiva del teologo che vorrebbe convincere chi lo legge che il peccato è un accadimento temporaneo che “comunque cessa entro un lasso di tempo, una volta che l’atto è compiuto”. Traduzione: uno pecca in un dato momento, in una data occasione, ma col tempo, indipendentemente dalla sua volontà, il peccato “cessa”.
Peccato – appunto – che tale “cessazione” del peccato – si scusi il bisticcio di parole – porti “comunque” all’Inferno se non interviene la volontà del peccatore a farlo recedere da esso e a farlo pentire davanti a Dio.

Il teologo, pur di sostenere l’insostenibile, si arrampica sullo specchio della sua vanità e, inevitabilmente, scivola fragorosamente, facendosi del male.
Non è vero che il peccato è solo un atto e che per questo non comporterebbe “condizioni peccaminose”, perché l’atto stesso, prolungato o meno che sia, determina una “condizione peccaminosa”.
L’affermazione illogica serve solo a confondere le acque, perché comunque dal peccato si può recedere con la volontà, seguendo il comando del Signore: «và e d’ora in poi non peccare più» (Gv. 8, 11), e un divorziato risposato persiste volutamente nel suo peccato, realizzando una durevole “condizione peccaminosa”, per la quale peraltro cerca conforto nella Chiesa, non rinunciando ad essa, ma chiedendo che non la si consideri più “peccato” e trovando appoggio nei teologi e nei vescovi che pur di praticare la moderna “misericordia”, relativizzano il comando di Dio e lo sottopongono alle esigenze del mondo, facendo passare la manovra per “giustizia unita alla carità”, e sottacendo che la vera carità sta nella correzione fraterna, non nella condiscendenza sentimentale che conforta il peccatore e lo conferma nella sua “condizione peccaminosa”.

«Certo, dopo l’atto del peccato, se non interviene il rimprovero della coscienza e il pentimento, anche cessato l’atto, resta uno stato di colpa. In questo caso la volontà resta deviata ed ha bisogno di essere raddrizzata, cosa che può e deve fare la stessa volontà, sotto l’impulso della grazia. E questo può essere ottenuto grazie al perdono divino, quale che sia la situazione oggettiva nella quale si trova il peccatore, fosse pure quella del divorziato risposato. … Oggi la questione dibattuta è se il consentir loro di accostarsi alla Santa Comunione può servire a loro per l’aumento della grazia e la difesa contro il peccato, oppure se può crear scandalo e turbamento tra i fedeli».

Che dire, se non che il tentativo di cancellare gli insegnamenti più semplici, porta inevitabilmente a porre le anime sulla strada della perdizione?

Leggere che un teologo proponga che assumere la Comunione in maniera indegna, in stato di peccato mortale, possa servire a “l’aumento della grazia” e alla “difesa contro il peccato”, è segno che le menti dei moderni uomini di Chiesa sono ormai ridotti in poltiglia, quasi perfino scusabili per la loro manifesta irresponsabilità intellettuale e morale; possibile scusabilità umana, ovviamente, perché davanti a Dio la violazione dei Suoi comandi resta sempre un mezzo per andare diritti all’Inferno.

La supposta alternativa avanzata dal teologo perché il dare la Comunione ai divorziati risposati possa essere utile al peccatore o “creare scandalo e turbamento tra i fedeliè di un’evidente falsità; perché non di alternativa si tratta, ma di un doppio scandalo e di una manifesta violazione della legge divina.
Che qui tale violazione venga fatta passare per una “questione dibattuta” è indice della connivenza del teologo con lo scandalo e della manifesta opera di sovversione che certa teologia pratica da cinquant’anni a danno della salvezza delle anime dei fedeli, violando apertamente la suprema legge della Chiesa.




ottobre 2015

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