Le ragioni della lettera al Papa


Pubblicato su Libertà e Persona

Immagine, impaginazione e neretti sono nostri





Card. Walter Kasper e Benedetto XVI


In epoca di parresia e sinodalità sarà bene che spiegare un po’ meglio donde nascono le preoccupazioni dei cardinali che hanno scritto la famosa lettera al papa (ricordando che tra di loro si trovano non pochi suoi elettori, ed anche uno dei suoi collaboratori più stretti, il cardinal George Pell, proprio oggi pubblicamente irriso dall’arrogante cardinale Marx).

Evitando così l’atteggiamento di chi da una parte suona la campana della sinodalità e della democrazia nella Chiesa, e dall’altra, con totale incoerenza, interpreta come delitto di lesa maestà l’espressione filiale di una ben motivata preoccupazione.

La lettera dei cardinali, quale che sia la sua forma corretta, ha una prima giustificazione,
diciamo così storica: dall’epoca in cui san Paolo resistette in faccia al I papa, scelto direttamente da Gesù, san Pietro, sappiamo bene che il dovere dell’obbedienza non cancella totalmente coscienza e libertà degli individui. Questo non solo per quanto riguarda i cardinali, che hanno il dovere di affiancare il papa nel governo della Chiesa, e non sono semplicemente degli elettori eventuali una tantum, ma anche per quanto riguarda il ruolo dei laici, che come ricordava il beato cardinale Newman, in vari momenti della storia hanno aiutato i pastori a non smarrire il sensus fidei.

Ebbene, da dove nasce la preoccupazione dei firmatari? Da quello che il vaticanista Gianfranco Svidercoschi, in una trasmissione di domenica mattina su radio 1, ha definito un paradosso: il fatto che papa Francesco, nel suo tentativo di ampliare il ruolo della collegialità e sinodalità, trova davanti a sè una certa opposizione, rispetto a cui deve reagire con un atteggiamento decisionista. Lo stesso “decisionismo”, continuava Svidercoschi, che del papa è un grande ammiratore, da lui dimostrato in passato, nel ruolo di provinciale dei gesuiti.
 Ma in cosa consisterebbe questo possibile decisionismo del papa della collegialità e del decentramento?

Ad esempio nel modo con cui in questi anni è stato trattato l’episcopato degli Stati Uniti.
Una delle prime mosse di papa Francesco è stata rimuovere dal ruolo di prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica il cardinal Raymond Burke, nominato vescovo da Giovanni Paolo II e cardinale da Benedetto XVI, che nutriva per lui una particolare stima.

A questa rimozione, piuttosto clamorosa, che permise ai giornali abortisti di tutto il mondo di dichiarare che il papa aveva messo all’angolo il cardinale pro life per eccellenza, è seguita l’esclusione di Burke dal Sinodo del 2015.
 
All’incirca nello stesso tempo papa Francesco ha designato come vescovo nella diocesi di Chicago mons. Cupich, noto per le sue simpatie kasperiane e per le sue aperture ai gay. Inevitabile che questa nomina, calata dall’alto, ignorando i desiderata dei vescovi americani e, probabilmente, anche quello della Congregazione dei vescovi, abbia generato dei malumori, e sia stato percepito come una imposizione.

Intanto, in preparazione al Sinodo 2015, si sono svolte le elezioni all’interno della Conferenza episcopale degli Usa. I vescovi americani hanno eletto democraticamente 4 delegati: Mons. Joseph Kurtz, presidente dei vescovi USA, Daniel Di Nardo, Charles Chaput e Jose Gomez. 
Due i delegati supplenti indicati dalla Conferenza episcopale americana: monsignor Cordileone, presidente del comitato per la famiglia della conferenza episcopale statunitense, e monsignor Cupich. Quale dei due è stato poi scelto dal pontefice nella quota dei padri di sua elezione personale? Ancora una volta Cupich, mentre mons. Cordileone, conosciuto per le sue posizioni pro family, è stato lasciato a casa.
Oltre a Cupich, accanto ai 4 delegati, tutti su posizioni tradizionali, il papa ha nominato, per sua scelta, accanto al cardinal Dolan, un altro “progressista” vicino alle posizini di Kasper: il cardinal Donald Wuerl.
In questo modo, tramite la scelta di Cupich e Wuerl, la posizione maggioritaria dei vescovi americani è stata fortemente sminuita e annacquata.

Ma non è finita: tra i delegati eletti e quelli designati, quale è stato scelto nella importante commissione chiamata a redigere la Relatio finale?
Non il presidente della Conferenza episcopale Kurtz; non uno degli eletti dalla stessa, ma Wuerl.
Anche qui non è difficile immaginare che gli americani si siano sentiti “umiliati” e scavalcati, e che qualcuno si sia chiesto: è qui la valorizzazione della sinodalità e della collegialità nella Chiesa? Perchè nulla di analogo, a parti invertite, è accaduto per la schieratissima conferenza episcopale tedesca? O per quella belga, per la quale all’ultra kasperiano Johan Jozef Bonny, è stato affiancato, dal papa, il cardinale anti-Benedetto XVI e favorevole ai matrimoni gay, Godfried Danneels?

Visto che tra i firmatari della famosa lettera al papa c’è anche il cardinal australiano George Pell, rimaniamo nel mondo anglosassone.
Il delegato della conferenza episcopale della Nuova Zelanda è il vescovo Charles Edward Drennan; per la Nuova Zelanda il papa ha nominato, ripescandolo, anche il Cardinal John Atcherley Dew, su posizioni kasperiane e “avversario” di Pell. Oltre a ciò, lo ha anche messo nella già citata commissione.
La quale risulta così composta da una maggioranza di padri sinodali nominati, non eletti, e su posizioni, idealmente, kasperiane.



ottobre 2015

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI