Il Papa contro la Chiesa
Anatomia di una guerra civile cattolica


di Damian Thompson

7
novembre 2015


Articolo pubblicato sulla rivista inglese The Spectator

Impaginazione e neretti sono nostri


Pubblichiamo questo articolo, non per l'interesse che riveste il suo contenuto, che in realtà non dice nulla di nuovo, ma perché indicativo di una sensazione che si va sempre più diffondendo nel mondo circa i danni che Bergoglio sta arrecando alla credibilità della Chiesa cattolica; danni che diversi vaticanisti italiani “normalisti” cercano in tutti i modi di nascondere, come se il supposto successo “popolare” di Bergoglio non si fondasse sulla soggiacenza al mondo moderno dei suoi discorsi, dei suoi atti e del suo comportamento.




Domenica scorsa, il quotidiano italiano La Repubblica [Dalle miserie politiche alle alte visioni di Francesco - 1 novembre 2015] ha pubblicato un articolo di Eugenio Scalfari, uno dei giornalisti più celebri del paese, in cui questi sosteneva che Papa Francesco gli aveva appena detto che “alla fine di percorsi più veloci o più lenti tutti i divorziati che lo chiedono saranno ammessi”.

L’opinione cattolica è rimasta sbalordita. Il Papa aveva appena presieduto le tre settimane del Sinodo dei Vescovi in Vaticano, che è stato nettamente diviso sull’opportunità di consentire ai cattolici divorziati risposati di ricevere il sacramento. Alla fine, il Sinodo ha votato senza dire un granché.

Lunedì, il portavoce del Papa, Padre Federico Lombardi, ha detto che quanto riferito da Scalfari non era “in alcun modo affidabile” e “non può essere considerato il pensiero del Papa”.

Una fiera, si potrebbe pensare. Scalfari ha 91 anni. Inoltre, egli non prende appunti durante le sue interviste e non usa il registratore. Certo che non è “affidabile”.

Ma questo non ha soddisfatto i media, che hanno sottolineato che il Papa sapeva esattamente quello che stava facendo in proposito. Questa è la quarta volta che egli ha scelto di rilasciare un’intervista a un uomo che si basa sulla sua memoria nonagenaria. Del loro ultimo incontro, Scalfari aveva riferito che il Papa gli aveva detto che il due per cento dei sacerdoti cattolici erano pedofili, inclusi dei vescovi e cardinali. Il povero Lombardi dovette procedere ad un ennesimo chiarimento. L’ultima volta i cattolici hanno dato a Francesco il beneficio del dubbio. Questa volta molti di loro dicono: non importa Scalfari, ma come ci si può fidare quello che dice il Papa?

Siamo a due anni e mezzo di questo pontificato. Ma è solo dal mese scorso che i comuni cattolici conservatori, al contrario dei tradizionalisti intransigenti, hanno iniziato a dire che Papa Francesco è fuori controllo.

Si noti: “fuori controllo”, non che “ha perso il controllo”, che è già grave. Nessun Pontefice a memoria d’uomo ha mai suscitato la paura specifica che oggi si sta diffondendo nella Chiesa: e cioè che il magistero, l’insegnamento autorevole affidato da Gesù a Pietro, non sia sicuro nelle sue mani.

I media non cattolici devono cogliere la natura mortale della crisi suscitata dal Papa argentino. Essi possono vedere che il suo stile pubblico è improvvisato e avventuroso, e dalle sue dichiarazioni a braccio riguardo a questioni delicate attinenti la morale sessuale, possono capire che è un liberale (per gli standard papali), mentre considera i vescovi conservatori dal “cuore duro” come degli ipocriti.

Tutto questo è vero. Ma i giornalisti - e i milioni di sostenitori secolari del Papa – hanno finito con l’accettare una cosa del tutto sbagliata: che per la sua disponibilità e il suo preferire il modesto titolo di “Vescovo di Roma”, Jorge Bergoglio riveste l’ufficio di Sommo Pontefice con leggerezza.

Chiunque lavora in Vaticano sosterrà che non è così; che Francesco esercita il potere con una sicurezza di sé degna di san Giovanni Paolo II, il Papa polacco la cui guerra santa contro il comunismo si è conclusa col crollo del blocco sovietico.

Ma è qui che finiscono le somiglianze. Giovanni Paolo non ha mai nascosto la natura della sua missione. Era deciso a chiarire e a consolidare gli insegnamenti della Chiesa. Francesco, al contrario, ha in vista una Chiesa più compassionevole, meno legata alle regole. Ma si rifiuta di dire fino a che punto sia disposto ad andare. A volte assomiglia a un automobilista che guida a tutta velocità senza una mappa o uno specchietto retrovisore; e quando l’auto va in panne, come è successo col Sinodo di ottobre sulla famiglia, se la prende con l’auto e si accanisce con un bastone sul cofano.

I non cattolici si sono molto più interessati alle “storiche” dichiarazioni di Francesco sul cambiamento climatico che al Sinodo, che è stato dominato dalle dispute sulla ammissibilità dei cattolici divorziati risposati a ricevere la comunione.

Approccio sbagliato, perché l’enciclica del Papa, Laudato Si’, ha sì inorgoglito temporaneamente agli attivisti del clima, ma è stata la conferenza sulla famiglia a rivestire un carattere storico, ma non nel senso buono. Durante il Sinodo, i comuni cattolici devoti hanno incominciato a chiedersi se Francesco avesse perso il giudizio - oppure se sia sempre stato un uomo molto più strano di quanto suggerisca la sua immagine pubblica.

Nei circoli ecclesiastici le preoccupazioni hanno avuto inizio nel mese di ottobre dello scorso anno, quando il Papa ha organizzato un Sinodo preparatorio “straordinario” che si è sbriciolato davanti ai suoi occhi. A metà strada, gli organizzatori – scelti da Francesco - hanno dichiarato che l’iniziativa ha favorito l’abolizione del divieto di comunione e ha inteso riconoscere gli aspetti positivi delle relazioni omosessuali.

I media ne gioirono, fino a quando emerse che ciò che dicevano questi organizzatori non valeva nulla. I vescovi sinodali, tra i quali dei cardinali anziani, non erano favorevoli al cambiamento, e il Cardinale George Pell, il conservatore australiano che funge da cancelliere del Papa, reagì con forza – ed è quando Pell si arrabbia che lo si conosce davvero. La votazione finale ha messo da parte le proposte. Ma Francesco ha chiesto che il sinodo di quest’anno dovrà rivedere la questione della comunione ai divorziati.

Questo primo Sinodo non è stato solo umiliante per il Papa; è stato anche strano. Perché Francesco ha lasciato che i suoi luogotenenti, il Cardinale Lorenzo Baldisseri e l’Arcivescovo Bruno Forte, organizzassero una conferenza stampa nella quale sostanzialmente hanno detto delle bugie?

Qualsiasi altro Pontefice, dopo tale disastro, avrebbe inviato Baldisseri e Forte in qualche parrocchia dell’Antartide. Invece, tra lo stupore generale, il Papa li ha invitati ad occuparsi del Sinodo principale del mese scorso, e ha anche invitato di nuovo il Cardinale Walter Kasper, l’ottantaduenne teologo tedesco ultraliberista che vuole spazzare via tutti gli ostacoli alla ricezione della comunione da parte  divorziati risposati.

Per porre fine ad una lunga polemica, Francesco ha chiarito che era d’accordo con Kasper, ma che sapeva anche che la maggior parte dei vescovi al Sinodo volevano mantenere il divieto alla comunione. Allora perché ha insistito che discutessero dell’argomento, sapendo che non avrebbero votato secondo le sue intenzioni?

I Cardinali anziani erano sconcertati - ed arrabbiati perché un sinodo sulla crisi mondiale della vita familiare fosse dominato dalle diatribe su questo tema. Una settimana prima dell’inizio del sinodo, 13 cardinali guidati da Pell hanno scritto una lettera al Papa chiedendogli di non lasciare che questo accadesse - e per esprimere il loro sospetto che le procedure del sinodo fossero state truccate allo scopo di dare il massimo risalto alla minoritaria visione kasperiana.

Come previsto, il Sinodo ha gettato rapidamente nel cestino lo schema di Kasper - ma ha ancora lasciata aperta la possibilità di qualche cambiamento, perché nei mesi precedenti l’inizio del Sinodo Francesco ne ha alterato l’equilibrio, invitando dei vescovi in più che condividevano le sue idee liberali.

Questo ci porta ad un dettaglio inquietante che ha minato gravemente la fiducia in Francesco. Tra questi invitati personalmente vi era il super liberale cardinale belga Godfried Danneels, che cinque anni fa si ritirò in disgrazia quando venne registrato che aveva suggerito ad una persona di tacere di avere subito degli abusi, fino a quando il vescovo interessato non si fosse ritirato.
Il vescovo era lo zio della vittima. In altre parole, Danneels ha cercato di coprire gli abusi sessuali all’interno di una famiglia. Papa Francesco sapeva, ma ciò nonostante ha deciso di dargli un posto d’onore in un sinodo sulla vita familiare.

Perché, per amor di Dio? “Per ringraziarlo per i voti in conclave”, dicono i conservatori - una calunnia, forse, ma sostenuta dal fatto che Danneels che si era appena vantato di aver aiutato Bergoglio ad essere eletto.

Il sinodo si è concluso in maniera scomposta, con un documento che può o non può consentire la revoca del divieto della comunione in circostanze particolari. Entrambe le parti hanno pensato di aver vinto - e quindi il Papa, secondo le parole di un osservatore, ha “fondamentalmente posto un’ipoteca”.

Nel suo discorso conclusivo, Francesco si è infuriato contro “i cuori chiusi che si nascondono dietro gli insegnamenti della Chiesa” e “le vedute col paraocchi”, aggiungendo che “i veri difensori della dottrina non sono quelli che sostengono la sua lettera, ma il suo spirito”.

L’implicazione era chiara: per il Gesù di Francesco, i chierici che hanno sostenuto con tutto il cuore il divieto di comunione sono dei Farisei. Il Papa  ha insultato almeno la metà dei vescovi del mondo, dando anche ai sacerdoti, a quanto pare, il permesso di mettere in discussione l’insegnamento sulla comunione e il divorzio.

Un sacerdote vicino al Vaticano è rimasto sconvolto, ma non sorpreso. “Si sta vedendo il vero Francesco”, ha detto. “rimprovera e non riesce a nascondere il suo disprezzo per la sua stessa Curia. Inoltre, a differenza di Benedetto, questo tizio premia i suoi compagni e punisce i suoi nemici”.

Il clero, normalmente, non si riferisce al Santo Padre con l’espressione “questo tizio”, anche quando non condivide la sua teologia. E questa è una delle più miti descrizioni di Francesco espresse dai conservatori, le altre non sono pubblicabili in una rivista per famiglie.

Mai prima d’ora la Chiesa cattolica è sembrata somigliare così tanto alla Comunione anglicana - che si sciolse perché i credenti ortodossi, soprattutto in Africa, ritennero che i loro vescovi avevano abbandonato gli insegnamenti di Gesù.

Nel caso del Cattolicesimo, la crisi incombente si presenta su scala molto più vasta. Per milioni di cattolici, la grande forza della Chiesa è la sua certezza, coerenza e immutabilità; guardano al Vicario di Cristo in terra come a colui che preserva la stabilità. Se i papi che verranno sembreranno prendere le distanze, è perché ne hanno bisogno, al fine di scongiurare lo scisma in una chiesa che ha radici in tante culture diverse.

Ora, improvvisamente, il successore di Pietro si comporta come un politico, attizzando scontri con gli avversari, solleticando il pubblico con slogan e sorprendendo i giornalisti con citazioni incredibili che il suo addetto stampa non fa fatica a ritrattare. Egli suggerisce perfino di essere in disaccordo con gli insegnamenti della sua stessa Chiesa.

Un papa non può comportarsi in questo modo senza cambiare la natura stessa di questa Chiesa. Forse è quello che Francesco intende fare; possiamo solo immaginarlo, perché deve ancora articolare un programma coerente di cambiamento e non è chiaro se è intellettualmente in grado di farlo.

I cattolici leali credono che l’ufficio di Pietro sopravviverà a prescindere da chi lo esercita; Gesù lo ha promesso. Ma dopo il caos del mese scorso, la loro fede è sul punto di cedere. Si sta cominciando a considerare se Jorge Bergoglio non sia l’uomo che ha ereditato il papato per distruggerlo.

Damian Thompson è un collaborato fisso di The Spectator, e autore di The Fix e Counterknowledge.


novembre 2015