LA ROTTAMAZIONE DELLA VERITÀ


di L. P.





La tragica, sanguinosa vicenda terroristica islamica, che ha sradicato e Parigi, il 13 novembre scorso, 134 vite, lungi dall’indurre la stampa cattolica a considerazioni e riflessioni più consentanee alla funzione propria, che è quella di diffondere, in questi casi dolorosi, un messaggio di pietas per le vittime e l’innalzamento del pensiero a Dio per la salvezza delle loro anime, lungi da tutto ciò, la stampa cattolica si è impantanata in un vortice di retorica luttuosa e di sociologica analisi legata al solo dato di cronaca con un compianto  di tipo laico, privo, cioè, di quell’attenzione che si deve riservare alle cose che pertengono al destino spirituale ed ultimo dell’uomo, come è la morte e il successivo passaggio nell’eternità.

Non abbiamo sentito o letto riflessioni o commenti in cui ci si metteva al corrente che nel locale parigino, uno storico teatro, il Bataclan, quella sera si esibiva un complesso, diciamo musicale, denominato “Eagles of Death metal” il cui filone rockettaro, come dice il nome stesso, percorre tematiche dure, tenebrose, trasgressive e sataniche. E, infatti, quella sera, l’esordio della manifestazione si caratterizzava con una canzone in cui, senza veli o allusioni, ma palesemente, i componenti del complesso tessevano un inno al demonio, un invito a comparire, e a quel ritmo fragoroso, le centinaia di persone colà presenti, si agitavano, danzavano e si muovevano.
Il demonio, invitato e sollecitato, si è materializzato nella figura di tre assassini islamici che gli hanno immolato le vittime. Un rito satanico in cui è previsto che al moloch siano offerti olocausti umani.

No. Avvenire, organo della CEI e lo stesso Osservatore Romano si sono astenuti dal farci sapere quale fosse stata l’atmosfera in cui si era consumata la tragedia, un’atmosfera tipica delle discoteche ove non aleggia profumo di Dio ma stagna l’odore dell’edonismo più sfrenato che solo una cultura relativistica e libertina può definire come innocente passatempo o, addirittura, un diritto. Tanto più, come abbiamo sopra scritto, in quel teatro imperversava l’innodia satanica più aperta e strillata.
Che le discoteche moderne sìano luoghi privilegiati ove il demonio semina e raccoglie non è, per il cattolico, cosa nuova soprattutto quando è Satana stesso a dichiararlo. Ascoltiamolo nella trascrizione di un esorcista:
Le discoteche!. . . che bello. . .sono i  miei palazzi d’oro dove attiro le migliori speranze della società, che io faccio mie, distruggendo le loro anime e i loro corpi. . .quante migliaia e migliaia ne porto con me con l’alcool, con la droga e col sesso. . .oh, che continua mietitura. . .Le ho affidate a tanti politici, i miei fedeli servi, a consacrati. . .Io sono il vero re del mondo, e non già il vostro Dio che io ho crocifisso” (Pellegrino Ernetti: La catechesi di Satana – ed. ridotta, Il Segno, 2008 pag. 69).

Ora, non è sufficiente, per il cattolico, aver espresso l’orrore per l’evento terroristico e aver pianto per la morte di tanti innocenti, perché ineludibile è domandarsi a quale destino ultraterreno saranno andate incontro le anime dei poveri trucidati che, nel momento di esaltare Satana, hanno attraversato il varco di sola andata nell’aldilà, perché, per il cattolico,  primaria preoccupazione è la “Salus animarum”.

Questa è la cronaca, scarna e vera, di quell’evento di cui non c’è possibilità alcuna di smentita, e del successivo meccanismo mediatico, e questa è la riflessione a cui pervenire.

Ora, tra le vittime di quella sera, si annovera quella di una giovane italiana, la veneziana Valeria Solesin, ventottenne ricercatrice all’Università “La Sorbona”.  Era, quella sera, con i tanti che assistevano all’esibizione blasfema del gruppo “heavy metal”, le cosiddette “Aquile della morte metallica”. L’atmosfera, ricordiamo, era quella che si può immaginare: musica gnostica, tripudio, canti, chiacchiere e partecipazione canora. Un mondano carpe diem, un vivere l’hic et nunc.

Premettiamo la nostra “pietas” cristiana con cui, già all’annuncio della strage, rimettemmo alla misericordia del Signore le anime di quei 134 morti, giovani e non giovani.
Premettiamo il nostro cordoglio umano perché anche noi, come tanti, abbiamo assaggiato l’aspro morso della morte prematura e tragica di un familiare. Premettiamo la solidarietà alle famiglie delle vittime perché sappiamo quanto consolante possa essere la presenza e la vicinanza della comunità umana. Comprendiamo anche, come, nel vortice del dolore e della commozione popolare, la mediaticità – giornali e tv – abbiano concesso ampio spazio alla figura di questa giovane.
Comprendiamo ancora, pur non approvandola, la decisione dei suoi genitori di aver voluto un rito funebre laico dacché questa loro figlia era cresciuta e stata educata nell’gnosticismo, in assenza di un qual che sia credo religioso.
Tutto vogliamo comprendere di quanto, in questi giorni, è stato detto e scritto su questa sventurata giovane e sulla sua tragica morte, perfino, diciamo perfino della sua elevazione a modello ed esempio di moderna e sana gioventù, parte visibile e notevole di questa “società del divertimento” (Peter Ahne: La festa è finita – ed. Marsilio 2004)), in cui non c’è, naturalmente, posto per il Signore. Ma il cattolico si domanda cosa ci possa essere di esemplarità in una morte accidentale seppur tragica, priva, come è stata quella di Valeria, di motivazioni forti e pedagogiche.
Tutto comprendiamo pur con fatica. Come invece non comprendiamo perché all’immigrato ucraino Anatolij Korol, ucciso  mentre cercava di difendere da un rapinatore il personale di un supermercato (Corriere del Mezzogiorno, 29/8/2015), non sia stato riconosciuto l’atto eroico, con funerale di Stato, parata dei tanti notabili  e con una medaglia d’oro al merito.

Tutto comprendiamo, ma non la presenza, al rito laico, del patriarca di Venezia Francesco Moraglia, in sincretistica compagnìa di un imam e di un rabbino, così come desiderato dal padre della defunta. La Basilica di San Marco era alle spalle del feretro e nella Basilica il patriarca avrebbe dovuto, al Signore prigioniero nel Tabernacolo, innalzare la sua preghiera di suffragio, avrebbe dovuto reiterare l’invocazione “a subitanea morte libera nos Domine” perché non è lecito ma dissacrante, presumere che in tale poltiglia  interreligiosa, incoerente e innaturale, si possa pregare l’unico e vero Dio.
Ed infatti, le parole del Patriarca di Venezia sono state intonate a sentimenti di dolente umanesimo e di condanna verso una cultura di morte “che ci sgomenta perché indegna dell’uomo, ma che ci fortifica nell’opporci ad essa con ogni nostra forza sul piano culturale, spirituale, umano” e poi l’invettiva contro gli assassini: “Come avete potuto? In nome di Dio, cambiate il vostro modo d’essere”.

Monsignore: in nome di quale Dio? Nel suo ammonimento leggiamo la corrente dottrina che considera come unica la divinità delle tre religioni monoteistiche. Noi rifiutiamo questa falsità perché siamo convinti e certi che Dio vero è “cattolico”, è la Santissima Trinità.

La stampa cattolica ha evitato queste riflessioni. Viltà, conformismo, ignoranza?
Vogliamo aggiungere un’appendice che mette in evidenza come non tutte le morti e non tutti gli attentati sìano uguali. E ci riferiamo a quel vero e proprio oscuramento mediatico calato, dopo un paio di giorni di cronache, sul precedente e più violento atto terroristico aereo in cui 224 persone, di nazionalità russa, di eguale e di pari dignità a quelle del Bataclan, erano perite precipitando nella solitudine silenziosa del deserto del Sinai.
Nessuno ha dichiarato “Io sono Mosca”, nessun “social forum” ha diffuso il logo con la sagoma della basilica di San Basilio, nessuna banda ha suonato l’inno nazionale “Russia, nostra terra sacra”, nessun patriarca cattolico ha presenziato alle esequie delle vittime, dei pochi resti che è stato possibile racimolare.  Tutto s’è prodotto nello spazio di due- tre giorni e poi il Nulla.
Questa è l’Europa postcristiana, questa è la Gerarchìa postconciliare.





novembre 2015

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